Al vaglio della Corte Costituzionale l’estensione del fallimento di una S.r.l. ai soci di fatto

La Redazione
14 Dicembre 2017

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 255 dello scorso 7 dicembre, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l.fall. sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma 1 e 24, comma 1 della Costituzione, dal Tribunale di Vibo Valentia.

La Corte Costituzionale, con sentenza n. 255 dello scorso 7 dicembre, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l.fall. sollevata, in riferimento agli artt. 3, comma 1 e 24, comma 1 della Costituzione, dal Tribunale di Vibo Valentia.

Il caso. Nel corso di una procedura fallimentare relativa ad una S.r.l., in cui il curatore aveva chiesto l'estensione del fallimento nei confronti di altra società a responsabilità limitata e di una impresa individuale sul presupposto dell'esistenza di una società di fatto tra tali soggetti,- il Tribunale di Vibo Valentia, ritenendola rilevante e non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3, comma 1, e 24, comma 1, Cost., sollevava questione di legittimità costituzionale dell'art. 147, comma 5, l.fall.. Secondo il rimettente, la norma - nel ricollegare alla dichiarazione del “fallimento di un imprenditore individuale” la possibilità del fallimento in estensione di altro soggetto che risulti socio (di fatto) dell'originario fallito - contrasterebbe, appunto, con i suindicati parametri costituzionali, nella parte in cui, nell'ipotesi di fallimento originariamente dichiarato nei confronti di una società di capitali, non ne consentirebbe, invece, la estensione ad altri soci di fatto, siano essi persone fisiche o società.

Estensione del fallimento e società di capitali. L'esegesi estensiva dell'art. 147, comma 5, l.fall., già condivisa da parte della giurisprudenza di merito e della dottrina, si è ormai consolidata in termini di diritto vivente per effetto di alcuni successivi e risolutivi interventi del giudice della nomofilachìa. La Cassazione, infatti, dopo aver dato risposta positiva all'interrogativo circa la fallibilità di una società di capitali, anche a responsabilità limitata, che si accerti essere socia di una società di fatto insolvente, allorché la partecipazione sia stata assunta in mancanza della previa deliberazione assembleare e della successiva indicazione nella nota integrativa al bilancio, richieste dall'art. 2361, comma 2, c.c. (si veda Cass. n. 1095/2016), ha poi espressamente escluso che la società di capitali, che abbia svolto attività di impresa operando in società di fatto con altri, possa poi sottrarsi alle eventuali conseguenze negative derivanti dalla sua condotta, ivi compreso il fallimento per ripercussione nel caso in cui sia accertata l'insolvenza della società di fatto (Cass. n. 10507/2016).

Estensione del fallimento e imprese individuali. Secondo la Corte Costituzionale, la Cassazione ha condivisibilmente osservato come al riferimento all'”imprenditore individuale” contenuto nell'art. 147, comma 3, l.fall. vada attribuita, ratione temporis, valenza meramente indicativa dello “stato dell'arte” dell'epoca in cui la norma è stata concepita, che non può essere di ostacolo ad una sua interpretazione estensiva che, tenuto conto del mutato contesto nel quale essa deve attualmente trovare applicazione, ne adegui la portata in senso evolutivo, includendovi fattispecie non ancora prospettabili alla data della sua emanazione. Un'interpretazione che conducesse all'affermazione dell'applicabilità della norma al solo caso (di fallimento dell'imprenditore individuale) in essa espressamente considerato, risulterebbe in contrasto col principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.

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