Reintegrazione (azione di)

Cesare Trapuzzano
19 Dicembre 2017

L'azione di reintegrazione o spoglio è contemplata dal legislatore a difesa del possesso avverso condotte lesive del potere di fatto sulla res che determinino la radicale privazione di tale situazione di fatto ovvero importino l'impedimento materiale alla relativa esplicazione.Il recupero del bene attraverso l'esperimento di detta azione postula che sia integrato lo spoglio nella sua componente oggettiva e soggettiva e che l'azione sia debitamente esercitata verso gli autori materiali o morali del contegno lesivo entro il termine di decadenza annuale decorrente dalla perpetrazione dello spoglio violento ovvero dalla scoperta dello spoglio clandestino. Per converso, la tutela apprestata al possessore nei confronti dello spoglio semplice esige la ricorrenza delle condizioni prescritte per l'azione di manutenzione.
Inquadramento

Le azioni a difesa del possesso regolate dal codice civile sono rispettivamente l'azione di reintegrazione o di spoglio e l'azione di manutenzione. La tutela che l'ordinamento giuridico appresta attraverso il riconoscimento di dette azioni ha una funzione tipicamente conservativa, poiché mira a respingere o eliminare ogni comportamento che minacci di pregiudicare, o di fatto pregiudichi, la situazione vantata dal possessore. Oltre alle specifiche azioni conservative previste dal codice, la parte che abbia subito danni per effetto del comportamento illecito ascrivibile ad altro soggetto avrà altresì diritto ad essere risarcita per la lesione del possesso, ai sensi dell'art. 2043 c.c., attesa l'ingiustizia del pregiudizio arrecato alla situazione possessoria.

Con riferimento alla prima azione, il legislatore ne contempla gli elementi costitutivi nell'art. 1168 c.c., senza però provvedere a definire il concetto di spoglio nel possesso, che costituisce il presupposto per la proposizione della corrispondente domanda.

In evidenza

Sul piano generale può comunque ritenersi che detta azione, per un verso, presuppone l'integrazione di una condotta privativa del bene che costituisce oggetto del potere di fatto e, per altro verso, mira a conseguire il recupero del bene spogliato. Sicché può ritenersi che presupposto dell'azione di reintegrazione sia la sottrazione a danno del possessore del bene che forma oggetto del possesso o comunque la realizzazione di un impedimento materiale all'esercizio di un'ulteriore attività esplicativa del possesso.

Lo spoglio deve essere ancora violento o clandestino e deve essere supportato da uno specifico elemento soggettivo. A fronte dell'integrazione di questi presupposti, l'esercizio dell'azione di spoglio è finalizzata al ripristino della situazione possessoria lesa. Ne consegue che l'esercizio dell'azione possessoria postula, oltre alla privazione del potere di fatto sulla res, l'apprensione della cosa a cura dell'autore dello spoglio, poiché - qualora non ricorra tale apprensione - è dubbio che possa essere accordata la tutela possessoria, appunto perché il soggetto legittimato passivo, contro cui l'azione è rivolta, in radice, non potrebbe ripristinare il possesso, venendo meno in questo modo la funzione recuperatoria dell'azione. Così accade nel caso in cui allo spoglio della cosa segua la sua distruzione o comunque la perdita della stessa. Con riferimento all'oggetto dello spoglio, esso può riguardare non solo beni materiali, ma anche beni immateriali o comunque non specificamente delimitati nella loro estensione, come lo spazio aereo, le utenze di energia elettrica, le bande di frequenza sonore sulle quali sono irradiati programmi televisivi, il sottosuolo (Cass. civ., sez. II, 30 marzo 2016, n. 6154). Nei rapporti tra privati, ai sensi dell'art. 1145, comma 2, c.c., in via eccezionale e per ragioni di ordine pubblico, è concessa l'azione di spoglio rispetto a beni appartenenti al demanio dello Stato, nonché delle province e dei comuni, soggetti al regime dei beni demaniali, quando su tali beni siano stati compiuti atti di godimento analoghi a quelli eventualmente esercitati su cose di pertinenza esclusiva, senza che rilevi in contrario il fatto che detto godimento sia stato esercitato in mancanza di un atto di concessione legittimante una particolare forma di utilizzazione (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 2012, n. 9873).

Legittimazione attiva

La legittimazione attiva all'esercizio dell'azione di spoglio non spetta soltanto al possessore, sia questi il possessore immediato o il possessore mediato, ma - secondo la formula della norma - anche al detentore. Pertanto, anche colui che abbia la detenzione della cosa è legittimato all'esercizio dell'azione di spoglio, salvo che tale detenzione sia fondata su ragioni di servizio o di ospitalità. Ciò che conta è che il possesso o la detenzione del legittimato attivo siano attuali al momento in cui è perpetrato lo spoglio. Per l'effetto, il soggetto agente dovrà dimostrare l'esistenza del possesso o della detenzione del bene al momento del perfezionamento dello spoglio, mentre graverà sul convenuto la prova del difetto di possesso o di detenzione del ricorrente all'epoca di tale spoglio. In ordine alle cause di esclusione della legittimazione attiva con riferimento alla detenzione, il concetto di detenzione per ragioni di servizio deve essere inteso in senso restrittivo, ossia deve essere adeguato ai tempi correnti. In conseguenza, il senso del servizio è limitato all'esercizio delle incombenze domestiche o similari e non si estende al rapporto di dipendenza nel lavoro subordinato, neanche con riguardo alle mansioni più umili affidate ai dipendenti, e al rapporto di lavoro autonomo.

In evidenza

così accade non solo quando l'abitazione entri nella disponibilità di un terzo ai soli fini dell'espletamento di un'attività di servizio, come la pulizia, la cura della casa, l'assistenza di un anziano o malato, ma anche quando le chiavi dell'automobile siano consegnate ad un posteggiatore ai soli fini di curarne il ricovero in un garage.

Con riferimento alla definizione di ospitalità, si intende fare riferimento all'ipotesi in cui il soggetto sia accolto nell'abitazione gratuitamente e in maniera temporanea per ragioni di amicizia o di parentela. In tal caso, pur non essendo necessaria una predeterminazione di durata, la precarietà della detenzione non giustifica l'esperimento dell'azione di reintegrazione. Diverso è il caso in cui si instauri una relazione di convivenza con il possessore, titolo questo che dà diritto al godimento dell'alloggio in pianta stabile e a cui consegue l'assunzione della qualità di conduttore a tutti gli effetti, secondo i connotati tipici di una detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di tipo familiare (Cass. civ., sez. II, 2 gennaio 2014, n. 7; Cass. civ., sez. II, 21 marzo 2013, n. 7214). Ne discende che il convivente è legittimato a spiegare l'azione di reintegrazione, non solo verso spoliatori terzi, ma anche verso il suo compagno. L'esame delle cause marginali di detenzione che non ammettono la proposizione dell'azione di spoglio consente di escludere che la legittimazione all'esercizio della domanda possessoria si basi sulla discriminazione tra detenzione qualificata o autonoma e detenzione non qualificata o non autonoma, ossia nel proprio interesse o nell'interesse altrui. Per converso, anche con riguardo alle forme di detenzione nell'interesse altrui, sussiste la legittimazione attiva del detentore qualora la detenzione non sia riconducibile alle ipotesi del servizio o dell'ospitalità.

L'azione di spoglio può essere esercitata, sia dal possessore mediato verso il detentore, che abbia posto in essere atti di interversio della detenzione in possesso, ai sensi dell'art. 1141, comma 2, c.c. (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14819), sia dal detentore verso il possessore mediato, che abbia posto in essere condotte volte a sottrarre la detenzione.

Segnatamente, il conduttore può esercitare l'azione di spoglio nei confronti del locatore anche dopo la scadenza del contratto di locazione, restando ferma anche dopo la cessazione del rapporto la detenzione qualificata (Cass. civ., sez. II, 1 settembre 2014, n. 18486). Il detentore autonomo, che proponga azione di reintegrazione del possesso, deve provare di aver esercitato in nome altrui il potere di fatto sulla cosa, dimostrando l'esistenza del titolo posto a base dell'allegata detenzione, senza che il giudice debba accertare la validità e l'efficacia di siffatto titolo, atteso che in materia possessoria non rileva mai la valutazione degli effetti negoziali di un atto (Cass. civ., sez. VI-II, 17 febbraio 2014, n. 3627; Cass. civ., sez. II, 20 maggio 2008, n. 12751).

Dubbio è invece che la legittimazione attiva spetti al comodatario dopo la scadenza del termine pattuito o, nel comodato precario, dopo la formulazione della richiesta di restituzione da parte del comodante. Infatti, se, per un verso, il comodatario, quale detentore qualificato che detiene la cosa in forza di un titolo contrattuale nel proprio interesse, non commette spoglio ove, una volta esauritosi il rapporto contrattuale che legittima la sua detenzione, invitato a restituire il bene, opponga un rifiuto, rilevando tale comportamento soltanto sul piano dei rapporti contrattuali, con la conseguenza che il comodante resta abilitato ad agire non con l'azione di spoglio ma con l'azione di restituzione fondata sull'estinzione del contratto (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1993, n. 178), per altro verso, la detenzione di una cosa conseguita a titolo di comodato deriva da un contratto che, sebbene essenzialmente gratuito, attribuisce lo ius detentionis fino al termine pattuito o, se trattasi comodato senza determinazione di durata, fino a quando il comodante non chieda la restituzione della cosa, sicché dopo tale momento sembrerebbe configurarsi una detenzione non autonoma per mere ragioni di ospitalità, che non legittima il comodatario ad esperire l'azione di reintegra avverso atti di spoglio posti in essere da terzi (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 1987, n. 5746).

L'azione può essere proposta anche dal possessore ad immagine di un diritto reale minore contro il nudo proprietario che compia atti di spoglio ovvero dal nudo proprietario avverso gli atti di interversio possessionis posti in essere dal possessore ad immagine di un diritto reale su cosa altrui, ai sensi dell'art. 1164 c.c. (Cass. civ., sez. II, 20 marzo 2012, n. 4448). Al contempo, l'azione può essere esercitata dal compossessore verso altro compossessore, che spenda l'attività corrispondente alla sua signoria di fatto sulla res oltre la misura consentita dalla sua quota di partecipazione, servendosi della cosa comune in modo da alterarne la destinazione e da impedire agli altri partecipanti di farne parimenti uso (Cass. civ., sez. II, 26 agosto 2014, n. 18281). Anche l'appaltatore, quale detentore qualificato, può esercitare l'azione di reintegrazione nei confronti del committente che consumi lo spoglio. È privo della legittimazione all'esercizio dell'azione colui che sia in contatto col bene per mere ragioni di tolleranza del possessore ex art. 1144 c.c., in ragione di un'attività sporadica scarsamente rilevante sul piano oggettivo e accettata sul piano subiettivo per motivi di familiarità o di amicizia (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 1987, n. 5746).

Legittimazione passiva

L'azione di reintegrazione deve essere esercitata contro l'autore dello spoglio, sia questi un soggetto privato ovvero un soggetto pubblico, come la P.A., qualora essa abbia agito iure privatorum. È comunque necessario che la p.a. abbia posto in essere un'attività estranea all'esercizio di un potere amministrativo. Non vi sarebbe legittimazione passiva della P.A. ove invece il comportamento posto in essere da un soggetto privato costituisca mera esecuzione di un ordine legittimamente impartito dalla p.a. stessa, salvo che il sotteso atto amministrativo sia radicalmente inesistente.

Ove lo spoglio sia imputabile a più soggetti, tendenzialmente non ricorre litisconsorzio necessario dal lato passivo dei coautori materiali che abbiano collaborato congiuntamente all'esecuzione dello spoglio, rispondendo ciascuno di essi individualmente del fatto proprio, indipendentemente dalla partecipazione, anche preordinata, degli altri partecipanti, e potendo questi - per l'effetto - essere evocati in giudizio separatamente (Cass. civ., sez. II, 20 ottobre 1982, n. 5469), salvo che la reintegrazione del possesso comporti la necessità del ripristino dello stato dei luoghi mediante la demolizione di un'opera di proprietà o nel possesso di più persone, poiché in tal caso la pronuncia sarebbe inutiliter data (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2010, n. 3933; Cass. civ., sez. II, 11 novembre 2005, n. 22833), e ciò quand'anche il comproprietario o compossessore non sia autore dello spoglio (Cass. civ., Sez.Un., 23 gennaio 2015, n. 1238). Ove siffatta evenienza non ricorra, la circostanza che la pronuncia emessa nei confronti di uno dei coautori materiali resti ineseguibile nei confronti degli altri compartecipanti alla lesione possessoria ricollegata, dà luogo, non già ad una situazione plurisoggettiva inscindibile dei medesimi, ma alla mancata utilizzazione dei necessari strumenti processuali da parte di chi pretenda di avere subito tale lesione (Cass. civ., sez. II, 20 gennaio 1982, n. 382). Unitamente all'autore materiale risponde dello spoglio anche l'eventuale autore morale, che abbia disposto l'attuazione dello spoglio in via preventiva o lo abbia approvato successivamente. Per autore morale dello spoglio, legittimato passivo alla domanda di reintegra unitamente all'autore materiale, deve intendersi il mandante e colui che ex post abbia utilizzato a proprio vantaggio il risultato dello spoglio, sostituendo il suo possesso a quello dello spogliato, sicché non può considerarsi tale colui che si sia limitato ad una generica manifestazione di approvazione, o adesione morale, all'azione altrui, né, a maggior ragione, colui che sia soltanto intervenuto sul posto del consumato spoglio per assistere all'evoluzione dei fatti in virtù di un rapporto di amicizia con i soggetti effettivamente coinvolti nella vicenda possessoria (Cass. civ., sez. II, 4 maggio 2012, n. 6785). Ove vi sia un autore morale che abbia ordinato l'esecuzione dello spoglio, la legittimazione passiva dell'autore materiale sarà esclusa nella sola ipotesi in cui questi abbia agito non avendo la consapevolezza dell'illiceità del fatto compiuto, operando per conto di altri, senza conseguire e mantenere il possesso (Cass. civ., sez. II, 30 aprile 2015, n. 8811). Altrimenti risponderanno dello spoglio sia l'autore morale sia colui che ha cooperato sul piano materiale. I soggetti legittimati passivamente devono essere nella materiale disponibilità del bene spogliato, poiché altrimenti verrebbe pregiudicata la finalità dell'azione di spoglio, che è appunto quella di consentire il ripristino del possesso preesistente, di cui il possessore è stato privato. Sicché è precluso l'esercizio dello spoglio nei confronti dei soggetti che, all'esito della privazione attuata sul possesso altrui, abbiano distrutto il bene o l'abbiano trasferito a terzi o ne abbiano subito il sequestro. Così, nel caso di spoglio consumato dal locatore, questi non può essere evocato in giudizio con l'azione di reintegrazione ove nelle more abbia consegnato il bene ad altro conduttore. Pertanto, l'individuazione del legittimato passivo presuppone che questi abbia conseguito e abbia attualmente la disponibilità del bene spogliato. Secondo una giurisprudenza minoritaria, anche nel caso di perdita del possesso da parte dell'autore dello spoglio, l'azione di reintegrazione potrebbe essere proposta in ragione della sua specifica utilità ai fini dell'esperimento del successivo giudizio, atto a conseguire il risarcimento dei danni.

Ai sensi dell'art. 1169 c.c., l'azione di spoglio può essere esercitata anche contro chi entri nel possesso del bene spogliato in ragione di un acquisto a titolo particolare, compiuto nella consapevolezza dell'avvenuto spoglio. In tal caso, l'azione può essere esercitata sia contro l'autore immediato dello spoglio sia contro colui che ha conseguito il possesso del bene spogliato, sempre che la traditio sia avvenuta prima della proposizione dell'azione, altrimenti la pronuncia verso l'autore immediato ha effetto, ai sensi dell'art. 111, comma 4, c.p.c., nei confronti dell'avente causa, senza che operi la clausola di salvezza degli effetti della trascrizione ivi prevista, in quanto la domanda di reintegrazione o di manutenzione non va trascritta ai sensi e per gli effetti dell'art. 2653, n. 1), c.c. (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2015, n. 7365). Si ritiene nondimeno che l'ipotesi dell'estensione della legittimazione all'acquirente a titolo particolare non sia estensibile al caso in cui autore dello spoglio sia il locatore che, in conseguenza della perpetrazione di tale spoglio, abbia concesso il bene in detenzione ad altro conduttore. E ciò perché la norma espressamente si riferisce all'acquisto del possesso in virtù di un titolo particolare, mentre nel caso esaminato il nuovo conduttore acquisterebbe la detenzione e non il possesso. Ove si ritenga che l'ambito applicativo della norma concerna anche tale fattispecie, la relativa conclusione può essere giustificata solo alla stregua di un'interpretazione estensiva o analogica dell'art. 1169 c.c.; ma una parte della giurisprudenza ritiene che il concetto di possesso cui allude la norma non sia da intendere in senso tecnico e quindi sia riferibile anche alla detenzione. In siffatta evenienza il conduttore che abbia acquistato la detenzione a titolo particolare, nella consapevolezza dell'avvenuto spoglio, sarebbe legittimato passivo in via esclusiva, essendo invece negata la legittimazione passiva concorrente del locatore che gli abbia concesso in detenzione la cosa.

Presupposto oggettivo: lo spoglio

La norma richiede, affinché l'azione di reintegrazione possa essere esercitata con successo, che il possessore o il detentore siano stati violentemente od occultamente spogliati del possesso. Tuttavia, la norma non specifica i termini in cui si sostanzia detto spoglio. In ogni caso, l'individuazione degli estremi dello spoglio costituisce circostanza dirimente per la discriminazione rispetto al presupposto dell'ulteriore azione possessoria accordata dalla legge, ossia l'azione di manutenzione, che invece postula l'integrazione di una molestia o turbativa. Lo spoglio consiste nella radicale privazione del possesso, da cui discende la perdita della cosa posseduta. A fronte di questa definizione di spoglio, nulla cambia ove si ammetta l'esercizio dell'azione in questione anche nel caso di perpetrazione di uno spoglio parziale, poiché - rispetto allo spoglio totale - comunque deve ricorrere una privazione del bene posseduto, sebbene sul piano quantitativo essa non si estenda a tutta la cosa, ma riguardi solo una frazione di essa.

Lo spoglio può ricorrere, non solo quando sussista una sottrazione materiale del bene o di una sua frazione, ma anche quando sia radicalmente impedita l'attività di godimento del possessore in modo duraturo e non transitorio, benché non necessariamente definitivo. Così l'apposizione di un ostacolo permanente, che renda impossibile percorrere una strada, su cui prima veniva esercitato un possesso ad immagine di una servitù apparente di passaggio, integra il concetto di spoglio. Tuttavia, il relativo impedimento deve avere carattere duraturo e non deve trattarsi di una mera scomodità o aggravamento o diminuzione nell'esercizio del possesso, altrimenti essendo integrato il concetto di turbativa, che legittima la proposizione dell'azione di manutenzione. Seguendo l'orientamento della Suprema Corte, la distinzione tra spoglio e molestia riguarda la natura dell'aggressione all'altrui possesso, nel senso che il primo incide direttamente sulla cosa che ne costituisce l'oggetto, sottraendola in tutto o in parte alla disponibilità del possessore, mentre la seconda si rivolge contro l'attività di godimento di quest'ultimo, disturbandone il pacifico esercizio, ovvero rendendolo disagevole e scomodo (Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2016, n. 19586). Lo spoglio del possesso ad immagine di una servitù è tutelabile con l'azione di reintegrazione quand'anche non si tratti di servitù apparente, sicché la preclusione all'acquisto per usucapione non impedisce la difesa del possesso con l'azione di spoglio (Cass. civ., sez. II,17 febbraio 2012, n. 2367).

Sul piano processuale, la proposizione di un'azione di reintegrazione, a fronte del perfezionamento di una mera turbativa, consente comunque al giudice di qualificare d'ufficio l'azione spiegata come manutenzione, poiché quest'ultima rappresenta un minus della più penetrante e ampia azione possessoria avanzata (Cass. civ., sez. II,30 settembre 2016, n. 19586). Affinché si radichi lo spoglio tutelabile con l'azione di reintegrazione, non è sufficiente la privazione del possesso o l'impedimento permanente all'esercizio del possesso, ma è necessario altresì che a tale condotta segua l'acquisto del potere di fatto da parte dell'autore dello spoglio. Ove non ne consegua tale ulteriore condizione, l'esercizio dell'azione di reintegrazione sarebbe precluso, essendo invece esperibile esclusivamente l'azione risarcitoria.

Violenza

Lo spoglio tutelabile con l'azione in questione deve essere violento o clandestino. Secondo l'indirizzo della giurisprudenza, affinché lo spoglio sia qualificabile come violento, non è necessario che l'autore ponga in essere atti di violenza materiale, coincidendo piuttosto la nozione di violenza con la natura arbitraria del comportamento azionato dal soggetto agente. Pertanto, la violenza dello spoglio è incardinata qualora la privazione del possesso avvenga contro la volontà, vera o presunta, dello spogliato. Anche in presenza di un'ipotesi di violenza morale lo spoglio può essere integrato, purché la pressione psicologica attuata sia grave o notevole ed escluda il consenso dello spogliato alla perdita del possesso. Ne discende che, affinché sussista la violenza dello spoglio non è necessario che questo sia stato compiuto con forza fisica o con armi, essendo invece sufficiente che sia avvenuto senza o contro la volontà effettiva, o anche solo presunta, del possessore, mediante una mera violenza morale, quale una minaccia (Cass. civ., sez. II, 2 dicembre 2013, n. 26985). Sussiste la presunzione di volontà contraria del possessore ove manchi la prova di una manifestazione univoca di consenso, senza che rilevi in senso contrario il semplice silenzio, in quanto circostanza di per sé equivoca e non interpretabile come espressione di acquiescenza (Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 2012, n. 22174; Cass. civ., sez. II, 13 febbraio 1999, n. 1204). Ricorre, invece, la figura dello spoglio semplice, quando questo si perfezioni senza violenza o clandestinità, in tal caso essendo subordinata la tutela possessoria all'integrazione dei requisiti dell'azione di manutenzione, definita recuperatoria, come previsto dall'art. 1170, ultimo comma, c.c., ossia purché il possesso duri da oltre un anno, in modo continuo e non interrotto, e non sia stato acquistato violentemente o clandestinamente, ovvero sia decorso oltre un anno dal giorno in cui la violenza o clandestinità è cessata, e sempre che l'azione sia spiegata dal possessore, atteso che il detentore non è legittimato attivamente alla proposizione dell'azione di manutenzione.

In evidenza

si ha spoglio semplice quando, alla presenza del locatore, il conduttore rifiuti di restituire il bene e ne rivendichi la proprietà, ponendo in essere atti di opposizione alla richiesta del possessore mediato, idonei a determinare un'interversione nel possesso (Cass. civ., sez. II, 29 maggio 2013, n. 13417).

Lo spoglio assume i connotati della violenza anche quando il soggetto agente rivesta una qualità che dia alla sua condotta un'apparenza di legittimità: così accade qualora l'ufficiale giudiziario agisca in base ad una procedura esecutiva irregolare, senza che sia necessario il concorrente requisito della malafede del soggetto che ha promosso l'azione esecutiva. In senso contrario la giurisprudenza di legittimità esige, oltre che il titolo, in forza del quale si procede, non abbia efficacia contro il possessore, anche che l'intervento dell'ufficiale giudiziario sia stato maliziosamente provocato da colui che ha richiesto l'esecuzione, ovvero che vi sia il dolo dell'istante il quale, conscio dell'arbitrarietà della sua richiesta, abbia sollecitato l'intervento dell'ufficiale giudiziario (Cass. civ., sez. II, 25 luglio 2011, n. 16229; Cass. civ., sez. II, 18 giugno 1998, n. 6081).

Clandestinità

Lo spoglio è clandestino quando il comportamento dell'autore dello spossessamento sia occulto per il possessore, il quale ne venga a conoscenza in un momento successivo. Non occorre, dunque, che lo spoglio sia stato consumato oggettivamente in modo non percepibile, ma è sufficiente che non sia stato percepito da colui che lo ha subito, quand'anche esso sia per ipotesi palese. Secondo la Suprema Corte, il requisito della clandestinità dello spoglio sussiste ogni qual volta lo spossessamento avviene mediante atti che non possano venire a conoscenza di colui che è stato privato del possesso o della detenzione, sicché ciò che rileva è che il possessore o il detentore, usando l'ordinaria diligenza ed avuto riguardo alle concrete circostanze in cui lo spossessamento si è verificato, si siano trovati nell'impossibilità di averne conoscenza (Cass. civ., sez. II, 6 aprile 2017, n. 8911; Cass. civ., sez. II, 4 febbraio 1998, n. 1131; Cass. civ., sez. II, 8 aprile 1975, n. 1276). All'ignoranza colpevole del soggetto spogliato è equiparata la conoscenza dello spossessamento, aspetto questo che influisce sulla decorrenza del termine di decadenza per l'esercizio dell'azione.

Presupposto soggettivo

Il presupposto soggettivo dello spoglio è identificato non solo nella suitas della condotta, ossia nella volontarietà del comportamento di spoglio adottato, ma anche nella consapevolezza di agire contro la volontà espressa o presunta del possessore o del detentore, benché non sia necessario il dolo, ossia l'intenzione di spogliare il possessore (Cass. civ., sez. VI-II, 4 novembre 2013, n. 24673). In questi termini si esige sul piano subiettivo il cosiddetto animus spoliandi. Siffatta consapevolezza può essere arguita anche dei requisiti oggettivi della condotta integrata, sicché il problema assumerebbe una concreta rilevanza solo con riferimento allo spoglio semplice: in questo caso il possessore spogliato deve fornire un'adeguata dimostrazione dell'elemento soggettivo, poiché esso non può essere desunto dai modi di estrinsecazione dello spoglio, che si è consumato senza violenza o clandestinità. Secondo altro indirizzo, occorrerebbe avere riferimento al carattere colposo del comportamento dell'autore dello spoglio, il quale non abbia assunto le necessarie informazioni in ordine alla presumibile volontà del possessore. Il consenso espresso o tacito dello spogliato esclude, pertanto, l'animus secondo il brocardo nolenti non fit iniuria. L'animus non è invece escluso dall'erronea convinzione di non ledere il possesso altrui ovvero dall'erroneo convincimento di operare in forza della titolarità di un diritto. Il presupposto soggettivo è escluso ove lo spogliante eccepisca di avere agito nell'immediatezza a tutela di uno spoglio a sua volta subito, ossia a tutela dello ius possessionis, secondo la clausola feci sed iure feci (Cass. civ., sez. II, 3 marzo 2016, n. 4198; Cass. civ., sez. II, 9 giugno 2009, n. 13270). L'onere della prova dell'elemento soggettivo ricade sul ricorrente che propone l'azione di spoglio (Cass. civ., sez. II, 18 febbraio 2008, n. 3955).

Termine di decadenza

L'esercizio dell'azione di spoglio soggiace ad un breve termine annuale di decadenza. Il termine decadenziale decorre dal sofferto spoglio, se questo sia avvenuto con violenza, ovvero dalla scoperta dello spoglio, se questo sia avvenuto clandestinamente. Il rispetto di tale termine annuale deve essere verificato con riferimento alla data di deposito del ricorso introduttivo del procedimento possessorio, che individua con certezza la reazione all'atto illecito (Cass. civ., sez. II, 20 luglio 2011, n. 15971).

Non sempre la perpetrazione dello spoglio si consuma con atti istantanei e unitari. Quando tale consumazione si prolunghi nel tempo, poiché avviene attraverso plurimi atti lesivi, si pone il problema di individuare il momento in cui decorre il termine di decadenza. Al riguardo, si sostiene che il termine decorrerà dal momento in cui si perfeziona l'atto che importa una vera e propria consumazione dello spoglio. Tale atto potrà essere il primo della serie, ove questo sia pienamente idoneo allo scopo, ovvero l'ultimo, qualora lo spoglio si perfezioni solo attraverso l'ultima azione della condotta progressiva, a fronte della quale i precedenti atti siano privi di una sostanziale autonomia. Pertanto, nel caso di spoglio posto in essere con una pluralità di atti, il termine utile per l'esperimento dell'azione possessoria decorre dal primo di essi soltanto se quelli successivi, essendo strettamente collegati e connessi, devono ritenersi prosecuzione della stessa attività; altrimenti, quando ogni atto - presentando caratteristiche sue proprie - si presta ad essere considerato isolatamente, il termine decorre dall'ultimo atto (Cass. civ., sez. II, 23 maggio 2012, n. 8148), concetto che si attaglia anche all'ipotesi di spoglio di cose composte (Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2013, n. 1494). Qualora gli atti consecutivi non siano tra loro collegati sul piano teleologico, vi saranno più spogli successivi, ognuno dei quali sarà sottoposto ad un proprio regime di decadenza.

Sul piano processuale l'eccezione di decadenza deve essere sollevata dal resistente chiamato in causa e non può essere rilevata d'ufficio. In presenza di tale eccezione, sarà onere del ricorrente dimostrare la tempestività dell'azione (Cass. civ., sez. II, 19 marzo 2014, n. 6428; Cass. civ., sez. II, 3 luglio 1996, n. 6055). Nondimeno, nell'ipotesi in cui lo spoglio sia stato clandestino, colui che agisce in possessoria - sul quale incombe, di regola, l'onere di provare la tempestività della proposizione dell'azione - deve dimostrare soltanto la clandestinità dell'atto violatore del possesso e la data della scoperta di esso da parte sua, iniziando a decorrere il termine annuale di decadenza dal momento in cui cessa la clandestinità e lo spossessato viene a conoscenza dell'illecito, o sia in condizione di averne conoscenza facendo uso della normale diligenza; resta, invece, a carico del convenuto spoliatore l'onere di provare l'intempestività dell'azione rispetto all'epoca di conoscenza o di conoscibilità dello spoglio (Cass. civ., sez. II, 18 settembre 2009, n. 20228). Il termine ha natura sostanziale, atteso che il suo inutile decorso estingue il relativo diritto, e pertanto non è soggetto alla sospensione nel periodo feriale, disposta dalla legge n. 742 del 1969 con riguardo ai termini processuali (Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 2012, n. 18058).

Aspetti processuali

La reintegrazione deve avvenire sulla base della semplice notorietà del fatto, senza dilazione. Sul piano processuale, l'azione possessoria ha natura bifasica. Essa si sviluppa secondo una prima fase sommaria o interdittale, cui consegue la fase eventuale a cognizione piena del cosiddetto merito possessorio (Cass. civ., Sez.Un., 24 febbraio 1998, n. 1984), secondo il principio di strumentalità attenuata. Spetta allo spogliato dimostrare la perpetrazione dello spoglio, essendo sufficiente al legittimato passivo trincerarsi dietro la clausola possideo quia possideo. Il riferimento alla semplice notorietà del fatto impone di riconoscere la tutela possessoria sulla scorta di un'istruzione probatoria celere e deformalizzata, essendo connotata la tutela del possesso da evidenti ragioni di speditezza e urgenza. Infatti, la tutela del possesso è prioritaria rispetto a quella della proprietà, secondo il brocardo latino spoliatus ante omnia restituendus. L'approfondimento circa l'integrazione dello spoglio sarà rimesso alla fase successiva eventuale.

Guida all'approfondimento

De Martino, Del possesso. Della denunzia di nuova opera e di danno temuto, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja e Branca, III, Della proprietà, Bologna-Roma, 1984, 111;

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Levoni, La tutela del possesso. I. L'oggetto della tutela e le azioni, Milano, 1979, 276;

Masi, Il possesso e la denuncia di nuova opera e di danno temuto, V, in Trattato di diritto privato, a cura di Rescigno, Torino, 1982, 462;

Natoli, Il possesso, II, Milano, 1992, 143;

Protettì, Le azioni possessorie, Milano, 2005, 213;

Sacco, Possesso. Denuncia di nuova opera e danno temuto, Milano, 1960, 46.

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