I poteri del tribunale nella valutazione di fattibilità del piano concordatario secondo la legge delega

Chiara Ravina
18 Dicembre 2017

L'art. 6, lett. f) della legge delega di riforma concorsuale prevede che il Governo, nel delineare la disciplina dell'istituto del concordato preventivo, “determini i poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale”.
Premessa

L'art. 6, lett. f) della legge delega di riforma concorsuale prevede che il Governo, nel delineare la disciplina dell'istituto del concordato preventivo, “determini i poteri del tribunale, con particolare riguardo alla valutazione della fattibilità del piano, attribuendo anche poteri di verifica in ordine alla fattibilità anche economica dello stesso, tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale”.

La previsione sopra citata fa da pendant con quella contenuta nella lettera d) dell' art. 6 ove si chiede al Governo di “fissare le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano, nonchè determinare l'entità massima dei compensi spettanti ai professionisti incaricati dal debitore […]”.

Una lettura “combinata” delle due disposizioni sopra richiamate induce a ritenere che la delega si ponga l'obiettivo di far ridisegnare radicalmente al legislatore il sistema di accertamento della fattibilità del piano nell'ambito della procedura di concordato preventivo, ponendo al “centro del sistema” non più la figura ed il ruolo del professionista attestatore, quanto piuttosto quello del tribunale e, correlativamente, del commissario giudiziale; quest'ultimo, quale organo pubblico deputato a relazionare in punto di fattibilità non solo ai creditori, ma anche allo stesso tribunale sia in sede di relazione ex art. 172 l. fall., sia nelle varie situazioni in cui l'imprenditore chiede al tribunale di essere autorizzato a compiere atti potenzialmente rilevanti sull'esito del piano e sul soddisfacimento dei creditori (si pensi, inter alia, alle fattispecie di cui agli artt. 182 quater; 182 quinquies e 186 bis l. fall.).

E' interessante evidenziare che, sotto questo profilo, il testo conclusivamente elaborato pare più incisivo rispetto a quello licenziato, a suo tempo, dalla Commissione Rordorf (e approvato dal CdM nella seduta del 10 febbraio 2016), laddove nel primo dei due si fa espresso riferimento alla necessità di attribuire al tribunale poteri di sindacato anche in ordine alla fattibilità economica del piano. Viceversa, la Commissione si era limitata a richiedere al Governo di esplicitare i poteri del tribunale “con particolare riguardo: i) alla valutazione della fattibilità del piano, tenuto conto della specifica utilità indicata nella proposta ed alla luce dei criteri desumibili da consolidati orientamenti del giudice di legittimità”.

Si aggiunga poi che nella Relazione accompagnatoria alla proposta della Commissione Rordorf si dava atto di aver ritenuto non opportuno “in questa sede, pur dopo le modifiche normative introdotte nel testo dei vigenti artt. 160 e 161 legge fallimentare del d.l. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015, ulteriormente specificare i poteri di verifica della fattibilità del piano concordatario spettanti al tribunale, essendo sufficiente richiamare l'ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità quale parametro di riferimento per l'eventuale futuro legislatore delegato. Non persuade, infatti, l'obiezione secondo cui le suaccennate modifiche normative, nello stabilire la percentuale minima di pagamento da assicurare ai creditori chirografari e nel richiedere l'indicazione specifica dell'utilità che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore, avrebbero comportato il superamento dei principi precedentemente affermati dalla giurisprudenza a questo riguardo. Quei principi – nella fondamentale distinzione che pongono tra la valutazione della fattibilità in termini di prognosi circa il risultato economicamente conseguibile e la verifica in concreto dell'esistenza della causa negoziale sottostante alla proposta concordataria – appaiono pienamente compatibili con i più stringenti parametri cui la medesima proposta concordataria deve oggi attenersi, che pur sempre implicano tanto una valutazione di fattibilità economica quanto una verifica di fattibilità giuridica”.

Orbene, i “principi precedentemente affermati dalla giurisprudenza” cui fa riferimento la commissione sono evidentemente quelli esposti nel noto arresto della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 1521/2013, ove si è affermato il potere del giudice di sindacare la fattibilità del piano concordatario sotto il profilo della fattibilità giuridica del piano e anche della sua concreta realizzabilità, quest'ultima, soltanto,quando venga messa in discussione la causa concreta dello stesso, sicché l'interesse “tipico” dei creditori, oggettivizzato nello specifico piano, non può essere in alcun modo soddisfatto nelle forme e con le modalità prospettate dal debitore. Viceversa la fattibilità economica (rectius la convenienza, chiamata erroneamente fattibilità economica; cfr. F. Lamanna, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite: così se vi pare, in questo portale, 2016) sarebbe appannaggio esclusivo dei creditori, “guidati” nel loro apprezzamento, da un lato, dall'attestatore e, dall'altro lato, dalla relazione del commissario giudiziale ai sensi dell'art. 172 l. fall. Solo in caso di totale mancanza di causa concreta, nei termini sopra indicati, ritornerebbe in auge il ruolo del tribunale.

Come noto, la distinzione “coniata” dall'arresto in questione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” del piano, nonché la nozione di “causa concreta” del concordato, sono state molto criticate da autorevole dottrina in quanto prive di fondamento giuridico ed anzi, con riguardo alla seconda, frutto di una “sovrapposizione”, che ha generato una confusione dogmatica, tra il concetto di giudizio di fattibilità economica e giudizio di convenienza; entrambi impropriamente ricondotti nell'alveo concettuale delle valutazioni di merito della proposta (così F. Lamanna, L'indeterminismo creativo, cit.; e poi, successivamente, R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013). Senonchè, mentre la convenienza economica deve giustamente essere lasciata alla discrezionalità dei creditori; la fattibilità (anche) economica del piano non può non essere attentamente valutata anche dall'organo pubblico (tribunale), in quanto la fattibilità del concordato è unica. Il piano concordatario (e correlativamente, la proposta che su tale piano si basa) o sono fattibili o non lo sono.

Peraltro, la circostanza che il sindacato di fattibilità del tribunale debba estendersi anche ai profili economici del piano pare in realtà trovare fondamento in varie norme che regolano il concordato preventivo (si pensi, inter alia, all'art. 162 l. fall. ove si stabilisce che il tribunale in fase di ammissione alla procedura, deve valutare la ricorrenza dei presupposti degli artt. 160, comma 1 e 2 e 161 l. fall., i quali ultimi elencano i requisiti “minimi” che il piano/proposta devono presentare; tra questi, vi sono i requisiti da ultimo introdotti dal D.L. n. 83/2015 in termini di (i) percentuale minima di soddisfacimento dei creditori chirografari nella misura non inferiore al 20% del credito (art. 160, comma 4, l. fall.) e di utilità economica che il debitore si obbliga a dare ai creditori (art. 161 co. 2 lett. e) l. fall.), ivi incluse alcune di quelle da ultimo introdotte dal D.L. n. 83/2015 ove sono stati previsti ulteriori requisiti di ammissibilità della proposta di concordato - oggetto di esame del tribunale ai sensi dell'art. 162 l. fall.

Proprio queste ultime vengono richiamate nel passaggio della relazione al progetto sopra citato, sostenendo però che le stesse non si porrebbero in contrasto con i principi giurisprudenziali sanciti dalla pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 1521/2013 e della successiva giurisprudenza in tema, bensì confermerebbero quanto già affermato in tali arresti, circa il fatto che la proposta sia soggetta ad una verifica di fattibilità economica quanto giuridica (cfr. Relazione: “le suaccennate modifiche normative, nello stabilire la percentuale minima di pagamento da assicurare ai creditori chirografari e nel richiedere l'indicazione specifica dell'utilità che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore, avrebbero comportato il superamento dei principi precedentemente affermati dalla giurisprudenza a questo riguardo). In altri termini, nel testo della commissione, come approvato in sede di CDM del 10 febbraio 2016, la fattibilità economica come oggetto del sindacato del tribunale pare essere richiamata solo indirettamente ed implicitamente attraverso il riferimento alla valutazione dell'utilità economica indicata nella proposta concordataria (evidente richiamo al disposto dell'art. 161, comma 2, lett. e) l. fall. come modificato dal D.L. n. 83/2015 secondo cui la proposta deve indicare “in ogni caso” “l'utilità specificamente individuata e economicamente valutabile che il proponente si obbliga ad assicurare a ciascun creditore”) ed all'interpretazione giurisprudenziale sul punto; interpretazione che, però, a nostro sommesso avviso, non è sempre stata così chiara ed univoca (cfr. infra par. 3.).

Proprio per tale ultima ragione, crediamo che si debba accogliere con estremo favore la precisazione introdotta in sede di approvazione del testo alla Camera, con il chiaro riferimento al fatto che la fattibilità che il tribunale è chiamato a valutare con i poteri che verranno declinati nella legislazione delegata, è anche quella economica. E che tale valutazione deve tenere conto anche dei rilievi del commissario giudiziale.

Tale specificazione consentirà di chiarire una volta per tutte, a livello normativo (e non solo di mera interpretazione della distinzione giurisprudenziale tra fattibilità economica/fattibilità giuridica/convenienza) che il tribunale è chiamato a valutare la fattibilità del piano in tutte le sue sfaccettature (sia economiche, sia strettamente giuridiche). In tal modo, dovrebbe potersi superare l'artificiosa distinzione tra fattibilità giuridica e fattibilità economica, introdotta dall'arresto delle Sezioni unite sopra menzionato.

Altrettanto rilevante è poi il richiamo al ruolo del commissario giudiziale, altro organo pubblico chiamato ad esprimersi in tema di fattibilità nella relazione ex art. 172 l. fall., in base alla legislazione attualmente vigente.

Dalla lettura della delega pare potersi evincere l'intenzione del legislatore di attribuire a quest'ultimo organo un potere incisivo nella valutazione della fattibilità del piano concordatario, nell'ambito del quale il commissario andrebbe pressocchè a sostituire l'attestatore; figura quest'ultima di cui il progetto Rordorf suggerisce, addirittura, l'abolizione.

Al riguardo, richiamiamo un passaggio della relazione di accompagnamento al progetto di legge, ove si dà atto del fatto che la valutazione di fattibilità del piano di concordato viene già svolta dal commissario giudiziale, in particolare quando lo stesso sia già stato nominato nella fase di pre-concordato, e che, pertanto, non vi è alcuna ragione per mantenere in essere la figura dell'attestatore: “E' dubbio se, nel rinnovato quadro normativo che s'intende disegnare, conservi reale utilità la figura del professionista indipendente – ma pur sempre designato dallo stesso debitore – chiamato ad attestare la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano concordatario (oltre alle altre numerose, ma eventuali, funzioni attribuitegli nell'ambito della procedura di concordato dalla normativa vigente). Quanto meno nelle ipotesi in cui la domanda di concordato sia lo sbocco di una precedente procedura stragiudiziale di composizione assistita della crisi, è ragionevole ipotizzare che la suddetta funzione attestatrice possa essere stata già adeguatamente assolta dal professionista designato a seguire tale procedura.

Più in generale, del resto, l'esperienza di questi ultimi anni – specialmente dopo le modifiche introdotte nel testo dell'art. 161 del r.d. n. 267 del 1941 dall'art. 82, comma, 1, lett. b), del d.l. n. 69 del 2013, convertito nella legge n. 98 del 2013, che ha consentito la nomina del commissario giudiziale anche nella fase di presentazione della domanda di concordato con riserva – sembra suggerire che le attestazioni del professionista sono quasi sempre destinate a successiva revisione ad opera del commissario giudiziale, col concreto rischio di una sostanziale duplicazione di attività e di conseguente spreco di tempo ed aumento finale dei costi per l'impresa. Siffatti dubbi hanno indotto a lasciare aperta la possibilità che il futuro legislatore delegato riveda l'attuale sistema di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di attestazione di fattibilità del piano concordatario e, più in generale, chiarisca, anche alla luce delle indicazioni già in proposito formulate dalla giurisprudenza di legittimità, il contenuto dei poteri del tribunale, con particolare riguardo proprio alla valutazione di fattibilità del piano” (a mero titolo descrittivo, segnaliamo che il passaggio della relazione illustrativa sopra citato è stato richiamato anche nelle Schede di lettura elaborate dal Servizio Studi della Camera (n. 423 del 19 aprile 2016), che, però, sono prive di valenza normativa e/o di valenza esterna).

La legge delega non prevede espressamente l'abolizione della figura dell'attestatore, ma certamente la ratio della riforma che risulta dai relativi atti e documenti depone in tal senso.

In conclusione, l'assetto che pare emergere è dunque quello in cui la sussistenza del requisito di fattibilità del piano sia “presidiato” dall'organo pubblico (tribunale + commissario giudiziale) e non più, o comunque, non solo e non prevalentemente dall'attestatore - il quale per quanto soggetto a requisiti di indipendenza, professionalità e obblighi giuridici, la cui violazione è sanzionata penalmente - resta comunque un soggetto scelto e pagato dal debitore (cfr. infra nota 4).

L'obiettivo di fondo pare essere quello di rafforzare, in ultima analisi, la tutela dei creditori concordatari, che, negli ultimi anni, sono stati spesso “vittime” di proposte concordatarie attestate come fattibili ai sensi dell'art. 161, comma 3, l. fall. (e quindi approvate ed omologate, stante il controllo di “secondo grado” del tribunale sul requisito della fattibilità) e poi rivelatasi tutt'altro che attuabili (cfr. infra par. 2.).

Orbene, fermo che le motivazioni che hanno comportato l'inattuabilità di queste proposte, nonché il ruolo ed i limiti entro cui il tribunale ed il commissario sono intervenuti nella valutazione della fattibilità, andrebbero viste caso per caso, resta il fatto che le predette situazioni si sarebbero verificate meno frequentemente in presenza di un assetto normativo che attribuisse poteri diretti ed incisivi al tribunale ed al commissario giudiziale di sindacare la fattibilità già in fase di ammissione della proposta e del piano, oltre che nel corso di tutta la restante procedura.

L'attuale assetto normativo in tema di valutazione di fattibilità del piano: attestatore - tribunale - commissario giudiziale ed i precedenti tentativi di riforma

Preliminarmente allo svolgimento di alcune considerazioni sui possibili contenuti della futura legislazione, pare utile delineare per sommi capi l'attuale assetto di poteri tra gli organi della procedura nella determinazione/valutazione della fattibilità del piano di concordato e l'evoluzione legislativa che ha condotto ad esso.

Al riguardo, ricordiamo che, prima della riforma introdotta dal D.L. n. 35/2005, nel concordato preventivo era il tribunale a dover valutare ex ante sia la fattbilità del piano sotteso alla proposta concordataria, sia la maggiore convenienza o meno per i creditori dell'ipotesi concordataria rispetto all'ipotesi fallimentare.

I primi interventi di riforma – ispirati ad un approccio debtor oriented - hanno introdotto la figura dell'attestatore, professionista scelto dallo stesso debitore con il compito di attestare la fattibilità del piano di cui alla proposta di concordato preventivo. L'attestatore, professionista scelto, lo ribadiamo, dal debitore medesimo, ha pertanto sottratto al tribunale parte dei suoi compiti.

Le successive riforme (D.Lgs. 169/2007, D.L. n. 83/2012, sino al più recente D.L. n. 83/2015) hanno ulteriormente incrementato gli incombenti e le attività dei professionisti “della crisi”. Si pensi alle varie attestazioni specifiche ed a tutte le conseguenti problematiche derivanti dalla pluralità di attestazioni, come quella relativa alla necessità o meno di incaricare professionisti diversi.

Si potrebbe allora pensare che dietro norme volte apparentemente a favorire il debitore vi sia anche l'ulteriore finalità di favorire occasioni di lavoro e guadagni per alcune categorie di professionisti attraverso l'introduzione di attività ed incombenti da devolversi necessariamente ad esperti in materie economico-giuridiche.

E' questa l'opinione di un'autorevole dottrina (cfr. F. Lamanna, Osservazioni sul DDL delega della Commissione Rordorf, in questo portale, Focus del 22 settembre 2016) la quale ha fatto notare come, a seguito di questo proliferare di attestazioni ed incombenti da devolvere ai professionisti, il concordato preventivo sia divenuto una delle procedure concorsuali più costose per il debitore.

Il medesimo Autore fa notare come nel concordato preventivo, come da ultimo riformato, venga coinvolto un elevato numero e una varietà di figure professionali:

(i) uno o più advisor per la predisposizione del piano;

(ii) un esperto attestatore per l'attestazione di fattibilità del piano; quest'ultimo si avvale in certi casi anche di un revisore contabile o di una società di revisione per poter certificare la veridicità dei dati aziendali; nonché di esperti in singole materie laddove l'oggetto sociale dell'impresa richieda il possesso di particolari competenze tecniche e /o di conoscenza di un certo business specifico;

(iii) uno o più legali per la predisposizione e presentazione del ricorso ex art. 161 l. fall. e, in generale, per l'assistenza giuridica avanti il tribunale competente;

(iv) due o più periti (per la stima mobiliare/immobiliare/aziendale, oltre che per rendere attestazioni speciali: ex art. 160 secondo comma, 182 quinquies, 182 septies l. fall.);

(v) un pre-commissario;

(vi) un commissario giudiziale;

(vii) altri periti (periti estimatori endoconcordatari eventualmente nominati dal giudice delegato);

(viii) un liquidatore giudiziale (in caso di concordato preventivo liquidatorio; mentre, come noto, tale figura non è prevista per i concordati con continuità aziendale o concordati per garanzia);

e di come tale ingente numero di professionisti e la prededucibilità dei crediti derivanti dai relativi compensi abbiano reso il concordato preventivo la procedura concorsuale di gran lunga più costosa. Certamente più del fallimento, ove il professionista coinvolto è esclusivamente il curatore, cui si possono aggiungere eventuali legali incaricati per azioni di recupero crediti e/o azioni revocatorie o di responsabilità verso amministratori e sindaci; tutte azioni che, però, in ultima analisi, hanno fini di reintegrazione della massa attiva.

A ulteriore conferma di quanto precede, il nostro Autore richiama le considerazioni contenute nella ANALISI DELL'IMPATTO DELLA REGOLAMENTAZIONE (AIR) ove si dà espressamente atto che “Per quanto riguarda i costi in prededuzione (in particolare, per i compensi ai professionisti che a vario titolo si occupano delle procedure concordatarie), emerge che il concordato preventivo comporta esborsi superiori al 30% dell'attivo, mentre quelli del fallimento sono decisamente più contenuti (5%). Ciò ovviamente incide negativamente sull'effettività della tutela dei diritti dei creditori, che potranno soddisfarsi solo sul residuo”.

In questo scenario, occorre, poi considerare come solo una bassa percentuale dei procedimenti di concordato preventivo introdotti si definisca con l'esecuzione di quanto proposto dal debitore ai propri creditori (secondo i dati riportati nella AIR tali percentuali ammontano, rispettivamente, al 2,28% nel 2012, 2,42% nel 2013 e 4,55% nel 2014).

In tutti gli altri casi, invece, i procedimenti si arrestano prima, perché il Tribunale non ammette il debitore alla procedura di concordato preventivo, o perché il concordato viene revocato per atti di frode (art. 173 l. fall.) o perché i creditori non approvano il concordato o, ancora, perché il tribunale non lo omologa. Si può, quindi, dire che il concordato, nella maggior parte dei casi, incappa in un “incidente di percorso” che impedisce di assolvere lo scopo di soddisfare i creditori. Non va poi trascurato l'ingente numero di casi in cui il concordato preventivo – spesso nella forma del c.d. “concordato in bianco” – viene proposto a meri fini “dilatori”, senza alcun intento di presentare al ceto creditorio una proposta “seria” di ristrutturazione del debito/liquidazione degli assets residui dell'impresa

In altri termini, sono tre - attestatore, commissario giudiziale e tribunale – i soggetti che nell'ambito del concordato preventivo si occupano di verificare che il programma economico, proposto dall'imprenditore per soddisfare i propri creditori secondo le percentuali indicate nel piano, sia fattibile.

La circostanza che il medesimo incombente venga svolto da tre soggetti diversi è di per sé segno di “inefficienza”; se poi aggiungiamo che il controllo di fattibilità del piano di concordato è un'attività che deve essere svolta nell'interesse del ceto creditorio, al fine di consentire di esprimere un voto consapevole ed informato, allora occorre riflettere sul fatto che l'attestatore venga nominato dal debitore e, soprattutto, riceva da questi il suo compenso.

In questo contesto, risulta davvero difficile immaginare che l'esperto possa rilasciare un'attestazione negativa di fattibilità o quantomeno impossibile che essa venga allegata al piano depositato in tribunale.

Ora, mettendo insieme tale circostanza con quella per cui il controllo del tribunale sulla fattibilità è, nell'attuale regime, di “secondo grado” e limitato alla c.d. fattibilità giuridica, l'autorevole dottrina (cfr. F. Lamanna, op. cit.) ha tratto la conclusione – a nostro modo di vedere condivisibile – per cui la soluzione al problema va individuata in un taglio radicale del numero e dell'intervento di professionisti nell'ambito della procedura ed al conferimento di maggiori poteri sul punto sia al tribunale (come, del resto, la l'art. 6 lett. f) richiede espressamente) sia al Commissario Giudiziale.

E' quanto si può evincere dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni unite n. 1520/2013 i cui contenuti possono essere schematicamente delineati come segue (cfr. ex multis D. Galletti, Il sindacato del giudice nel concordato preventivo un anno dopo: prove tecniche di actio finium regundorum?” in questo portale, 2014):

  • il concordato preventivo assolve a finalità di carattere pubblicistico, ed è connotato da esigenze di tutela di interessi anche esterni a quelli dell'impresa, rappresentati soprattutto dal ceto creditorio, la cui “amministrazione” è rimessa soprattutto al Giudice;
  • il controllo del Tribunale non attiene alla convenienza della proposta, che è rimessa esclusivamente al ceto creditorio (a condizione che essi siano informati in modo corretto);
  • il controllo del Tribunale non è di contenuto prestabilito ed astratto, ma va adattato al caso concreto;
  • il controllo del Tribunale non è di secondo grado, non si svolge cioè esclusivamente sulla relazione dell'attestatore, ma è diretto, ed ha per oggetto anche la sostanza ed il merito della domanda, potendosi discostare in concreto dal giudizio dell'attestatore stesso;
  • il controllo del Tribunale non è meramente formale, né di mera regolarità, ma attiene anche al contenuto del piano;
  • il Giudice può e deve sindacare la fattibilità giuridica del piano;
  • il Giudice può e deve altresì sindacare la concreta realizzabilità del piano, quando viene messa in discussione la causa concreta dello stesso, sicché l'interesse “tipico” dei creditori, oggettivizzato nello specifico piano, non può essere in alcun modo soddisfatto nelle forme e con le modalità prospettate dal debitore;
  • il concordato preventivo è uno strumento di “regolazione della crisi”, volto al suo superamento, sicché non può non essere sanzionato il suo utilizzo quando esso nel caso concreto deflette da tale funzione.

Non ci riferiamo solo all'attestatore incaricato della relazione ex art. 161, comma 3, l. fall., ma altresì ai vari esperti coinvolti nelle attestazioni specifiche ovvero i periti/consulenti che spesso vengono nominati nella fase ante concordataria.

Secondo l'Autore, tali attività potrebbero essere svolte da soggetti nominati una volta sola, all'occorrenza, dal giudice delegato, a procedura già avviata, per supportare gli accertamenti del commissario giudiziale.

Peraltro, se si attribuisse al commissario giudiziale il compito di verificare la fattibilità del piano, probabilmente si ovvierebbe ad un'ulteriore problematica che il sistema attuale comporta e cioè quella concernente la pluralità di attestazioni e la necessità che le stesse vengano svolte da professionisti distinti, onde evitare che venga meno il requisito di indipendenza.

Al riguardo si possono fare vari esempi (cfr. al riguardo lo scritto di A. Pisani Massamormile, I professionisti nelle procedure concordate della crisi, in AA.VV. Società, banche e crisi di impresa, III, Torino, 2014, 3085-3112).

(a)Tra i casi più ricorrenti nella prassi ci sono quelli di coesistenza tra la relazione sulla fattibilità del piano di concordato in generale ex art. 161, comma 3, l. fall. e la relazione giurata ex art. 160, comma 2, l. fall. In questo caso, depongono a favore dell'affidamento delle relazioni a due professionisti diversi, sia argomenti relativi all'indipendenza di giudizio, sia argomenti relativi alle diverse competenze necessarie per predisporre le due relazioni.

Sotto il profilo dell'indipendenza, è evidente che la fattibilità del piano è strettamente correlata al dato relativo alla capienza degli immobili ipotecati ogniqualvolta il piano non preveda il soddisfacimento integrale dei creditori privilegiati. L'alterità dei due professionisti è necessaria per evitare che nell'offrire la valutazione del cespite si venga influenzati dal tipo di piano in corso di elaborazione e, reciprocamente, per evitare che la attestazione sulla fattibilità del piano sia “viziata” dalla valutazione già resa sulla capienza degli immobili.

(b) Un ulteriore esempio di pluralità di attestazioni che richiedono la necessaria alterità dei professionisti si ha in caso di successione tra la domanda di concordato preventivo e quella di omologazione di un accordo di ristrutturazione dei debiti. Come noto, ai sensi dell'art. 161, comma 6, l. fall., nel termine compreso tra 60 e 120 giorni dal deposito della domanda di pre-concordato, l'imprenditore può depositare, anziché una domanda corredata da piano e proposta concordatari, una domanda ai sensi dell'art. 182 bis l. fall. Analogamente, a mente dell'art. 182 bis ultimo comma l. fall., nei termini assegnati dal tribunale, il debitore può presentare una domanda di concordato preventivo.

In entrambe le ipotesi, la proposta di concordato e l'accordo ex art. 182 bis l. fall. devono essere accompagnate dalla relazione di un professionista munito dei requisiti di indipendenza e professionalità previsti all'art. 67, co. 3, lett. d) l. fall. e attestare, da un lato, la veridicità dei dati aziendali posti alla base del piano e, dall'altro lato, la concreta attuabilità dell'accordo ex art. 182 bis l. fall. (l'articolato dell'art. 182 bis l. fall. fa riferimento al concetto di “attuabilità dell'accordo con particolare riferimento alla sua idoneità ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei”).

Una relazione analoga – l'art. 182 bis, co. 6, l. fall. a cui facciamo riferimento parla di “dichiarazione del professionista circa l'idoneità della proposta, se accettata, ad assicurare l'integrale pagamento dei creditori con i quali non sono in corso trattative o che hanno comunque negato la propria disponibilità a trattare”- è richiesta anche ai sensi della norma sopra citata per ottenere la sospensione temporanea delle azioni esecutive e cautelari individuali ed il temporaneo divieto dell'acquisto di titoli di prelazione.

Quindi, in sintesi: (i) si può depositare una domanda di pre-concordato ex art. 161, comma 6, l. fall. e poi passare all'istituto dell'art. 182 bis l. fall.: in questo caso non sorgerà alcuna problematica di “intreccio” tra relazioni dei professionisti, in quanto per il ricorso di pre-concordato non è necessaria alcuna attestazione. Oppure (ii) si può depositare una proposta di accordo e chiedere l'anticipazione degli effetti sospensivi delle azioni esecutive e cautelari ai sensi dell'art. 182 bis co. 6 l. fall., con la relativa “dichiarazione” del professionista; successivamente, depositare l'accordo accompagnato dalla relazione sulla fattibilità - così da mantenere gli effetti di “automatic stay” delle azioni esecutive e cautelari individuali – e, anteriormente all'omologa, presentare una domanda di concordato preventivo; o, addirittura, presentarla dopo la proposta di accordo ex art. 182 bis, comma 6, l. fall.

Orbene, in questo caso, vi sono varie ragioni per ritenere che i professionisti incaricati delle relazioni nei due procedimenti (rispettivamente, il concordato preventivo e l'accordo di ristrutturazione dei debiti) debbano essere distinti, sia per preservare il requisito dell'indipendenza, sia per garantire quello della professionalità.

Sotto quest'ultimo profilo, si consideri come il professionista della relazione ex art. 182 bis l. fall., oltre che la “veridicità dei dati aziendali” deve attestare l'idoneità del piano ad assicurare il pagamento integrale dei creditori estranei, ovverosia l'attuabilità del contratto. Per fare ciò, potrebbero essere idonee le competenze di un avvocato, magari coadiuvato da un esperto contabile per il profilo di veridicità dei dati aziendali. Diverso, invece, è il compito attribuito all'attestatore del piano di concordato che deve verificarne la fattibilità sotto il profilo economico-patrimoniale e finanziario.

Anche con riguardo al requisito dell'indipendenza, è evidente che se fosse il medesimo soggetto a dover, da un lato, attestare l'attuabilità dell'accordo e, dall'altro lato, la fattibilità del piano, si rischierebbe un giudizio “benevolo” sul secondo, per supportare la dichiarazione positiva sul primo.

(c)Ulteriori ipotesi in cui appare opportuna l'alterità dei professionisti che rendono le attestazioni, si riscontrano nell'ambito dell'art. 186 bis l. fall.

In particolare, si è ritenuto che il professionista che attesta che la continuità soddisfa il miglior interesse dei creditori possa essere il medesimo chiamato ad attestare la fattibilità del piano; laddove, invece, occorre incaricare un diverso professionista per l'attestazione di cui al 4 comma lett. a) della norma in esame: questi, infatti, deve dire se è o meno conforme al piano la partecipazione dell'impresa alla procedura per l'assegnazione di un contratto pubblico.

Alla luce del quadro sopra delineato e volendo sintetizzare l'attuale assetto del giudizio di fattibilità nel nostro sistema giusfallimentare, si può affermare quanto segue:

(i) il controllo di fattibilità del piano compete a tre soggetti: attestatore – commissario giudiziale – tribunale;

(ii) il controllo del tribunale è un controllo, essenzialmente, di “secondo grado” in quanto ha ad oggetto la fattibilità giuridica del piano.

Ed infatti, se è vero che l'arresto della Cass. n. 1521/2013 è stato interpretato da autorevole dottrina nel senso di attribuire al tribunale il sindacato anche sulla fattibilità economica, del piano, lasciando appannaggio del ceto creditorio la valutazione di mera convenienza (Cfr. ex multis, I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano di concordato dopo la sentenza 23 gennaio 2013 n. 1521: la prospettiva “funzionale” aperta dal richiamo alla “causa concreta”, in Fall., 2013 e in particolare ove l'Autrice osserva come la prognosi di realizzabilità dell'attivo concordatario che le Sezioni Unite vogliono rimessa ai creditori – come fattibilità economica - deve essere intesa nel senso che è riservata al ceto creditorio “l'accettazione dell'alea delle condizioni di mercato”, ma non già “l'autorizzazione a procedere di un concordato in cui sia già prevedibile l'esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano (per ragioni di infattibilità giuridica o economica poco importa, poiché è vero che quella distinzione non dev'essere eccessivamente enfatizzata)”. Nello stesso senso M. Fabiani, Guida rapida alla lettura di Cass. S.U. 1521/2013 in Il Caso, 30 gennaio 2013 secondo cui la distinzione tra “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” non deve essere eccessivamente enfatizzata in quanto ciò che conta, ai fini della valutazione della fattibilità, è la sussistenza o meno di un prevedibile esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano; se poi ciò accade per ragioni di infattibilità “giuridica” ovvero “economica”, poco importa.), è altrettanto vero che la giurisprudenza successiva ha, per lo più, dato un'interpretazione strettamente letterale ai concetti di fattibilità giuridica-fattibilità economica–causa concreta, affermando che la fattibilità giuridica della proposta implica un giudizio in ordine alla “compatibilità delle modalità di attuazione del piano con norme inderogabili e con la causa concreta dell'accordo avente le sueposte finalità [superamento della crisi ndr]” (così ex multis, Cass. 4 luglio 2014 n. 15345, Cass. 17 ottobre 2014 n. 22045; Cass. 30 aprile 2014, n. 9541) e che la fattibilità giuridica del piano va intesa come “compatibilità delle modalità di

attuazione delle proposte

con le

norme giuridiche vigenti

, … la cui mancanza, comportando l'impossibilità di dare esecuzione alla proposta, può e deve essere rilevata ex officio dal Giudice” (così da ultimo, Cass. 29 gennaio 2015, n. 1726). Analoga definizione di fattibilità giuridica – come non contrarietà del piano, della proposta e dei rispettivi atti attuativi a norme imperative - si rinviene nella giurisprudenza di merito (cfr. ex multis, Corte d'Appello Catania, 20 aprile 2015, n. 654 (sent.), secondo cui “il perimetro valutativo riservato al Tribunale in punto di ammissibilità del concordato preventivo è circoscritto alla verifica della contrarietà a norme imperative delle modalità di attuazione del piano concordatario”; Tribunale Siena, 20 febbraio 2015 (decr.) che definisce la fattibilità giuridica come “non incompatibilità del piano con norme inderogabili”; Tribunale Prato, 30 aprile 2014 (decr.));

(iii) il coinvolgimento di una pluralità di soggetti per la stessa valutazione dà luogo ad un sistema inefficiente (in termini di tempo e di costi, anche considerata la natura prededucibile dei compensi dei professionisti coinvolti) e, in ultima analisi, poco tutelante per il ceto creditorio, come dimostrano le statistiche citate in precedenza secondo cui solo una bassa percentuale dei procedimenti di concordato preventivo introdotti si definisca con l'esecuzione di quanto proposto dal debitore ai propri creditori.

(iv) la scarsa tutela del ceto creditorio nell'attuale sistema di valutazione di fattibilità del piano è la logica conseguenza del fatto che il soggetto a cui, più di tutti gli altri, compete l'analisi dettagliata del profilo in questione, ovverosia l'attestatore, è un soggetto “privato” di “emanazione” del debitore stesso. Conferma del fatto che la figura dell'attestatore – come soggetto “privato” di nomina del debitore - non sia strettamente “indispensabile” vi è la circostanza che essa rappresenta una figura tipica del nostro sistema giusconcorsuale, che non si riscontra in altri ordinamenti.

A titolo esemplificativo, citiamo l'ordinamento nordamericano ove non è prevista né la figura dell'attestatore né quella del commissario giudiziale nell'ambito della procedura del c.d. Chapter XI (la figura del trustee e dell'examiner sono meramente eventuali). Viceversa, un ruolo fondamentale nella verifica della concreta fattibilità del piano sottoposto ai creditori è data alla Corte che, in sede di udienza di omologazione, ha poteri particolarmente incisivi al riguardo (essendo chiamata a valutare la sussistenza del requisito di fattibilità sia sotto il profilo di quella che la nostra S.C. ha chiamato “fattibilità giuridica”, sia sotto il profilo della fattibilità economica) fermo restando che, in mancanza di opposizioni, la Corte non si pone neppure il problema della fattibilità, non potendosi sostituire alla volontà del ceto creditorio.

Ciò detto, ci si potrebbe interrogare se sia o meno opportuno abolire del tutto la figura dell'attestatore ovvero riservargli un ruolo limitatamente ai casi in cui sono necessarie competenze in materia di contabilità e dati di bilancio, ovverosia nella verifica della veridicità dei dati aziendali; verifica che ha un carattere più oggettivo rispetto al giudizio prognostico di fattibilità. Un'altra ipotesi in cui potrebbe risultare possibile mantenere la figura dell'attestatore è quella delle c.d. attestazioni speciali (si pensi a quelle relative ai finanziamenti interinali, ovvero all'autorizzazione al pagamento di creditori anteriori per prestazioni essenziali); tutte ipotesi in cui vengono in considerazione competenze tecniche specifiche e circoscritte e, in ogni caso, non coincidenti con il profilo più generale della “fattibilità” del piano.

Il giudizio di fattibilità del tribunale previsto nella delega

Nel quadro sopra delineato e considerate le indicazioni contenute nella legge delaga – che prevedono, da un lato, un'intensificazione del ruolo del tribunale e del commissario giudiziale nella valutazione della fattibilità del piano; e, dall'altro lato, la necessità di ridimensionare radicalmente la portata del ruolo dell'attestatore all'interno della procedura – si potrebbe ipotizzare che il legislatore non abolisca del tutto tale figura, ma piuttosto la “riconfiguri” in maniera netta con riguardo, in particolare, ai reciproci rapporti/ambiti di competenza tra tribunale-commissario giudiziale-attestatore nel giudizio di fattibilità del piano.

Tale ipotesi si fonda sulla lettura congiunta della lettera f) dell'art. 6 della delega - che, per l'appunto chiede al futuro legislatore delegato di declinare i poteri del tribunale di esprimersi sulla fattibilità del piano - e della lettera d) del medesimo articolo, ove si chiede al medesimo di “fissare le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano, nonché determinare l'entità massima dei compensi dei professionisti incaricati dal debitore […]”).

Ora, se l'intento fosse stato quello di abrogare tout court l'attestatore, ragionevolmente la lettera d) non avrebbe fatto riferimento, nella stessa sede, da un lato, alle modalità di accertamento di veridicità e fattibilità del piano e, dall'altro lato, al compenso dei professionisti (plurale) incaricati dal debitore.

Questa connessione induce a pensare che l'attestatore possa venire “riconfigurato”, passando dalla posizione attuale di soggetto che deve essere munito di requisiti di indipendenza/terzietà (seppur nominato e scelto dal debitore) ad un consulente del debitore (che, a nostro sommesso avviso, è ciò che l'attestatore rappresenta già oggi nella sostanza, visto è considerato che egli non solo è scelto dal debitore, ma soprattutto è pagato da quest'ultimo, per quanto i costi gravino, poi, in ultima analisi, sulla massa concordataria).

Potrebbe quindi configurarsi un “sistema” di valutazione della fattibilità del piano concordatario a “doppio binario”, privatistico e pubblicistico, ove il binario “privatistico” vedrebbe coinvolti (i) l'advisor finanziario del debitore, incaricato di predisporre il piano di concordato, (ii) l'advisor legale e (iii) l'attestatore, con il compito di fornire un parere “terzo” sul lavoro degli advisors legale e finanziario sotto il profilo della veridicità dei dati aziendali e della fattibilità del piano (e della proposta) concordatari.

Il binario “pubblicistico” coinvolgerebbe il tribunale (e/o il giudice delegato, nella fase successiva all'ammissione alla procedura) ed il commissario giudiziale ovvero il pre-commissario nella fase (eventuale) del pre-concordato.

Il sindacato di fattibilità dovrebbe ovviamente avere identico oggetto per tutti i soggetti coinvolti. In altri termini, non dovrebbe più parlarsi di “fattibilità giuridica” o “fattibilità economica”; il concetto di “fattibilità” del piano dovrebbe essere definito una volta per tutte a livello normativo ed in maniera unitaria: la fattibilità è unica; il piano o è fattibile o non lo è. Per “fattibilità” dovrebbe intendersi, come detto dalla dottrina (cfr. I. Pagni, op. cit.) la “la sussistenza o meno di un prevedibile esito negativo delle operazioni che scandiscono il piano”; che poi questo dipenda da ragioni di “infattibilità” giuridica ovvero economica poco importa.

Andrebbero poi fissati, sempre a livello normativo, criteri e modalità uniformi di valutazione di fattibilità che tutti i soggetti coinvolti nel sindacato (sia quelli “privati” sia quelli “pubblici”) dovrebbero seguire. Ed infatti, il riferimento contenuto nella lettera m) dell'art. 6 (“fissare le modalità di accertamento della veridicità dei dati aziendali e di verifica della fattibilità del piano […]) potrebbe a nostro avviso riguardare anche il tribunale ed il commissario giudiziale.

Peraltro, trattandosi di questioni (anche) strettamente tecniche (che involgono profili contabili e finanziari) potrebbe essere opportuno che le specificazioni di dettaglio vengano riservate alla normativa secondaria e a codici di condotta/linee guida elaborati congiuntamente dagli ordini professionali e dalla magistratura.

Più di tutto poi risulta di fondamentale importanza che il controllo di fattibilità del piano (e, correlativamente, della proposta che, poi, è dipendente da quella del piano) venga affrontato sin da subito all'atto di presentazione del piano medesimo. In quest'ottica si potrebbe ipotizzare che il commissario giudiziale sia incaricato dal tribunale sin da subito di affiancarlo nella valutazione di fattibilità (soprattutto per i profili contabili- finanziari e non strettamente legali/giuridici).

In termini “pratici”, a fronte del deposito del ricorso, unitamente al piano, alla proposta e agli allegati (tra cui la relazione dell'attestatore che avrebbe, però, come accennato, un ruolo differente da quello attuale) il tribunale con la consulenza del commissario giudiziale dovrebbe effettuare la valutazione di fattibilità del piano e, in caso di esito positivo, emettere il decreto di apertura della procedura ex art. 163 l. fall. ovvero, in caso di esito negativo, fissare un'udienza di audizione del debitore e dei suoi consulenti (ivi incluso l'attestatore). In tale ultima sede dovrebbe aversi un contraddittorio tra tutte le parti (debitore e consulenti, da un lato, tribunale e commissario, dall'altro lato) all'esito del quale il tribunale deciderà nei termini di cui all'art. 162, comma 2, l. fall. per l'inammissibilità della proposta ovvero emetterà il decreto di apertura della procedura ex art. 163 l. fall.). L'iter sopra delineato potrebbe (ragionevolmente) comprendere la possibilità per il tribunale, attualmente prevista ai sensi dell'art. 162, comma 1, l. fall., di concedere una proroga al debitore per emendare la proposta ed il piano.

L'obiettivo dell'assetto sopra delineato è fare in modo che eventuali criticità del piano in punto di fattibilità emergano e vengano affrontate il prima possibile, sotto lo stretto controllo del tribunale e del commissario giudiziale. Ciò dovrebbe (auspicabilmente) creare una sorta di “filtro” tale per cui giungano all'esame del ceto creditorio solo un numero limitato di proposte concordatarie - rispetto alle quali la questione - fattibilità (sia giuridica sia economica) sia stata “smarcata” non solo dall'attestatore (o come verrà denominato) di “emanazione” del debitore, ma anche e (anzi) soprattutto dal tribunale e dal commissario giudiziale (organi pubblici) - ed i creditori possano “focalizzare” l'attenzione sul profilo di convenienza della proposta.

Quanto precede potrebbe implicare un allungamento dei tempi della fase iniziale della procedura (i.e. ante–ammissione), ma ragionevolmente dovrebbe consentire una maggiore speditezza della fase successiva ed una maggiore probabilità che i concordati ammessi vengano poi effettivamente attuati.

Il sindacato di fattibilità del tribunale-commissario giudiziale dovrebbe, analogamente all'attuale sistema, permanere nel corso di tutta la procedura sino al giudizio di omologazione.

Con particolare riguardo al commissario giudiziale, osserviamo come l'attribuzione a questa figura del sindacato di fattibilità fosse già stata contemplata nell'art. 24 ultimo comma del disegno di legge elaborato dalla Commissione Trevisanato, ove si prevedeva che fosse il commissario giudiziale a depositare una relazione di fattibilità (i.e. attuabilità) e non un terzo attestatore (“il commissario giudiziale deposita una relazione, consultabile dai creditori, sulla attuabilità del piano entro il termine di sessanta giorni dall'apertura della procedura”).

Una possibile variante dell'assetto sopra delineato potrebbe prevedere il mantenimento dell'attestatore come soggetto deputato ad elaborare una relazione sulla veridicità dei dati aziendali e sulla fattibilità del piano, alla stregua della quale il sindacato del tribunale e del commissario giudiziale in tema di fattibilità si configurerebbe come sindacato c.d. di secondo grado. In tal caso, sarebbe però di fondamentale importanza che l'attestatore non sia nominato dal debitore, bensì dal tribunale stesso.

Questa seconda opzione avrebbe come lato positivo quello di “sgravare” il commissario giudiziale del ruolo di consulente “tecnico” del tribunale (ruolo ricoperto dall'attestatore) e quindi di velocizzare le tempistiche; il lato negativo potrebbe essere dato da un incremento dei costi prededucibili in quanto vi sarebbe un professionista “in più” coinvolto nell'iter. Infine, il legislatore dovrebbe delineare con precisione i rispettivi ruoli, poteri e rapporti del commissario giudiziale vis-à-vis l'attestatore, onde evitare sovrapposizioni.

Un'ulteriore considerazione attiene al fatto che l'assetto sopra delineato potrebbe astrattamente essere attuato, in parte, già in base all'attuale normativa. Sarebbe sufficiente interpretare il concetto di fattibilità in maniera univoca (fattibilità giuridica ed economica) e ritenere, quindi, che il sindacato del tribunale sui profili di cui all'art. 160 commi primo e secondo e 161 l. fall. debba avere ad oggetto (anche) gli aspetti economici della fattibilità; e soprattutto che sia un controllo “di primo grado”/diretto, anche sui profili economici, tanto più che, in base alla normativa vigente, il tribunale può nominare consulenti ed esperti che lo coadiuvino per l'esame dei profili economici-finanziari della proposta. Del resto – lo ribadiamo – la distinzione “fattibilità giuridica” e “fattibilità economica” e l'affermazione secondo cui il controllo del tribunale sarebbe c.d. di secondo livello, sono frutto dell'interpretazione giurisprudenziale degli ultimi anni e non ci pare che tali concetti siano normati in maniera “positiva” nella legislazione vigente.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario