La liberazione dell'ex alloggio del portiere

12 Dicembre 2017

Risulta problematico l'inquadramento giuridico dell'azione volta a liberare l'alloggio del portiere dopo la risoluzione del rapporto di lavoro con il condominio, e correlativamente gli strumenti processuali per realizzare tale intento, in quanto è molto discusso, a monte, il titolo in forza del quale il suddetto portiere detenga tale immobile.
Il quadro normativo

La necessità di liberare l'alloggio di servizio, allorché il lavoratore non abbia più il titolo per occuparlo, si verifica ogniqualvolta il rapporto di lavoro si sia esaurito per licenziamento da parte del condominio (per il tramite dell'amministratore), per dimissioni dello stesso lavoratore, per soppressione del servizio di portierato deliberato dall'assemblea e per decesso del titolare del relativo contratto.

La suddetta azione di rilascio è la conseguenza della risoluzione di un rapporto obbligatorio assunto per la gestione del servizio comune, laddove il recupero dell'alloggio si rivela essenziale per l'ulteriore espletamento del servizio stesso o, qualora il servizio di portierato sia stato soppresso o sostituito con altro similare, al fine di destinare aliunde i relativi locali.

D'altronde, anche il C.C.N.L. stabilisce che la concessione in godimento dell'alloggio del portiere da parte del condominio si presume effettuata allo scopo di prestare l'attività di vigilanza e di custodia, propria del portierato, sicché la concessione in uso dell'alloggio non è più dovuta a seguito della cessazione del rapporto di lavoro, che ne è il necessario presupposto, ed il rilascio dell'abitazione attribuita al portiere per l'espletamento delle relative mansioni risulta condizionata alla risoluzione del medesimo rapporto di lavoro.

La legittimazione attiva e passiva

Sul versante della legittimazione attiva, appare pacifico in giurisprudenza - v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 8 febbraio 2012, n. 1768; Cass. civ., sez. III, 26 giugno 1991, n. 7162: nella specie, deceduto il portiere, si è agito per il rilascio dell'immobile adibito ad alloggio detenuto dal coniuge; Cass. civ., sez. II, 2 ottobre 1985, n. 4780 - che l'amministratore del condominio, in virtù dei poteri attribuiti dal codice civile, può, senza ricorrere all'assenso dell'assemblea, agire in giudizio per il rilascio dell'immobile detenuto sine titulo dall'ex portiere, essendo il recupero del bene essenziale per l'ulteriore fruizione dello stesso da parte di tutti i condomini; parimenti, rientra nei doveri dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1130, n. 2), c.c. di controllare e disciplinare il godimento di locali comuni destinati ad alloggio del portiere dopo la soppressione del servizio di portierato (implicando, ad esempio, in mancanza di diverse disposizioni dell'assemblea, il diritto di detenere le chiavi dei suddetti locali, per assicurarne l'uso da parte dei singoli condomini in condizioni di parità, v. Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1983, n. 5076).

Ad avviso di una pronuncia di merito (Pret. Milano 18 febbraio 1987), poiché il rapporto di condominio non determina l'esistenza di un soggetto giuridico con personalità distinta da quella dei condomini, ma dà luogo soltanto ad un ente di gestione, il singolo condomino sarebbe legittimato ad agire nei confronti del portiere per ottenere, limitatamente alla quota di proprietà del condomino stesso, l'indennità di occupazione abusiva dei locali di portierato, né tale domanda comporta l'obbligo di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri condomini.

Sotto il profilo passivo, siccome, ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'amministratore del condominio è passivamente legittimato a stare in giudizio in tutte le controversie che abbiano ad oggetto i servizi (ed i beni) comuni, tale fattispecie potrebbe rinvenirsi in quella avente ad oggetto la pretesa illegittimità dell'avvenuta soppressione del servizio di portierato, controversie rispetto alle quali, peraltro, sono legittimati ad intervenire anche i singoli condomini (Cass. civ., sez. II, 28 aprile 2004, n. 8139).

Il titolo per la detenzione dell'immobile

Problematico è l'inquadramento giuridico dell'azione volta a liberare l'alloggio del portiere dopo la risoluzione del rapporto di lavoro con il condominio, atteso che è discusso, a monte, il titolo in forza del quale il suddetto portiere detenga tale immobile.

Invero, nel rapporto di portierato, in cui la subordinazione deve essere ravvisata nell'assoggettamento del lavoratore al potere direttivo del datore di lavoro - esercitato anche mediante il controllo dei singoli condomini - la somministrazione dell'alloggio ubicato nell'edificio condominiale, ove non giustificata da un diverso titolo, deve presumersi effettuata, in favore del lavoratore che vi dimora, al fine di svolgervi il servizio di portierato, che implica l'attività di vigilanza e custodia, alla prestazione delle quali è finalizzata la suddetta somministrazione (Cass. civ., sez. lav., 4 dicembre 1990, n.11638); in altri termini, la concessione in uso dell'alloggio per l'espletamento delle mansioni di portierato o di pulizia dello stabile costituisce una prestazione accessoria del rapporto di lavoro, la quale perde automaticamente la sua obbligatorietà, e quindi non è più dovuta, con la cessazione del medesimo rapporto che ne è il necessario presupposto (Cass. civ., sez. III, 4 dicembre 1981, n. 6435; Cass. civ., sez. lav., 27 febbraio 1975, n. 793); peraltro, detenendo l'alloggio non a nome proprio, ma a nome del condominio, il portiere non dovrebbe nemmeno essere legittimato ad agire giudizialmente in sede possessoria.

Va, altresì, rilevato che il godimento dell'immobile condominiale da parte del portiere non è, di regola, inquadrabile nella locazione né nel comodato, con la consequenziale esclusione di applicabilità della relativa disciplina, anche per quanto concerne la fissazione della data dell'esecuzione; del resto, stante che il godimento dell'immobile è stato concesso in considerazione di un rapporto di lavoro, allorché quest'ultimo venga a cessare, la domanda di rilascio non deve essere necessariamente preceduta dalla disdetta, essendo l'obbligo della restituzione dell'immobile consequenziale alla cessazione del rapporto di lavoro (Cass. civ., sez. III, 2 febbraio 1973, n. 330; nella giurisprudenza di merito, v. Trib. Napoli 20 giugno 1985).

Si è aggiunto (Cass. civ., sez. lav., 12 marzo 1986, n. 1674) che il godimento di un immobile abitativo, in corrispettivo (anche parziale) di una prestazione lavorativa, come nel caso dell'alloggio di servizio assegnato al portiere di uno stabile, si sottrae alla disciplina del rapporto di locazione, ivi incluse le disposizioni dell'art. 1597 c.c. in tema di rinnovazione tacita, e viene meno con la cessazione del rapporto di lavoro, senza che possa profilarsi una questione di legittimità di tale ultima norma, in relazione all'art. 3 Cost., tenendo conto che quel godimento trova la sua fonte nel contratto del lavoro, e non in un contratto di locazione, sì che resta giustificata la diversità delle rispettive normative.

Peculiare si presenta, invece, l'ipotesi in cui l'immobile, preso in godimento ad uso abitativo del portiere, risulti di proprietà di un terzo o di un condomino in via esclusiva, potendo in tal caso sostenersi che costituisca vera e propria locazione, laddove, però, il conduttore-condominio non gode direttamente l'immobile, ma lo devolve ad un terzo, il portiere, suo dipendente (tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Milano 1 aprile 1990, nonché, inizialmente, Trib. Napoli 31 gennaio 1986 e Pret. Napoli 26 luglio 1986, sulla questione se tale contratto sia soggetto alla disciplina codicistica o alla legge sull'equo canone).

Le conseguenze sul versante processuale

Per il resto, deve ritenersi che rientri tra le controversie di lavoro previste dall'art. 409 c.p.c. quella relativa al rilascio dell'alloggio concesso per l'espletamento delle mansioni di portiere o di addetto alla pulizia dello stabile, trattandosi di prestazione accessoria del rapporto di lavoro, non più dovuta ove venga meno il rapporto cui accede; in altri termini, la controversia promossa dal condominio di un edificio nei confronti del proprio portiere, che sia rivolta a conseguire il rilascio dell'alloggio concessogli per l'espletamento delle relative mansioni, quale effetto dell'accertamento dell'intervenuta risoluzione del rapporto di lavoro, negata dal convenuto, spetta alla cognizione del giudice del lavoro, dato che investe la cessazione o meno del suddetto rapporto, come presupposto indispensabile del preteso rilascio (Cass. civ., sez. III, 9 maggio 1987 n. 4301; Cass. civ, sez. III, 2 agosto 1984, n. 4609).

Sul versante più prettamente processuale, con innegabili conseguenze in ordine al rito da seguire - riprendendo le considerazioni di cui sopra - a fronte della fattispecie (abbastanza frequente) costituita dalla domanda avanzata dal condominio nei confronti del portiere dello stabile, volta ad ottenere il rilascio dell'alloggio (ed il risarcimento dei danni), una volta deliberata l'abolizione del servizio di portierato o/e il licenziamento del portiere, ci si deve, pertanto, interrogare circa il titolo in base al quale il medesimo portiere detiene l'immobile de quo, che, di regola, può consistere nel rapporto di lavoro, nell'àmbito del quale l'alloggio è concesso ad integrazione della retribuzione, ma non può escludersi nemmeno un distinto rapporto di locazione, in cui il corrispettivo viene pagato in parte in denaro ed in parte, ad esempio, attraverso le prestazioni di pulizia delle scale (v., ex multis, Cass. civ., sez. III, 7 agosto 1997, n. 7315, nell'ipotesi di un contratto di locazione solo occasionalmente collegato al rapporto di lavoro, senza un nesso funzionale ed interdipendente con esso).

Il collegamento tra il rapporto lavorativo e locatizio

Orbene, nel primo caso, ove il godimento dell'immobile risulti concesso quale corrispettivo (sia pure parziale) dell'attività lavorativa, o quando il godimento stesso sia funzionale al rapporto di lavoro, siamo in presenza di un rapporto del tutto atipico, al quale non possono essere applicate le disposizioni concernenti i contratti di locazione: infatti, la concessione dell'alloggio risulta collegata, come rapporto accessorio e dipendente, ad un rapporto principale ed assorbente (quello di prestazione d'opera), e deve quindi essere considerata parte integrante del rapporto di lavoro.

Ne consegue che, al di fuori del venir meno del rapporto di lavoro di cui costituiscono prestazione accessoria, per tali rapporti non può parlarsi di disdetta o di azione di rilascio dell'immobile, mentre le questioni relative alla cessazione del godimento, nel corso del rapporto stesso, rappresentano «controversie individuali di lavoro» ai sensi dell'art. 409 c.p.c., da trattarsi davanti al tribunale «in funzione di giudice del lavoro» ex artt. 413 ss. c.p.c. (cosí come sostituiti dalla l. 11 agosto 1973, n. 533).

Sembra, poi, esulare dall'àmbito applicativo della l. 392/78, l'ipotesi di un contratto di locazione stipulato, quale conduttore, dal condominio con un condomino proprietario di un'unità immobiliare sita nello stabile, per destinarlo ad abitazione del portiere; in tal caso, non può parlarsi di locazione abitativa, in quanto manca l'identità tra la figura del conduttore, ente di gestione, e l'utilizzatore del bene, tra l'altro in funzione dell'attività dal secondo svolta per conto del primo, né di locazione non abitativa ex artt. 27 e 42 della c.d. legge sull'equo canone, in quanto, per un ente condominiale, non possono invocarsi le esigenze di tutela esistenti per i conduttori che esercitano attività commerciali, industriali, artigianali o professionali, come anche quelle ricreative, assistenziali, scolastiche, ecc.; tali contratti, pertanto, dovrebbero essere regolati esclusivamente dalle norme del codice civile (v., per una fattispecie concreta, Cass. civ., sez. III, 24 ottobre 1995, n. 11068, la quale opta per l'applicabilità della disciplina ordinaria e residuale del codice civile).

Nell'ipotesi, infine, in cui il condominio abbia preferito concludere con il portiere due contratti autonomi, uno di lavoro e l'altro di locazione, senza alcun nesso funzionale tra gli stessi, il contratto di locazione, avendo tutti i caratteri della tipicità, deve considerarsi come locazione di immobile destinato ad uso abitativo e, quindi, pienamente soggetto alle norme disciplinanti la materia de qua, rimanendo in vigore anche quando il rapporto lavorativo sia cessato.

L'intimazione di licenza o di sfratto

Ci si è chiesti se possa applicarsi la procedura speciale contemplata dall'art. 659 c.p.c., il quale recita: «Se il godimento di un immobile è il corrispettivo anche parziale di una prestazione d'opera, l'intimazione di licenza o di sfratto con la contestuale citazione per convalida, a norma degli articoli precedenti, può essere fatta quando il contratto viene a cessare per qualsiasi causa».

In tale ipotesi, si può procedere all'intimazione della licenza o dello sfratto (con la citazione per la convalida) quando il predetto contratto di prestazione d'opera venga a cessare per qualunque causa; tale procedura speciale, però, deve considerarsi limitata al caso in cui il rapporto di dipendenza che lega il portiere al condominio sia definitivamente cessato (o vada a cessare), e non vi sia più alcuna controversia sul punto, essendo l'unica questione ancora pendente tra le parti quella relativa alla restituzione dell'alloggio concesso in godimento (v., in proposito, Cass. civ., sez. III, 21 giugno 1984, n. 3680, ad avviso della quale il suddetto art. 659 c.p.c. non si riferisce alle sole ipotesi di custodia, portierato e guardiania, ma a tutte quelle di concessione in godimento di un immobile funzionalmente collegata con un rapporto di prestazione d'opera in modo di costituirne, anche parzialmente, il corrispettivo).

Pertanto, nel caso in cui il condominio abbia adìto il tribunale per la convalida dello sfratto (o della licenza nell'ipotesi di un contratto di lavoro a termine) in pendenza del rapporto di lavoro o senza allegare l'avvenuta cessazione dello stesso, oppure in base alle eccezioni del portiere intimato sorgano questioni sulla prosecuzione del rapporto principale, il giudice, ritenuta l'esistenza di una controversia individuale di lavoro, dovrà procedere al mutamento del rito ex art. 426 c.p.c., sempre davanti tribunale, ma in funzione di giudice del lavoro, ed astenersi dall'emettere ordinanze di convalida o di rilascio.

Essendo controverso se il procedimento potesse applicarsi ogni qualvolta cessava il rapporto per qualsiasi motivo, o solo ai casi di scadenza del termine del contratto oppure anche nel caso di licenziamento nel contratto a tempo indeterminato, i giudici della Consulta (Corte Cost. 10 dicembre 1975, n. 238) hanno dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale della norma nella parte in cui non distingueva tra le varie ipotesi di cessazione del rapporto e, specificamente, tra quella di scadenza del termine e quella di licenziamento illegittimo, affermando che, «in entrambi i casi, il rilascio dell'immobile, osservandosi la procedura speciale dell'art. 659 c.p.c., può essere ordinato solo quando, relativamente allo scioglimento, non esista più contestazione»; ciò significa che il rapporto deve essere dichiarato estinto irrevocabilmente in altra sede e, in particolare, l'inadempimento causa del licenziamento del portiere deve essere stato accertato, prima di iniziare il procedimento ex art. 659 c.p.c. (v., altresì, Trib. Roma 16 dicembre 2000).

In proposito, sempre un magistrato capitolino (Trib. Roma 31 gennaio 2005) ha affermato che, nel caso di licenziamento del portiere e da questi impugnato per illegittimità, la richiesta di riassunzione o, in mancanza, di risarcimento danni, non è di ostacolo per la concessione ai sensi dell'art. 659 c.p.c. del provvedimento di rilascio dell'alloggio di servizio, non ricorrendo la fattispecie di tutela reale prevista dall'art. 18 della l. n. 300/1970.

In particolare, è stato ritenuto che la pendenza, innanzi al giudice del lavoro, della controversia relativa alla legittimità del licenziamento (impugnato per violazione procedurale e per mancanza della giusta causa), con richiesta di condanna del datore di lavoro alla «riassunzione entro 3 giorni o al risarcimento del danno», non configuri in concreto elemento ostativo alla pronuncia provvisoria di rilascio; ciò in quanto, anche in caso di accoglimento della domanda del lavoratore, questi non avrebbe diritto comunque alla reintegra nel posto di lavoro, dal momento che «la riassunzione sarebbe comunque alternativa al risarcimento del danno, con opzione in favore dello stesso datore di lavoro eventualmente soccombente»; il giudicante, pertanto, ha ordinato il rilascio dell'immobile per cessata locazione d'opera, pur riconoscendo la competenza della sezione specializzata del lavoro per ciò che concerne il merito della controversia, «rispetto alla quale sembrava profilarsi un rapporto di continenza» in relazione alla causa principale già pendente dinanzi al predetto giudice specializzato.

La decisione solo apparentemente contrasta con l'orientamento giurisprudenziale indicato dalla Corte Costituzionale: il giudice di merito, in effetti, ha fatto riferimento ad un'ipotesi del tutto peculiare, in cui la domanda del lavoratore concerneva sostanzialmente il risarcimento del danno - la riassunzione, infatti, veniva chiesta entro 3 giorni - senza che il profilo della cessazione del diritto all'alloggio potesse essere toccato dall'esito del giudizio principale, e ciò ha consentito al magistrato di emettere l'ordinanza di rilascio dell'alloggio di servizio in quanto sulla stessa non sussisteva alcuna controversia tra le parti.

In conclusione

In conclusione, può affermarsi che, quando il godimento del bene sia da considerarsi accessorio al rapporto di lavoro, rientra tra le controversie individuali di lavoro, e quindi nella competenza funzionale del giudice del lavoro, la domanda diretta al rilascio di un appartamento concesso in uso al portiere per lo svolgimento di un'attività lavorativa continuativa (servizio di portierato, e cioè di custodia-vigilanza del fabbricato condominiale), in cui l'uso gratuito dell'alloggio sia funzionalmente preordinato e connesso con l'espletamento della prestazione di lavoro (v., tra le altre, Cass. civ., sez. III, 27 luglio 1984, n. 4466).

Nel caso, invece, in cui l'utilizzazione dell'immobile sia frutto di un autonomo contratto, come quello di locazione (o di comodato), e sia irrilevante la connessione tra il rapporto di dipendenza condominio-portiere ed il godimento dell'alloggio, l'azione per il rilascio va proposta davanti al tribunale, competente funzionalmente per i rapporti locatizi, senza che possano essere fatte valere eccezioni di incompetenza in favore del magistrato del lavoro, o la validità di clausole risolutive legate alla cessazione del rapporto di lavoro in contrasto con le disposizioni concernenti la durata del contratto di locazione (Cass. civ., sez. III, 12 novembre 1981, n. 5979; cui adde Cass. civ., sez. un., 9 luglio 1991, n. 7545, che ha affermato la giurisdizione del giudice ordinario nel caso in cui un Ente pubblico economico aveva conferito il godimento di un alloggio al dipendente, non a titolo di abitazione di servizio, né quale componente del trattamento retributivo, ma in forza di contratto privatistico di locazione, stipulato nell'àmbito delle attività di investimento produttivo del proprio patrimonio).

Guida all'approfondimento

Celeste, Eliminazione del servizio di portierato e restituzione dell'appartamento occupato sine titulo, in Immobili & proprietà, 2015, fasc. 4, 223;

Izzo, Il portiere può essere sfrattato anche se contesta il licenziamento, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 8, 61;

De Tilla, Gli effetti della soppressione del servizio di portierato sulla destinazione dell'alloggio del portiere, in Rass. loc. e cond., 1996, 373.

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