Canone (determinazione)

Ladislao Kowalsky
15 Dicembre 2017

Il canone di locazione rappresenta la redditività dell'investimento immobiliare. Nel nostro ordinamento la sua disciplina subiva, ai tempi del c.d. equo canone (1978/1998), la distinzione tra le locazioni destinate all'abitazione rispetto a quelle destinate agli usi diversi. A seguito della l. n. 431/1998 questa principale distinzione è venuta meno. Anche per l'abitativo, quindi, si è introdotta la libera ed originaria determinazione del canone. Le differenze sono rimaste, fondamentalmente, in tema di durata e di tutela dell'impresa. La quantificazione del canone, al di là della sua originaria determinazione, ha originato problemi rispetto a modifiche nel corso del rapporto.
Inquadramento

Nell'ambito delle locazioni,- le locazioni abitative disciplinate ai sensi degli artt. da 1 a 5 della l.n. 431/1998 , e quelle ad uso diverso disciplinate dagli artt. da 27 a 42 della l.n. 392/1978 - la originaria determinazione del canone è libera. Fanno eccezione, per l'abitativo, le c.d. locazioni convenzionate, studentesche universitarie e transitorie. Tali ultime, infatti devono applicare il canone di locazione previsto negli accordi territoriali tra le associazioni della proprietà edilizia e dell'inquilinato. Fermo ciò, attesa l'importanza del canone nell'ambito del rapporto che le parti pongono in essere, vale la pena di considerare tutto quanto seguente.

Canone, locazione e costituzione

Il canone costituisce l'interesse remunerativo dell'investimento immobiliare. Ciò unitamente all'altro importante aspetto costituito dall'incremento di valore del medesimo. Da questo insieme, costituzionalmente rilevante, si ottiene una rendita nonché il mantenimento della ricchezza rispetto ai fenomeni erosivi causati dall'inflazione e più in generale dalla perdita di valore della moneta. Va rilevato, quindi, che questo binomio costituisce una delle forme più tradizionali ed antiche per la tutela della ricchezza e del risparmio. Accanto a tale aspetto, squisitamente economico, vi è anche altrettanto importante aspetto sociale. Già da qui dobbiamo cominciare a distinguere, quindi, le diverse nature della locazione: quella abitativa e quella ad uso diverso.

La prima con importantissimi risvolti sociali collegati al diritto di accesso all'abitazione, secondo quanto recita l'art. 47 Cost., luogo ove, tra l'altro, viene fissato il proprio domicilio, inviolabile ex art. 14 della stessa.

Il secondo, con importantissimi risvolti economici attesa la primaria importanza della sede per ogni tipo di attività: commerciale, industriale, artigianale, professionale. Anche in questo caso si tratta di aspetti di stretta derivazione costituzionale legati alla tutela dell'iniziativa economica di cui all'art. 41 Cost.

Evidente, quindi, che sulla determinazione e sulla regolamentazione del canone si concretizzino forti attese, interessi e tensioni.

La normativa in tema di locazione si è molto dedicata a tali aspetti di carattere sociale ed economico riferiti alla durata, al canone ed in generale alla stabilizzazione del rapporto locativo. Al contrario, la disciplina normativa della locazione per diritti, doveri e contenuti è rimasta fortemente legata alle disposizioni del codice civile tutt'ora in vigore.

Potremo, quindi, dire che la disciplina vincolistica (dal 68 al 78) e poi quella delle leggi speciali (nn. 392/1978 e 431/1998) sul tema che ci riguarda e sino ad oggi, si siano interessate del valore del canone, durata del contratto, cessione, rinnovo e mantenimento dei rapporti e disposizioni processuali, laddove, come detto, il contenuto del contratto, in buona parte, è rimasto quello di cui agli artt. 1571 al 1615 c.c.

Canone abitativo

La determinazione del canone abitativo, a partire dal 30 luglio 1978, data di entrata in vigore della legge n. 392 c.d. dell'equo canone, dopo il decennio di proroghe, ha conosciuto tre diversi periodi: quello fino all'11 luglio 1992 con la disposizione sui c.d. patti in deroga, introdotti dal d.l. n. 333 convertito nella l. n. 359 e, poi, dal 30 dicembre 1998 con la liberalizzazione definitiva nella determinazione del canone a seguito della legge tuttora in vigore la n. 431/1998.

Si è quindi passati da un regime di canone “politico”, rappresentato dal c.d. «equo canone», alla possibilità di deroga con canone libero, ancorché collegato all'impegno del rinnovo quadriennale alla prima scadenza e da ultimo alla definitiva scelta della liberalizzazione non più in deroga, ma come disciplina ordinaria. Accanto a ciò il legislatore è sempre stato molto attento a garantire e mantenere un sufficiente termine di durata della locazione. La stessa viene, pertanto, sempre predeterminata con una forte tutela anche in relazione al rinnovo del rapporto.

Tipi di locazioni abitative

Attesa la stretta connessione tra canone e durata, vale la pena di ricordare, sempre nell'ambito abitativo, le distinzioni che vengono fatte:

In evidenza

locazione ordinaria

durata 4 + 4 canone libero

locazione convenzionata

durata 3 + 2 canone concordato

locazioni studentesche universitarie

durata massimo mesi 36, canone concordato

locazioni transitorie

durata massimo 18 mesi canone concordato

locazione di immobili ex l. n. 1089/39, A/1, A/8, A/9

codice civile

edilizia residenziale pubblica

leggi speciali

locazioni turistiche

libera

locazioni stipulate da enti locali come conduttori per esigenze transitorie

codice civile

Unificazione

L'art. 2 della citata l. n. 431/1998 ha, quindi, liberalizzato la determinazione del canone. Si è introdotto un sistema del tutto analogo a quello vigente, dal 1978, per le locazioni ad uso diverso. Va ricordato, infatti, che per le locazioni commerciali, artigianali, industriali e professionali nonché per le locazioni stipulate dagli enti previsti dall'art. 42 della l. n. 392/1978 (attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, sedi di partiti o sindacati, contratti stipulati dallo stato o enti pubblici territoriali quali conduttori), rimane vigente la citata norma in tutto il suo contenuto.

Per le abitazioni, al contrario, tutto l'impianto di determinazione del canone (artt. da 12 a 26 l. n. 392/1978), è stato, conseguentemente, abrogato con la definitiva eliminazione, quindi, del complesso conteggio che permetteva di determinare il canone di locazione in vigore tra il 1978 ed il 1998.

Rimangono, al contrario, diverse le disposizioni regolamentari e sanzionatorie dei due distinti tipi di locazione (art. 79 l. n. 392/1978 per l'uso diverso, e art. 13 l. n. 431/98 per l'abitativo).

Distinzione

Nella locazione abitativa, infatti, sono stati resi derogabili gli artt. 2 (disciplina delle sublocazioni), 4 (recesso del conduttore), 5 (inadempimento del conduttore), 6 (successione nel contratto) 8 (spese di registrazione), 9 (oneri accessori), 10 (partecipazione del conduttore all'assemblea dei condomini), 11 (deposito cauzionale). Escluso l'art. 7, ancorché non espressamente abrogato, in quanto incidente sull'obbligo di durata (art. 13, comma 3, l. n. 431/1998). Ciò è dipeso, sempre e solo per l'abitativo, dalla abrogazione dell'art. 79 della l. n. 392/1978 e dalla sostituzione del medesimo con l'art. 13 della nuova legge sulle locazioni abitative la n. 431/1998.

Quell'articolo, infatti, ha disposto la nullità di «… ogni pattuizione volta a determinare un importo del canone di locazione superiore a quello risultante dal contratto scritto e registrato. …» (disposizione tuttora in vigore anche dopo la modifica introdotta dall'art. 1, comma 59, l. n. 208/2015). È stata pertanto eliminata la maggiore previsione fino allora (30 dicembre 1998) vigente, contenuta nell'art. 79 della l. n. 392/1978. Quest'ultima, infatti, estendeva la nullità di «…ogni patto» non solo in relazione al canone di locazione, ma anche alla attribuzione al locatore di «… altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente (l. n. 392/1978) legge …». Ne deriva, pertanto e come detto, un ulteriore motivo di liberalizzazione, oltre al canone, introdotto per la materia abitativa dalla legge del 1998.

Tale aspetto, tuttavia, risulta in vigore per le locazioni c.d. del primo binario. Pertanto quelle caratterizzate dalla durata di anni 4+4. Per le altre locazioni abitative, al contrario, del secondo binario, c.d. 3+2, studentesche e transitorie, hanno a valere, sugli specifici punti, i «tipi di contratto» di cui all'art. 4-bis della l. n. 431/1998. Noto, infatti, che quei rapporti (art. 2, comma 3, e art. 5 l. n. 431/1998) sono regolati dalla convenzione nazionale (art. 4) che « … individua i criteri generali per la definizione dei canoni, anche in relazione alla durata dei contratti …» e dai canoni definiti dagli «… accordi in sede locali fra le organizzazioni della proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori maggiormente rappresentative …» (in via di revisione a seguito del d.m. 16 gennaio 2017 Ministero Infrastrutture e Trasporti, in G.U. n. 62 del 15 marzo 2017).

Giova ricordare, comunque e ad evitare equivoci, che l'art. 79 in tutto il suo rigore che limita, quindi, durata, canone e ogni “altro vantaggio” contrastante con le disposizioni dell'originario testo della l. n. 392/1978, rimane in vigore per le locazioni ad uso diverso. Nelle stesse, quindi, gli artt. sopra ricordati sono rimasti inalterati. Pertanto non si si potrà prevedere alcuna lecita deroga degli stessi.

Autoriduzione / sospensione

Altro aspetto fortemente legato al canone è quello relativo alla possibilità o meno di operare, in corso di rapporto, da parte del conduttore, la autoriduzione se non la totale sospensione nel pagamento. Rilevano, sul punto, i principi informatori della materia come quelli relativi agli obblighi del locatore di cui agli artt. 1575 ss. c.c. e per il conduttore dagli artt. 1587 ss. c.c.

Da considerare ulteriormente ed in ordine a tali obblighi, che quello di corresponsione del canone è certo, liquido ed esigibile, solitamente documentato da prova scritta. Laddove frequentemente, le contestazioni del conduttore, salva la totale perdita dell'uso dell'immobile o situazioni eclatanti, vanno assoggettate al preventivo accertamento. Aspetti rilevanti, questi ultimi, al fine della immediatezza di adempimento.

Sul punto l'interpretazione giurisprudenziale si è sempre mostrata particolarmente chiara, anteponendo per importanza, come detto, la certezza del dovuto per il canone, rispetto all'incertezza della contestazione. Tale aspetto, tra l'altro, presupposto dalle stesse disposizioni processuali in tema di sfratto per morosità. L'art. 665 c.p.c., prevede, infatti, che nell'indicato procedimento, il giudice, salvo che la opposizione non risulti fondata su prova scritta o non esistono gravi motivi, «… pronuncia ordinanza non impugnabile di rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto …» salva la eventuale cauzione che possa essere imposta.

Si tende, pertanto, nella giurisprudenza, a non riconoscere una sorta di autotutela ma, preferibilmente salva l'ipotesi di forte eccezione, la possibilità per il conduttore di dare preliminarmente la prova del venir meno del rapporto sinallagmatico che regola la locazione e, solo successivamente a tale accertamento, intervenire in ordine alle conseguenze sul canone corrisposto.

All'interno di eventuali tali situazioni, inoltre, si distingue tra la autoriduzione - cioè il pagamento in misura inferiore al dovuto, pur sempre considerato atto arbitrario ed illegittimo - dalla totale sospensione del pagamento del canone. La stessa può trovare giustificazione solo qualora vi sia la perdita dell'intero uso dell'immobile oggetto di locazione con il conseguente mancato utilizzo del medesimo.

La graduazione del canone

Frequentemente le parti non fissano un corrispettivo neanche unico da considerare quale canone per la durata del rapporto. Avviene, infatti, che per diversi motivi l'importo periodico dovuto sia previsto in misura diversa. Tale aspetto ha dato origine a non poche né facili interpretazioni da parte della giurisprudenza.

In un arresto del 2007, la Corte di Cassazione (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4210) ha fatto il punto sull'argomento. Sullo stesso, infatti, vi è stata una forte evoluzione giurisprudenziale con una sostanziale modifica in ordine all'argomento. Attesa la chiarezza della motivazione vale la pena riportarla per esteso secondo quanto segue:

ACCORDI DI GRADUAZIONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Prima interpretazione

In effetti con sentenza n. 6896 del 11 agosto 1987, questa Corte aveva affermato: tema di locazione di immobili urbani adibiti ad uso non abitativo, la clausola contrattuale avente ad oggetto la preordinata maggiorazione annuale del canone - in misura fissa o differenziata, anno per anno, a partire dal primo dopo la stipulazione di un contratto di durata legale - deve ritenersi illegittima alla luce della disposizione di cui all'art. 32 della l. n. 392/1978, (nella originaria formulazione) il quale, nel porre rigidi limiti cronologici e quantitativi alla convenzione di aggiornamento del canone per rivalutazione monetaria (aggiornamento biennale a partire dal primo giorno del quarto anno dall'inizio della locazione con riferimento al 75 per cento delle variazioni ISTAT del biennio precedente), tende a conservare un attenuato sistema di blocco dei canoni.

Seconda interpretazione

Invece, un difforme filone giurisprudenziale poi divenuto prevalente, sulla base del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, ha affermato, in linea di principio, la legittimità della clausola in cui venga pattuita la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ancorandola ad elementi predeterminati ed idonei ad influire sull'equilibrio economico del sinallagma contrattuale, del tutto indipendente dalle variazioni annue del potere di acquisto della lira, salvo che risulti - a seguito di un accertamento di fatto devoluto esclusivamente al giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità ove congruamente motivato - che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392/1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata, della l. n. 118/1985, art. 1, comma 9-sexies), incorrendo così nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della citata legge (Cass. civ., sez. III, 3 agosto 1987 n. 6695; Cass. civ., sez. III, 22 novembre 1994 n. 9878; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 1996 n. 4073; Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1997 n. 5632; Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997 n. 7973; Cass. civ., sez. III, 1 febbraio 2000 n. 1070; Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2000 n. 9227; Cass. civ., sez. III, 21 luglio 2003 n. 11320).

Veniva, quindi, enunciato il seguente principio di diritto: «in relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo in materia di locazione di immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale, che prevede future maggiorazioni del canone diverse dall'aggiornamento dell'art. 32 della l. n. 392/1978, per qualificarsi legittima, deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati, desumibili dal contratto e tali da essere idonei ad influire sull'equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta. Deve, inoltre, ritenersi legittima, quale espressione di autonomia contrattuale, la clausola con la quale venga pattuito un canone locativo costituito per una parte da una somma di danaro e per l'altra dal l'esborso di somme determinate per ristrutturazione e restauro dell'immobile locato».

Quest'ultimo filone interpretativo appare condivisibile in quanto giustificato tra l'altro dalla considerazione che se le parti sono libere di fissare un canone di qualsivoglia importo, deve ritenersi altresì possibile che nel contratto prevedano modifiche - anche in aumento - del canone medesimo nel corso del rapporto (non si vede ad es. perché debba essere vietato che un canone di 500 diventi di 700 dall'inizio del secondo anno di locazione in poi, dato che le parti ben potevano prevedere che quest'ultimo importo per tutta la durata del rapporto contrattuale, dall'inizio alla fine); l'unico divieto ricavabile dalla disciplina legislativa in esame ha invece per oggetto la previsione di aumenti non predeterminati nel contratto ma ancorati al mutato potere d'acquisto della moneta (l'art. 32 citato parla infatti, più propriamente, di aggiornamenti) - e pertanto ovviamente destinati ad avere una entità non prevedibile al momento della stipulazione di detto negozio giuridico.

In altri termini il legislatore ha limitato l'autonomia contrattuale solo con riferimento all'aggiornamento del canone in relazione alle variazioni del potere di acquisto della moneta; non sono quindi giustificate le tesi interpretative volte ad affermare la sussistenza di ulteriori limiti come quelli sostenuti della parte ricorrente.

Questa Corte, pur stimando di dover dunque continuare a seguire detta tesi interpretativa e quindi pur considerando sostanzialmente condivisibile il principio di diritto sopra enunciato, ritiene peraltro che il medesimo vada esposto in forma più chiara e meno suscettibile di indurre dubbi interpretativi (e quindi esegesi errate come quella esposta dalla parte ricorrente).

Detto principio va dunque esposto come segue: relazione al principio della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la clausola convenzionale che prevede la determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto, ovvero prevede variazioni in aumento in relazione ad eventi oggettivi predeterminati nel contratto (e del tutto diversi ed indipendenti rispetto alle variazioni annue del potere di acquisto della moneta) deve ritenersi in linea generale legittima (ex artt. 32 e 79 della legge sull'equo canone); solo nell'ipotesi in cui costituisca un espediente diretto neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria è invece illegittima e quindi nulla (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2007, n. 4210).

Successivamente e più recentemente, al riportato arresto, la Corte è andata ancor più in là. In un caso, infatti, nel quale si discuteva solo di «… ipotesi della predeterminazione differenziata del canone per frazioni di tempo nell'arco del medesimo rapporto …» ha statuito secondo quanto segue.

GRADUAZIONE ULTERIORE

Attuale orientamento sull'accordo di graduazione del canone di locazione

Alla stregua del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, deve ritenersi legittima la clausola in cui venga pattuita l'iniziale predeterminazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell'arco del rapporto; e ciò, sia mediante la previsione del pagamento di rate quantitativamente differenziate e predeterminate per ciascuna frazione di tempo; sia mediante il frazionamento dell'intera durata del contratto in periodi temporali più brevi a ciascuno dei quali corrisponda un canone passibile di maggiorazione; sia correlando l'entità del canone all'incidenza di elementi o di fatti (diversi dalla svalutazione monetaria) predeterminati e influenti, secondo la comune visione dei paciscenti, sull'equilibrio economico del sinallagma. La legittimità di tale clausola dev'essere peraltro esclusa là dove risulti - dal testo del contratto o da elementi extratestuali della cui allegazione deve ritenersi onerata la parte che invoca la nullità della clausola - che le parti abbiano in realtà perseguito surrettiziamente lo scopo di neutralizzare soltanto gli effetti della svalutazione monetaria, eludendo i limiti quantitativi posti dall'art. 32 della l. n. 392 del 1978 (nella formulazione originaria ed in quella novellata dall'art. 1, comma 9-sexies, della l. n. 118/1985), così incorrendo nella sanzione di nullità prevista dal successivo art. 79, comma 1, della stessa legge (Cass. civ., sez. III, 10 novembre 2016, n. 22909).

Aggiornamento Istat

Abbiamo visto come,per l'uso diverso, l'applicazione del c.d. aggiornamento sia rimasto quello previsto dall'art. 32 dalla l. n. 392/1978. Si tratta, nel combinato disposto con l'art. 79, di una norma inderogabile ancorché, alla luce di quanto sopra sostenuto e complice anche una svalutazione ridotta a valori minimali, del tutto anacronistica.

Tuttavia la stessa rimane nella sua disciplina ed applicazione e, pertanto, nella misura del 75% di quella accertata e decorrente dalla specifica richiesta che il locatore deve espressamente fare. Diversa situazione, al contrario, per l'uso abitativo.

La legge del 1998, infatti, ha eliminato qualsiasi riferimento ad aggiornamenti collegati alla svalutazione monetaria che, in precedenza, era regolata dall'art. 24, oggi abrogato, della l. n. 392/1978.

Ne consegue che per le abitazioni non vi è più alcuna previsione normativa di aggiornamento.

Tuttavia, a seguito della liberalizzazione nella determinazione del canone e per il generale principio, sempre rispettato ed ancora vigente per l'uso diverso, deve considerarsi ammissibile e liberamente determinabile fra le parti una clausola di aggiornamento. Ciò anche con modalità e termini diversi rispetto a quelli tradizionali. Fermo, ovviamente, il valore del canone come determinato nel contratto scritto e registrato.

Conclusioni

Da quanto sopra emerge come, allo stato, ferma la libera ed originaria determinazione nel valore del canone di locazione sia abitativo che ad uso diverso, gli accordi che prevedono la graduazione del canone nell'arco del rapporto, risultino fortemente liberalizzati. Il più recente orientamento, infatti, elenca proprio le singole ipotesi di:

  • rate differenziate;
  • frazionamento dell'intera durata, in periodi più brevi ognuno con canone diverso;
  • collegamento all'incidenza di elementi o fatti che influiscono sull'equilibrio economico del contratto.

L'unico limite è rappresentato dal divieto di prevedere il recupero della svalutazione monetaria sulla base di un criterio diverso da quello, obbligatorio per le sole locazioni ad uso diverso. Invero l'affermazione non risulta di facile comprensione ancorché sia sempre stata puntualmente considerata in tutti gli arresti della giurisprudenza.

Va considerato che l'orientamento giurisprudenziale sopra riportato, è espressamente riferito all'uso diverso. Tuttavia, a seguito della sostanziale unificazione delle due discipline, in relazione alla libera originaria determinazione del canone, deve considerarsi che le regole evidenziate per le locazioni ad uso diverso dovrebbero identicamente valere anche per l'uso abitativo. Salvo, in questo caso, escludere il riferimento alla clausola per l'aggiornamento della svalutazione monetaria atteso che, per tali ultime locazioni, come detto al precedente punto 9, non è più in vigore alcuna disposizione in tal senso.

Merita, inoltre e da ultimo, a completamento di questa breve trattazione, ricordare l'impatto che sul canone di locazione ha il rispetto dell'obbligo di registrazione del contratto. Ciò secondo quanto previsto dalla finanziaria del 2005, che stabilisce la nullità delle locazioni e dei contratti di utilizzo immobiliare se non registrati, con la specificazione, per l'uso abitativo, del novellato art. 13 della l. n. 431/1998.

Argomenti questi ultimi che per la loro portata, contenuto e per le varie interpretazioni anche giurisprudenziali (sintomatico il contrasto tra Cass.nn. 25503/16 e 10498/17), meritano una trattativa specifica.

Guida all'approfondimento

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, seconda edizione, Padova, 2005, 333;

Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010, 495;

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Torino, 2017, 1081.

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