La minoranza può chiedere il rinvio dell’assemblea, ma c’è il limite dell’abuso del diritto
13 Dicembre 2017
Il diritto potestativo di ottenere un rinvio dell'assemblea, riconosciuto ai soci di minoranza dall'art. 2374 c.c., incontra il limite dell'abuso del diritto. È questo il principio affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 29792, depositata il 12 dicembre. Il caso. Alcuni soci di una s.p.a. impugnavano la delibera assembleare adottata; il Tribunale accoglieva in parte l'impugnazione ma escludeva che la mancata concessione del rinvio, richiesto dai soci, costituisse motivo di invalidità. In sede di gravame, veniva invece annullata l'intera delibera: la Corte d'appello affermava che l'art. 2374 c.c. riconosce un diritto potestativo ai soci di minoranza, al quale corrispondeva un preciso dovere di disporre il rinvio I soci proponevano ricorso per cassazione. Il diritto potestativo dei soci ad ottenere il rinvio. La questione, giunta per la prima volta all'attenzione della Cassazione, attiene alla corretta interpretazione dell'art. 2374 c.c.: la norma riconosce ai soci, che riuniscono un terzo del capitale rappresentato dall'assemblea e dichiarino di non essere stati sufficientemente informati sugli oggetti posti in deliberazione, la facoltà di chiedere un rinvio dell'assemblea a non oltre cinque giorni. Secondo pacifica dottrina, la previsione che i soci possano chiedere il rinvio non si risolve nella mera facoltà di avanzare l'istanza, ma costituisce un vero e proprio diritto potestativo ad ottenere il differimento dei lavori assembleari. Le ristrette modalità di utilizzo del potere, e il termine breve (cinque giorni) del rinvio sono stati interpretati nel senso che la norma de qua conterrebbe una sorta di disciplina preventiva sull'abuso del diritto, che non sarebbe perciò configurabile rispetto all'art. 2374 c.c. Le ipotesi di abuso del diritto. La S.C. interviene su quest'ultimo punto: se è condivisibile l'assunto secondo cui non è possibile sindacare la dichiarazione posta a base della richiesta e attinente al grado di sufficienza delle informazioni dei soci, va invece integrata e corretta l'affermazione relativa alla sostanziale impossibilità di configurare l'abuso del diritto, riconoscendo, al contrario, che i soci potrebbero utilizzare il rinvio per fini meramente dilatori. La Cassazione ravvisa, in tutti i rapporti di diritto privato, una rilevanza degli obblighi di buona fede e correttezza sanciti in via generale dagli artt. 1175 e 1375 c.c., in applicazione dei quali è stato elaborato il principio per cui non è lecito abusare dei propri diritti per conseguire finalità, sostanzialmente lesive di interessi di più ampia portata, che trascendono quelle tutelate dalla norma. Il dovere di buona fede ha così portato in rilievo la figura del divieto di abuso del diritto, sia in materia contrattuale che in materia societaria (in particolare, con riferimento alla posizione della maggioranza rispetto a quella dei soci in minoranza). In sostanza, secondo la Cassazione, dalla portata generale del vincolo di correttezza e buona fede discende che il divieto di abuso del diritto non può escludersi, in via automatica e preventiva, in relazione al diritto di cui all'art. 2374 c.c. |