Poteri di controllo del tribunale e giudizio di fattibilità economica del piano

Roberto Amatore
19 Dicembre 2017

La legge delega finalmente ampia, come già auspicato da molti commentatori ed operatori del diritto, la circoscrizione del giudizio del tribunale in punto di verifica di fattibilità del piano concordatario, il cui ambito, ora, deve ritenersi comprendere anche la valutazione della fattibilità economica, e ciò tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale.
Premessa

La legge delega finalmente ampia, come già auspicato da molti commentatori ed operatori del diritto, la circoscrizione del giudizio del tribunale in punto di verifica di fattibilità del piano concordatario, il cui ambito, ora, deve ritenersi comprendere anche la valutazione della fattibilità economica, e ciò tenendo conto dei rilievi del commissario giudiziale.

Il criterio qui dettato dal legislatore della delega si iscrive meritoriamente tra quelli introdotti proprio al fine di favorire il superamento di contrasti interpretativi insorti nella prassi applicativa e la cui persistenza aveva determinato, nel recente passato, l'intervento della giurisprudenza nomifilattica della Cassazione, resa anche a Sezioni Unite (cfr. in particolare, Cass. Sez. Un. n. 1521/2013, su cui ampiamente infra).

Il legislatore ha dunque ampliato il predetto sindacato giudiziale, non più limitato ai casi di manifesta inettitudine del piano, potendo d'ora in poi il giudice fallimentare scrutinare, caso per caso e in relazione alle modalità indicate dal piano del proponente, l'effettiva realizzabilità dello stesso in riferimento anche alle componenti più strettamente economiche, come tali finalisticamente indirizzate al superamento dello stato di crisi ovvero di insolvenza, spettando, invece, ai creditori la valutazione della “convenienza” della proposta in termini alternativi alla soluzione “fallimentare”, come oggi anch'essa modificata dalla legge delega (per una disamina “retroattiva” dell'istituto, si legga anche R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano : dubbi interpretativi, in Fall., 2014).

L'esame della importante ed auspicata (anche da parte di chi scrive) novità legislativa non può, oggi, essere disgiunta dalla disamina del percorso esegetico che ha condotto l'istituto del giudizio di fattibilità del piano concordatario, attraverso i contributi fondamentali della dottrina e della giurisprudenza, all'approdo normativo sopra descritto, che vede ora ampliarsi notevolmente il perimetro di controllo del tribunale sia nella fase ammissiva che, conseguentemente, anche nelle successive (ed eventuali) fasi di revoca della proposta e di omologazione della stessa.

Ciò involge necessariamente, come ulteriore corollario, l'esame - non solo “retrospettivo”, ma anche “prospettico” con un respiro che involge la futura fase attuativa della riforma fallimentare - dei limiti di confine del giudizio di cd. fattibilità giuridica ed economica del piano, nonché l'approfondimento dell'istituto di conio giurisprudenziale della realizzabilità della ‘causa in concreto' del negozio concordatario (sul punto, si legga Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521, su cui si tornerà ampiamente nel corso della trattazione).

Occorre, dunque, ancora una volta addivenire alla più corretta individuazione della marca di confine tra il concetto di fattibilità giuridica e quello di fattibilità economica, in una sorta di actio finium regondorum da approfondire non già per mera finalità accademica, quanto piuttosto per le concrete ricadute pratiche collegate alla definizione del contenuto dei poteri di controllo giudiziale. E ciò anche in considerazione della necessaria osservazione per cui la definizione degli istituti qui da ultimo indicati possono tornare utili, anche nel nuovo regime normativo, per la più corretta demarcazione tra giudizio di fattibilità, rimesso al preventivo (ed anche successivo) scrutinio del tribunale e giudizio di convenienza, rimesso all'insindacabile valutazione del ceto creditorio.

L'esame, pertanto, della evoluzione giurisprudenziale sulle tematiche qui in esame appare, dunque, oltre che utile, anche necessario per addivenire alla definizione di un corredo definitorio degli istituti in commento nelle nuove prospettive di riforma sopra tratteggiate.

Il potere di controllo del tribunale in sede di ammissione, revoca e omologazione della proposta di concordato preventivo

Nell'attuale regime normativo, era intervenuto, come sopra accennato, il fondamentale arresto delle Sezioni Unite (Cass., SS. UU., 23/01/2013, n. 1521).

La Corte di Cassazione aveva definitivamente chiarito che “Il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, non restando questo escluso dall'attestazione del professionista, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti; il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo; il controllo di legittimità si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento, finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro”.

Risulta, per le finalità sopra proclamate, utile, dunque, un excursus sulla evoluzione della giurisprudenza di merito e di legittimità in ordine ai limiti del potere interdittivo esercitabile dal tribunale in sede di ammissione e di omologazione della proposta di concordato preventivo.

Sul punto, non è revocabile in dubbio che l'accentuata natura privatistica del concordato preventivo, enunciata nella Relazione al decreto correttivo n. 169 del 2007, abbia mostrato un'intentio legis volta ad esaltare il profilo contrattuale del concordato preventivo, fondato su un accordo intercorso tra debitore e maggioranza ponderale dei creditori (Per un approfondimento dei temi qui in esame cfr. F. Lamanna, L'indeterminismo creativo delle Sezioni Unite in tema di fattibilità del concordato preventivo : “così è se vi pare”, in questo portale dal 26 febbraio 2013; R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, in Dir. Fall., 2012; R. Amatore – L. Jeantet, Il nuovo concordato preventivo, Milano, 2013, 125 e ss G. Terranova, La fattibilità del concordato, in Rivista del diritto commerciale e del diritto generale delle obbligazioni, 2, 2013; F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, in Il Fall., 2013; I. Pagni, Il controllo di fattibilità del piano dopo la sentenza 23 gennaio 2013, n. 1521 : il richiamo alla “causa concreta”, come funzione economico-individuale del concordato, in Il Fall.; A. Di Majo, Il percorso lungo del piano proposto nel concordato, in Il Fall., 2013; M. Fabiani, La fattibilità del piano concordatario nella lettura delle sezioni unite, in Il Fall.. Prima dell'intervento delle Sezioni Unite, si possono leggere in tema : G. Lo Cascio, Il concordato preventivo, Milano, 2011; S. Ambrosini, Contenuti e fattibilità del piano di concordato preventivo alla luce della riforma del 2012, in Il Caso; S. Pacchi, La valutazione del piano del concordato preventivo : i poteri del tribunale e la relazione del commissario giudiziale, in Dir. Fall., 2011; A. Patti, La fattibilità del piano nel concordato preventivo tra attestazione dell'esperto e sindacato del tribunale, in in Il Fall., 2012; G.B. Nardecchia, Nuova proposta di concordato, istanza di fallimento e poteri del tribunale in sede di ammissione, in Il Fall., 2011; G. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, in Il Fall., 2011; L. Piccininni, I poteri del tribunale nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo dopo il “decreto correttivo”, in Dir. Fall., 2012).

Nel senso della connotazione privatistica della interpretazione della procedura di concordato preventivo, si era già è espressa la stessa Suprema Corte.

In tal caso, il giudice di legittimità, ribadendo l'assenza di un potere di controllo ex officio sul contenuto della proposta e del piano concordatario in capo al tribunale, aveva affermato espressamente che “tale potere appartiene solo ai creditori” e che, peraltro, in tale prospettiva interpretativa, il tribunale non avrebbe potuto neppure avvalersi degli elementi risultanti dalle indagini svolte dal commissario giudiziale, giacché “l'apporto conoscitivo e valutativo del commissario giudiziale non è destinato al giudice, ma alla platea dei creditori che possono così comparare la proposta e le valutazioni dell'esperto attestatore con la relazione redatta da un organo investito di una pubblica funzione” (così, Cass. 23 giugno 2011, n. 13817 ; con tale pronuncia, la Corte, richiamando altri due precedenti in materia (Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860; e Cass. 10 febbraio 2011, n. 3274), aveva fornito interpretazioni assai restrittive dei poteri del tribunale, e ciò sia in relazione al giudizio di ammissione che a quello di omologazione ed anche nel procedimento di verifica del mantenimento delle condizioni di ammissibilità ex art. 173 l. fall. Essa aveva confermato, così, una concezione ‘ultraprivatistica' del concordato preventivo in nome dell'accentuazione del carattere contrattuale e negoziale dell'istituto in esame. In una chiave di lettura che si coniugava con una concezione dell'istituto in discorso come fattispecie diretta alla tutela di interessi esclusivamente privatistici a danno di quelli, ancorché rilevanti, di matrice pubblicistica (si v., tuttavia, per la tutela di quest'ultimi interessi nella procedura fallimentare, Cass., sez. I, 4 settembre 2009, n. 19214).

Venendo ora a ripercorrere il dibattito giurisprudenziale e dottrinale registratosi nel corso degli ultimi anni e ancor prima dell'intervento regolatore della Suprema Corte con la “triade” di sentenze da ultimo menzionate, giova ricordare che già alcuni tribunali (si legga : Trib. Milano, 15 maggio 2007, inedito, per cui l'esame di fattibilità del piano non può essere compiuto in sede di ammissione al concordato; Trib. Milano, 16 gennaio 2007, in Il Fall., 2007, che, in fase di omologazione, limitava il controllo del tribunale alla verifica del raggiungimento delle maggioranze) avevano ritenuto che il giudice fallimentare, sia nella fase di ammissione alla procedura che in quella di omologazione, dovesse limitarsi ad un controllo di mera legalità sulla verifica della regolarità e completezza della documentazione, in un'attività quasi notarile di mero controllo della legittimità formale (R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano : dubbi interpretativi, ibidem, cit. supra).

Altra parte della giurisprudenza (cfr. App. Bologna, 30 giugno 2006, in Il Fall., 2007; Trib. Salerno, 3 giugno 2005, in Il Fall., 2005; Trib. Sulmona, 6 giugno 2005, in Il Fall., 7, 2005; Trib. La Spezia, 4 agosto 2005, in Giur. merito, 2006; Trib. Firenze, 23 novembre 2005, in Foro Toscano, 1, 2006; Trib. Bologna, 17 novembre 2005, in Giur. merito, 2006; Trib. Monza, 28 settembre 2005, in Il Fall., 2005) aveva, invece, affermato che il tribunale doveva aver conservato il controllo sulla fattibilità del piano predisposto dall'imprenditore e accompagnato dalla relazione del professionista.

Un altro filone giurisprudenziale (v. Trib. Pescara, 20 ottobre 2005, in Il Fall., 2006; e Trib. Torino 17 novembre 2005, in fallimentoonline.it, 2005, e anche in Foro it., 2006), poi, consentiva al giudice di valutare in sede di ammissione la comprensibilità e l'intelligibilità della relazione del professionista, ma non il merito della medesima.

Volendo ora menzionare le opinioni espresse in dottrina, giova ricordare che quella prevalente (Ambrosini, Il sindacato sulla fattibilità del piano concordatario e la nozione evolutiva degli atti in frode nella sentenza 15 giugno 2011 della Cassazione, in Dottrina ed opinioni, 1 e ss.; L. Guglielmucci, Diritto fallimentare, Torino 2011; C. Buonaura, Concordato preventivo, in Enc. Dir. Annali, II, 2, Milano, 2008, passim ; S. Bonfatti-Censoni, La riforma della disciplina dell'azione revocatoria fallimentare del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione, Padova 2006, passim; V. Zanichelli, I concordati giudiziali, Torino 2010, passim ; nel senso di una formale presa d'atto del mutato assetto ordinamentale, ma anche in chiave fortemente critica, anche D. Lo Cascio, Il Concordato preventivo, cit., 95.) aveva attribuito, invero, al tribunale solo un controllo di legittimità, salvo il controllo di merito in caso di suddivisione dei creditori in classi distinte secondo posizione giuridica ed interessi economici omogenei.

La dottrina minoritaria (cfr. Bozza, Il sindacato del tribunale sulla fattibilità del concordato preventivo, cit., 182 ; R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, cit., 104 e ss..), invece, aveva ritenuto persistere uno spazio di discrezionalità del tribunale sia nel sindacare la serietà, la completezza e la complessiva attendibilità della relazione del professionista, nonché la concreta fattibilità del piano, in sede di ammissione alla procedura, sia nel valutare quanto meno la concreta fattibilità del piano di concordato al momento della sua omologazione.

In definitiva, potevano ritenersi esistenti tre opinioni diverse in ordine ai limiti del controllo giudiziale sulla fattibilità del piano concordatario da parte del tribunale.

Una prima opzione ermeneutica, che era stata accolta dalla giurisprudenza di legittimità nelle prime tre pronunce sopra ricordate, predicava una interpretazione estremamente riduttiva dei poteri interdittivi esercitabili dal tribunale, sia in sede di ammissione alla procedura concorsuale minore sia nella successiva fase di omologazione del concordato. Secondo tale teorica, al tribunale spetterebbe un verifica meramente formale sulla regolarità e completezza della documentazione allegata dalla parte proponente e sulla correttezza della procedura attraverso un riscontro di carattere notarile in ordine alla regolarità della procedura seguita sino alla richiesta di omologazione del concordato, per questa via finendo per escludere e svilire ogni possibilità di scrutinio giudiziale in ordine al merito del giudizio di fattibilità del piano concordatario (R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano : dubbi interpretativi, ibidem, cit. supra).

Una seconda tesi esegetica – che si potrebbe definire, per facilità di sintesi, filopubblicisticamanteneva, invece, in capo al tribunale, dopo le importanti modifiche normative intervenute con il cd. decreto correttivo, un ambito di intervento giudiziale di carattere interdittivo in ordine alla valutazione nel merito della fattibilità del piano concordatario. E tale intervento era auspicato sia nella fase di ammissione alla procedura di concordato preventivo, sia nelle successive fasi di verifica del mantenimento delle condizioni di fattibilità e di omologazione del concordato ai sensi dell'art. 180 l. fall. (per una ricostruzione dell'istituto, si rimanda sempre a R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano nel concordato preventivo, cit., 106).

Infine, una terza tesi intermedia propendeva per un riscontro giudiziale definibile di legalità sostanziale in ordine alla verifica del controllo delle condizioni di ammissibilità della proposta concordataria. Il tribunale, ancorché non dovesse limitarsi ad un controllo meramente formale in ordine alla completezza e regolarità della documentazione allegata alla domanda, avrebbe dovuto, tuttavia, accertare se il documento redatto dal professionista ai sensi dell'art. 161, comma 3, l. fall., fosse “intellegibile ed idoneo ad assolvere la funzione informativa dei creditori e certificativa cui è destinato, nonché congruamente motivato rispetto al piano illustrato, anch'esso non apodittico e ragionevole”.

La fattibilità giuridica e fattibilità economica della proposta. L'intervento delle Sezioni Unite

Sempre in una ottica ricostruttiva del pensiero giuridico manifestatosi nella materia in esame, non possono essere dimenticate alcune ‘aperture' della Suprema Corte, già prima della definitiva pronuncia resa a Sezioni Unite (cfr. sempre Cass., SS.UU., 23.01.2013, n. 1521, cit.), che avevano mostrato di ritenere sussistente in capo al tribunale un potere di scrutinio del merito della proposta concordataria proprio in ordine alla fattibilità del piano (cfr. Cass. sent. 15 settembre 2011, n. 18864 ; v. inoltre Cass., sez. I, 23 giugno 2011, n. 13817).

All'evidenza, la giurisprudenza di legittimità aveva rivendicato, in queste ultime pronunce, il potere di controllo in capo al tribunale sul merito della proposta concordataria sotto il profilo della verifica della esistenza di vizi genetici del contratto, sub specie di positivo riscontro officioso di cause di eventuali illiceità ovvero impossibilità dell'oggetto ovvero della causa del negozio concordatario, con ciò convergendo sostanzialmente sulle conclusioni cui, per altra via interpretativa sistematica, una parte della precedente giurisprudenza di merito e la dottrina minoritaria era già pervenuta.

Era, poi, intervenuta, come più volte ricordato, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la pronuncia sopra segnalata. Ebbene, la Corte di legittimità aveva così definitivamente chiarito che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti. Precisavano, inoltre, le Sezioni Unite che il controllo di legittimità si attua verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato, da intendersi quest'ultima come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, come tale necessariamente finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro.

Non può essere sottaciuto che – sebbene la pronuncia in esame dovesse essere salutata con favore – la stessa aveva, per un verso, continuato a sovrapporre (confondendoli), come già avvenuto nei precedenti pronunciamenti sopra ricordati, il profilo della c.d. fattibilità economica del piano, definito non correttamente come “merito” della proposta, con quello del tutto diverso della convenienza della proposta ( ormai indiscutibilmente rimesso alle valutazioni di opportunità del ceto creditorio ), e, per altro verso, non aveva definito in maniera appagante il concetto di “causa concreta” del negozio concordatario. Concetto, quest'ultimo, riferito dai Supremi giudici alla “procedura di concordato”, anziché, come dovrebbe, all'accordo concordatario funzionalmente diretto ad ottenere l'effetto esdebitatorio.

Sotto il primo profilo, occorre rammentare quanto già precisato, cioè che i due concetti sopra indicati vanno tenuti nettamente distinti, e si vuol dire quello di convenienza della proposta concordataria e quello di fattibilità del piano: il primo riguarda, come già detto, la proposta, mentre il secondo attiene al piano, il cui contenuto concreta la definizione del percorso attraverso il quale raggiungere l'obiettivo di realizzare l'impegno concordatario.

Per vero, la “privatizzazione” dell'apprezzamento del requisito della convenienza – nel senso che tale valutazione rientra ora nella discrezionalità del ceto creditorio che la esprime attraverso la votazione – trova sicura giustificazione nella lettera della legge fallimentare. Tuttavia, la “privatizzazione” dell'attività di apprezzamento del requisito della convenienza non comporta certamente anche la “privatizzazione” dell'attività di scrutinio del requisito della fattibilità del piano.

Quest'ultimo si sostanzia, ora come allora, in un giudizio di tipo valutativo-prognostico circa la effettiva conseguibilità degli obiettivi pianificati e la giuridica realizzabilità del programma negoziale, giudizio da cui esula qualsiasi valutazione di valore circa la convenienza ad ottenere da quella soluzione pianificata la migliore soddisfazione possibile dei diritti dei creditori. Ed è affidato al tribunale soprattutto al fine di porre i creditori nelle condizioni di votare in modo informato e di evitare che ad essi venga chiesto di valutare la convenienza di una proposta mostratasi concretamente irrealizzabile ovvero inattuabile.

Ne discende che, correlativamente, spetta ai creditori la valutazione della convenienza della proposta, ossia della sua positività o negatività attraverso il raffronto tra quanto viene offerto negozialmente e quanto ricavabile dalle alternative concretamente praticabili.

Del resto, l'attribuzione ai creditori del giudizio di convenienza della proposta, attraverso l'espressione del diritto di voto, non esclude, logicamente ancor prima che giuridicamente, che la previa valutazione sulla fattibilità possa essere confidata al giudice.

Comunque, va detto che, dopo la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione n. 1521/2013 da ultimo ricordata, non si può più dubitare sul presupposto secondo cui la valutazione della convenienza economica della proposta di concordato preventivo spetti esclusivamente ai creditori (la rimessione alle sezioni unite è avvenuta, come noto, ad opera di Cass. 15 dicembre 2011, n. 27063, che aveva evidenziato un contrasto fra Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, da un lato, e Cass., 16 settembre 2011, n. 18987; Cass. 23 giugno 2011, n. 13818; Cass. 14 febbraio 2011, n. 3586; Cass. 25 ottobre 2010, n. 21860).

Secondo le Sezioni unite, “la proposta di concordato deve necessariamente avere ad oggetto la regolazione della crisi, la quale a sua volta può assumere concretezza soltanto attraverso le indicazioni delle modalità di soddisfacimento dei crediti (in esse comprese quindi le relative percentuali ed i tempi di adempimento), rispetto alla quale la relativa valutazione (sotto i diversi aspetti della verosimiglianza dell'esito e della sua convenienza) è rimesso al giudizio dei creditori, in quanto diretti interessati”.

Nessun sindacato sarebbe rimesso al tribunale sull'aspetto pratico-economico della proposta, ossia “sulla correttezza dell'indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori”, e neppure in ordine alla “prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore”.

Tuttavia, la Corte non ha mancato di rilevare, in premessa, che il legislatore delle riforme fallimentari, pur valorizzando l'elemento privatistico del concordato preventivo, non ne ha cancellato tutti gli aspetti di carattere pubblicistico, “suggeriti dall'avvertita esigenza di tener conto anche degli interessi di soggetti ipoteticamente non aderenti alla proposta, ma comunque esposti agli effetti di una sua non condivisa approvazione, ed attuati mediante la fissazione di una serie di regole processuali inderogabili, finalizzate alla corretta formazione dell'accordo tra debitore e creditori, nonché con il potenziamento dei margini di intervento del giudice in chiave di garanzia”.

Sicché, ora, spetta al tribunale di verificare la fattibilità giuridica del concordato, eventualmente esprimendo un giudizio ostativo all'ammissibilità della proposta concordataria, quando le modalità attuative della stessa risultano incompatibili con norme inderogabili.

Spetta, altresì, al tribunale sorvegliare su ciò, che la valutazione dei creditori venga espressa correttamente e determini il giusto esito della procedura concordataria, e che, pertanto, essi “ricevano una puntuale informazione circa i dati, le verifiche interne e le connesse valutazioni”.

La Corte aveva, dunque, declinato una composita piattaforma di indicazioni nomofilattiche, volte a definire i limiti del sindacato giudiziale sulla fattibilità “economica” della proposta, intesa come “prognosi circa la possibilità di realizzazione della proposta nei termini prospettati” (F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, cit.).

Ulteriore e succedanea questione è se il controllo di fattibilità giuridica sia limitato alla violazione di norme inderogabili ovvero possa riguardare tutti i profili strettamente giuridici collegati alle azioni programmate per la realizzazione della proposta.

Questa seconda interpretazione appare preferibile, posto che appare naturale rimettere al controllo del tribunale la risoluzione di ogni questione di fattibilità dipendente dalla corretta o quanto meno non manifestamente errata applicazione di norme di diritto (G.B. Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, in Il Caso). Con la conseguenza che il tribunale dovrebbe emettere un giudizio di inammissibilità oltre che nell'ipotesi in cui siano programmate azioni illecite o contrarie ai principi generali dell'ordinamento, anche qualora il piano si fondi su prospettazioni giuridiche manifestamente errate (si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui la fattibilità del piano sia basata sull'erronea qualificazione giuridica dei crediti o sul mancato computo degli interessi dei crediti privilegiati, ovvero sul mancato inserimento di creditori nell'elenco nominativo di cui all'art. 161 comma 2, lettera b) l.fall in forza di eccezioni (prescrizione, compensazione…..etc.) manifestamente infondate (G.B. Nardecchia, La fattibilità al vaglio delle Sezioni Unite, cit., ibidem)).

In realtà, la concreta delimitazione del concetto di fattibilità giuridica (e per converso, di fattibilità economica ) rappresentava certamente il punto centrale della pronuncia sopra ricordata del Supremo Consesso.
Nella fattibilità giuridica rientrano anzitutto gli aspetti che condizionano l'ammissibilità della proposta, che non può essere meritevole di essere portata all'attenzione dei creditori ove si risolva nella violazione di norme giuridiche imperative. Tra queste ultime vanno ricomprese quelle intese ad assicurare la completezza e regolarità della documentazione prodotta in allegato alla proposta, con lo scopo di fornire ai creditori concreti elementi di giudizio. Si allude al piano, che deve indicare in modo analitico le modalità e il termine di adempimento della proposta, a tutti gli altri documenti previsti dall'art. 161, comma 2 l. fall., infine alla relazione attestatrice della veridicità dei dati e della fattibilità del piano, che per poter svolgere la sua funzione informativa deve avere caratteristiche di analiticità ed esaustività (M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, in questo portale, 30 gennaio 2013).

A questo livello, quello del controllo di legittimità formale, il tribunale deve dunque limitarsi a verificare che nessuna norma imperativa sia disattesa e, quanto alla relazione attestatrice, che essa sia completa ed analitica, sì da poter assolvere alla sua funzione informativa.
Come sopra accennato, il tribunale deve tuttavia garantire il rispetto di tutti i principi giuridici, di diritto civile e concorsuale, da cui dipende l'ammissibilità giuridica della proposta (la Corte di Cassazione (cfr., sempre Cass., SS.UU., 23.01.2013, n. 15219 fa a tal proposito un esempio concreto: quello di una proposta di cessione di beni di soggetto diverso (ovviamente non consenziente) dal debitore ( cfr. anche M. Vitiello, Il problema dei limiti del controllo del tribunale sulla fattibilità del piano come risolto dalle Sezioni Unite, cit.).

Va tuttavia ancora una volta sottolineato che esiste un secondo livello sul quale opera il controllo di fattibilità giuridica della proposta, dovendosi concretare questo ulteriore vaglio giudiziale nella verifica della effettiva idoneità del piano ad assicurare il soddisfacimento della causa della procedura, rectius del negozio concordatario.
Sul punto, deve essere pertanto ribadito che - a questo livello - il controllo del tribunale è maggiormente intenso, potendosi spingere oltre la valutazione relativa al rispetto delle norme imperative che governano la fattispecie, e dovendo anzi inerire alla possibilità giuridica ( ed oggi, proprio alla luce della Riforma, anche economica ) di dare esecuzione alla proposta di concordato che in concreto sia stata formulata.

(segue) La "causa in concreto"

Il sindacato giudiziale - al quale alludono le sezioni unite - deve integrare una valutazione maggiormente penetrante del mero controllo giuridico della legittimità sostanziale della proposta, se incidente su un possibile vizio “genetico” della sua causa, accertabile in via preventiva in ragione della totale ed evidente inadeguatezza del piano, e traducibile in una sorta di nullità negoziale per impossibilità dell'oggetto (controllo, quest'ultimo, al quale era già pervenuta la pronunzia di Cass. 15 settembre 2011, n. 18864, cit.).

La questione interpretativa più rilevante deve essere, dunque, rintracciata nell'affermato sindacato giudiziale di fattibilità sulla base della “causa in concreto” della proposta.

In realtà, si tratta di un giudizio che si inscrive, a rigore, al novero del sindacato di merito, rivestendo lo stesso carattere discrezionale (così, F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, cit.).

Come già sopra rilevato, la pronunzia delle Sezioni unite estende al concordato preventivo (ed al relativo sindacato giudiziale) categorie di stretta derivazione privatistica, quali l'autonomia contrattuale e la causa negoziale in concreto.

Sotto il primo profilo, non si può dubitare che - fatte salve le limitate ipotesi in cui la legge preveda obblighi a contrarre - rimanga affidato all'autonomia dei privati la valutazione circa la convenienza economica del contratto, prima della sua stipula, e ciò vale anche in relazione all'adesione che i creditori concordatari sono chiamati a prestare (o a negare) alla proposta esdebitativa dell'imprenditore.

Sul punto, va aggiunto che il parametro del riscontro deve essere ancorato - oltre alla valutazione della fattibilità giuridica della proposta (ovvero della sua compatibilità con le norme inderogabili) - anche la delibazione della causa in concreto del contratto di concordato.

Di sicuro, la categoria della causa in concreto non è sconosciuta alla giurisprudenza della Suprema Corte. E' noto che “la causa del contratto si identifica con la funzione economico-sociale che il negozio obiettivamente persegue e il diritto riconosce rilevante ai fini della tutela apprestata” (Cass. 18 febbraio 1983, n. 1244) ovvero con la funzione economico-sociale dell'atto di autonomia privata “nella sintesi dei suoi elementi essenziali” (Cass. 15 luglio 1993, n. 7833).

In tema, va precisato che sovente il richiamo alla funzione che il negozio astrattamente persegue è finalizzato alla distinzione “ontologica” rispetto allo scopo particolare, che ciascuna delle due parti si propone di realizzare, sicché l'illiceità della causa consegue sia all'ipotesi di contrarietà a norme imperative, all'ordine pubblico e al buon costume, sia all'ipotesi di utilizzazione dello strumento negoziale, ancorché tipico, per frodare la legge, qualora entrambe le parti attribuiscano al contratto una funzione obiettiva volta al raggiungimento di una comune finalità contraria alla legge (cfr. in questo senso Cass. 4 aprile 2003, n. 5324).

Invero, la discussione dottrinaria ha condotto, negli ultimi anni, al graduale superamento della ricostruzione della causa in termini di astratta funzione economico-sociale del negozio, per approdare al concetto della causa come funzione economico-individuale del negozio medesimo, rappresentativa del programma contrattuale concretamente voluto e costruito dalle parti, con la conseguenza che il giudizio sulla liceità deve svolgersi anche per i contratti tipici ed ha ad oggetto la legittimità dell'operazione economica concretamente posta in essere (F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, cit., ibidem).

Ne discende che, nel diritto vivente, è frequente l'affermazione per la quale nell'interpretazione del contratto occorre considerarne la causa in concreto, quale scopo pratico del negozio, ovvero sintesi degli interessi che lo stesso è concretamente volto a realizzare (Cass. 18 agosto 2011, n. 17360; Cass. 8 maggio 2006, n. 10490). Pertanto, la nozione di causa del negozio deve essere colta nella funzione individuale dello specifico contratto posto in essere (Cass. 12 novembre 2009, n. 23941).

Orbene, l'indagine relativa alla liceità della causa quale obiettiva funzione economico-sociale del contratto deve essere svolta non in astratto ma in concreto, onde verificare la conformità a legge dell'attività negoziale posta in essere dalle parti, e dunque la riconoscibilità nella specie della tutela apprestata dall'ordinamento giuridico. Siffatta indagine non può prescindere dall'apprezzamento degli interessi che il negozio è destinato a realizzare, quali emergono dalle circostanze obiettive (pregresse, coeve e successive alla sua conclusione) (F. De Santis, Causa “in concreto” della proposta di concordato preventivo e giudizio “permanente” di fattibilità del piano, cit., ibidem). Qualora emerga che le parti abbiano utilizzato un determinato modello negoziale per realizzare una funzione obiettiva, che non sia solo diversa da quella per cui tale strumento giuridico è previsto dalla legge, ma anche in contrasto con norme imperative, il giudice non può accordare al negozio in questione la tutela apprestata dall'ordinamento (cfr. anche Cass. 14 settembre 2012, n. 15449).

Deve dirsi, con ancora più precisione, che il giudice, nel procedere all'identificazione del rapporto contrattuale, alla sua denominazione ed all'individuazione della disciplina che lo regola, deve procedere alla valutazione in concreto della causa, quale elemento essenziale del negozio, tenendo presente che essa si prospetta come strumento di accertamento, per l'interprete, della generale conformità a legge dell'attività negoziale posta effettivamente in essere, della quale va accertata la conformità ai parametri normativi dell'art. 1343 c.c. (causa illecita) e 1322, comma 2, c.c. (e cioè, meritevolezza di tutela degli interessi dei soggetti contraenti secondo l'ordinamento giuridico) (così, Cass. 19 febbraio 2000, n. 1898).

Era stato così affermato (R. Amatore, Il giudizio di fattibilità del piano : dubbi interpretativi, ibidem, cit. supra), in tempi non sospetti, che, anche sotto quest'ultimo peculiare profilo, non si poteva sostenere che il sindacato giudiziale fosse stato limitato dalle Sezioni unite al solo controllo di fattibilità giuridica della proposta, dovendo il tribunale essere chiamato a valutare l'idoneità della stessa non soltanto ad assicurare il soddisfacimento dei creditori, ma perfino il superamento della situazione di crisi dell'imprenditore.

E poiché dalla crisi si può uscire con la liquidazione dell'attivo, ma anche con la prosecuzione dell'attività d'impresa, dovrà essere, da un lato, il debitore ad indicare la modalità all'uopo prescelta (concordato con cessione dei beni, piuttosto che concordato in prosecuzione), e, dall'altro lato, il tribunale a valutare l'attitudine della proposta (e dei mezzi con essa messi in campo) ad inverarla.

Ne discende che siffatto percorso valutativo non può non avere le caratteristiche di un tipico sindacato “di merito”, che - per restare sul piano del diritto dei contratti - ingloba in sé una fase interpretativa ed una fase valutativa: l'interpretazione della proposta concordataria (e delle eventuali modifiche introdotte dal debitore in corso di procedura), e la valutazione della legittimità della proposta e dell'idoneità a perseguire la sua causa in concreto.

Conclusioni

Dunque, a legislazione ancora invariata, può ritenersi che, anche a voler interpretare nel modo più restrittivo il decisum delle Sezioni Unite, con la conseguente circoscrizione dei poteri di scrutinio e interdittivi del tribunale al solo profilo di fattibilità giuridica del piano (e così sembrerebbe invero orientarsi la giurisprudenza della Cassazione nei suoi recentissimi arresti: cfr. Cass. 11479/2014; Cass. 11423/2014; Cass. n. 11496/2014 ; sulle quali si legga infra), il contenuto del giudizio di fattibilità del piano lambisca, comunque, i profili di merito attinenti alle valutazioni economiche contenute nel piano e poste alla base della proposta esdebitatoria dirette al superamento della crisi aziendale.

È pur vero che le sezioni Unite hanno concluso nel senso che il giudice ha il dovere di esercitare il controllo di legittimità sul giudizio di fattibilità della proposta di concordato, mentre resta riservata ai creditori la valutazione in ordine al merito del detto giudizio, che ha ad oggetto la probabilità di successo economico del piano ed i rischi inerenti.

Se così è, allora può affermarsi, ripetendo verbatim le parole delle Sezioni Unite, che nessun sindacato sarebbe rimesso al tribunale sull'aspetto pratico-economico della proposta, ossia “sulla correttezza dell'indicazione della misura di soddisfacimento percentuale offerta dal debitore ai creditori”, e neppure in ordine alla “prognosi di realizzabilità dell'attivo nei termini indicati dall'imprenditore”.

Tuttavia, tale affermazione di principio non può essere disgiunta dall'altra secondo cui il detto controllo di legittimità si deve concretizzare verificando l'effettiva realizzabilità della causa concreta della procedura di concordato; quest'ultima, da intendere come obiettivo specifico perseguito dalla proposta, come tale finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, dei creditori, da un altro.

Del resto, l'attribuzione ai creditori del giudizio di convenienza della proposta, attraverso la espressione del diritto di voto, non esclude (ma anzi presuppone) che la valutazione sulla fattibilità possa (e debba) essere affidata preventivamente al giudice.

Come già sopra evidenziato, la fattibilità del piano si sostanzia in un giudizio di tipo valutativo-prognostico in ordine alla effettiva conseguibilità degli obiettivi pianificati e alla giuridica realizzabilità del programma negoziale, giudizio che è estraneo a qualsiasi valutazione di opportunità sulla convenienza ad ottenere da quella soluzione pianificata la migliore soddisfazione dei diritti dei creditori. Tale giudizio è affidato al tribunale soprattutto al fine di porre i creditori nelle condizioni di votare in modo informato e di evitare che ad essi venga chiesto di valutare la convenienza di una proposta mostratasi ab initio concretamente irrealizzabile ovvero giuridicamente inattuabile.

Ne discende che la valutazione di fattibilità del piano si concretizza in un giudizio necessariamente preventivo e preparatorio rispetto alla valutazione di convenienza rimessa al ceto creditorio, da esprimersi con l'esercizio del diritto di voto sulla proposta concordataria ; con la ulteriore conseguenza che tale preventiva e necessaria valutazione deve essere rimessa al tribunale già in sede di giudizio di ammissione alla procedura minore ovvero, in corso di procedura, in sede di eventuale giudizio di revoca dell'ammissione ex art. 173 l. fall. per la segnalazione da parte del commissario giudiziale del venir meno delle condizioni di ammissibilità del concordato.

Ma ciò non esclude che tale valutazione in ordine alla non realizzabilità della ‘causa in concreto' del negozio concordatario sia esercitabile, in ultima istanza, anche in sede di giudizio di omologazione, e ciò dopo che il ceto creditorio abbia espresso il suo consenso sulla proposta approvandola e senza che sia proposta opposizione all'omologazione dalle parti a ciò interessate (ciò è espressamente affermato dalle SS.UU. là dove si precisa che “il controllo di legittimità del giudice si realizza facendo applicazione di un unico e medesimo parametro nelle diverse fasi di ammissibilità, revoca ed omologazione in cui si articola la procedura di concordato preventivo”).

Risulta, invero corretto che il ceto creditorio debba poter confidare, sulla base delle preventive valutazioni di ammissibilità svolte dal tribunale, su una proposta concordataria il cui piano esdebitatorio sia concretamente realizzabile, proposta sulla quale operare le sue valutazioni di merito in ordine alla convenienza della offerta avanzata dal debitore proponente.

Ciò non esclude che, al contrario, il tribunale possa ragionevolmente convincersi - sulla base di un giudizio distinto da quello operato dal commissario giudiziale e fondato su indici fattuali riscontrabili e motivati anche nel provvedimento di omologazione - della maggiore attendibilità delle valutazioni offerte dal professionista attestatore e dunque della regolarità del consenso formatosi dal ceto creditorio e della validità della conseguente manifestazione di voto su una proposta dunque realizzabile giuridicamente nella sua funzione esdebitatoria e sattisfattoria.

Ne discende che, coerentemente, non è demandabile al ceto creditorio una preventiva valutazione di quale sia la proposta più validamente realizzabile nella sua prospettiva futura.

Invero, tale valutazione, involgendo un giudizio sulla concreta realizzabilità della causa concreta del negozio concordatario - sotto il profilo dello scrutinio del raggiungimento della finalità sattisfattoria della proposta concordataria - spetta esclusivamente al tribunale in sede di ammissione, revoca ex art. 173 l. fall. ovvero omologazione del concordato.

Deve ritenersi, nel nuovo quadro normativo che si apre con la legge delega, che l'istituto della “causa in concreto” possa rappresentare, ancora, uno “strumento di lavoro”, utilizzabile dal tribunale per una valutazione penetrante e di carattere contenutistico in ordine al merito della proposta ed alla legittimità del piano concordatario, iscrivendosi, invero, tale giudizio di pieno diritto alla categoria dei giudizi discrezionali di merito demandabili al tribunale.

In realtà, la fattibilità economica, del cui esame, oggi, il legislatore della delega investe il tribunale fallimentare, costituisce il secondo necessario addendo del giudizio di fattibilità lato sensu inteso.

Se è vero che il sindacato giudiziale di fattibilità si concretizza, come più volte qui affermato, in un giudizio di tipo valutativo-prognostico circa la effettiva conseguibilità degli obiettivi pianificati e la giuridica realizzabilità del programma negoziale - intese quest'ultime due valutazioni come, la prima, attualizzabilità dei presupposti economici del piano e, la seconda, come possibilità giuridica del negozio concordatario di raggiungere l'obiettivo programmato -, allora deve ritenersi che anche il giudizio di fattibilità economica del piano si concretizzi e realizzi in un sindacato del tutto estraneo al giudizio di convenienza della proposta, oramai indiscutibilmente rimesso alle valutazioni di opportunità del ceto creditorio.

Si supera, così, con l'intervento del legislatore quella opzione interpretativa secondo cui la fattibilità economica sarebbe “intrisa d valutazioni prognostiche fisiologicamente opinabili e comportanti un margine di errore, nel che è insito anche un margine di rischio, del quale è ragionevole siano arbitri i soli creditori, in coerenza con l'impianto generale prevalentemente contrattualistico dell'istituto del concordato” (Così, Cass. n. 11497/2014, che prosegue, precisando che “Di conseguenza le Sezioni Unite, con riferimento alla fattibilità economica, individuano un solo profilo su cui si esercita il sindacato officioso del giudice … : quello della verifica della sussistenza o meno di una assoluta, manifesta non attitudine del piano presentato dal debitore a raggiugere gli obiettivi prefissati, ossia a realizzare la causa concreta del concordato, individuabile caso per caso in riferimento alle specifiche modalità indicate dal proponente per superare la crisi mediante una pur minimale soddisfazione dei creditori chirografari in un tempo ragionevole (causa in astratto)”, con ciò sembrando quasi attrarre il giudizio di fattibilità economica nell'alveo del giudizio di legittimità del piano).

E si supera, ancora, quell'equivoco di fondo - già denunciato in passato - secondo cui la fattibilità economica, quale giudizio contenutistico sulla proposta concordataria, atterebbe alla valutazione di convenienza di quest'ultima rispetto alle altre possibili soluzioni della crisi d'impresa, anziché ad una preventiva valutazione prognostica di realizzabilità concreta dei presupposti economico-finanziari del piano, come tale necessariamente rimessa al previo vaglio di ammissibilità del tribunale.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario