Il whistleblowing alla luce della più recente evoluzione normativa

Giuseppe Fera
21 Dicembre 2017

È stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la Legge sul whistleblowing. La nuova normativa, finalizzata all'incentivazione delle segnalazioni di comportamenti illeciti, rafforza la tutela degli autori delle segnalazioni stesse modificando l'art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 e estendendone il campo di applicazione anche ai dipendenti e ai collaboratori delle imprese che operano per la P.A.
Art. 54-bis T.U. sul pubblico impiego e Legge anticorruzione n. 190/2012

Per la prima volta il whistleblowing è stato disciplinato in Italia con la L. n. 190/2012, c.d. anticorruzione, che ha modificato l'art. 54-bis del D.Lgs. n. 165/2001 (c.d. “Testo Unico del pubblico impiego”), dunque esclusivamente per i dipendenti pubblici. Con tale disposizione il legislatore ha inteso regolare, seppur in via ancora del tutto embrionale, l'eventualità in cui il dipendente pubblico denunci condotte illecite di altri colleghi di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. La necessità di normare siffatta evenienza sorge dal bilanciamento tra principi dell'ordinamento, in particolare è necessario fare riferimento al disposto degli art. 2104 e 2105 cc. L'obbligo di fedeltà ivi sancito è particolarmente pregnante, stante il carattere fiduciario alla base del rapporto di lavoro e il dovere del lavoratore di osservare le disposizioni impartite dal datore di lavoro in quanto inserito nell'organizzazione produttiva di quest'ultimo. In ragione di tali disposizioni, inoltre, il dipendente è tenuto a non fare un uso delle informazioni relative al datore di lavoro che possa arrecare danno allo stesso, onde evitare di essere esposto a misure disciplinari di carattere sanzionatorio. Altra norma rilevante è l'art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di assicurare ai propri dipendenti la salubrità dell'ambiente di lavoro, sia in senso fisico che morale, dovendosi ritenere una minaccia anche il comportamento di un dipendente che possa ledere un altro dipendente. È lampante come anche il whistleblowing possa rientrare in suddetti comportamenti, stanti le sue ovvie potenzialità lesive nei confronti del segnalato. Il datore di lavoro sarebbe, pertanto, tenuto a rimuovere il comportamento pregiudizievole del responsabile.A tale quadro fa da contraltare la necessità, da un lato, di tutelare il diritto di critica del lavoratore, dall'altro di incentivare la segnalazione di comportamenti illeciti al fine di sanzionarli e di prevenirli, soprattutto per quanto riguarda le pubbliche amministrazioni e, più in generale, gli enti che operino in settori di pubblico interesse.

Operando un bilanciamento tra i due interessi, il legislatore del 2012 ha previsto, con l'art. 54-bis, D.Lgs. n. 165/2001, che il dipendente pubblico che denunci (“whistleblower”) all'autorità giudiziaria, alla Corte dei conti o all'ANAC (Autorità Nazionale Anticorruzione), ovvero riferisca al proprio superiore condotte illecite di cui sia venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro, non possa essere sottoposto ad alcuna misura discriminatoria che abbia effetti sulle condizioni di lavoro per motivi direttamente o indirettamente collegati alla denuncia. La tutela non operava nel caso in cui fosse stata accertata la responsabilità del whistleblower per calunnia o diffamazione. Inoltre, nel caso in cui in seguito alla segnalazione si fosse reso necessario instaurare un procedimento disciplinare a carico di un altro dipendente, l'identità del segnalante non poteva essere rivelata senza il consenso dello stesso, a meno che ciò non fosse assolutamente indispensabile per la difesa dell'incolpato.

Il 15 novembre 2017 è stata poi approvata alla Camera la legge sul Whistleblowing: la nuova normativa rafforza la tutela degli autori di segnalazioni di reati o irregolarità modificando il D.Lgs. n. 165/2001 ed estendendone il campo di applicazione anche ai dipendenti e ai collaboratori delle imprese che operano per la PA.

Il whistleblower

Il whistleblower è definito come il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della PA, segnali al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza, ovvero all'ANAC, o denunci all'autorità giudiziaria ordinaria o a quella contabile, condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro.

Pubblico dipendente, ai sensi del comma 2 del nuovo art. 54-bis, è il dipendente delle amministrazioni pubbliche, di un ente pubblico economico ovvero il dipendente di un ente di diritto privato sottoposto a controllo pubblico ai sensi dell'art. 2359 c.c. Tuttavia la novella introduce un'estensione applicativa importante: la nuova disciplina si applica anche ai lavoratori e ai collaboratori delle imprese fornitrici di beni o servizi che realizzano opere per l'amministrazione pubblica. Il legislatore ha, dunque, ritenuto necessario valorizzare, ai fini della nuova disciplina, un legame con la PA che non implichi appartenenza tout court al settore pubblico, ma che tuttavia ponga le imprese interessate in una posizione rilevante per la segnalazione di illeciti che potrebbero avere un riflesso sull'integrità della pubblica amministrazione e sugli interessi diffusi fra il pubblico. Si evidenzia come la tutela non si applichi soltanto ai lavoratori dipendenti delle imprese suddette ma anche ai collaboratori.

La Tutela del whistleblower è declinata in due aspetti fondamentali: da un lato, una tutela prettamente giuslavoristica che mira a tenere indenne il dipendente segnalante da qualsiasi misura discriminatoria che il datore di lavoro potrebbe disporre nei suoi confronti in ragione della segnalazione, dall'altro, una tutela che attiene ad aspetti connessi alla tutela della privacy, relativamente alla rivelazione dell'identità del whistleblower.

Tutela del rapporto di lavoro del whislteblower

Per quanto riguarda il primo ambito di tutela, il comma 1 del nuovo art. 54-bis prevede che il dipendente segnalante non possa essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro, in ragione della segnalazione. La tutela è resa “effettiva” dalla previsione di uno strumento di reclamo all'ANAC: la norma prevede che il dipendente stesso, ovvero le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative nell'amministrazione nella quale sono state poste in essere le violazioni, comunichino all'ANAC l'adozione di misure ritorsive nei confronti del segnalante. L'ANAC, in seguito alla segnalazione, informa il Dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei Ministri e provvede ad un'istruttoria al fine di verificare l'effettiva adozione di misure discriminatorie da parte della PA o degli altri enti succitati. Nel caso in cui tale istruttoria abbia esito positivo, l'ANAC applica al responsabile che abbia adottato la misura ritorsiva una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro.

Inoltre, è espressamente previsto al comma 8 del nuovo art. 54-bis che il segnalante che sia licenziato a motivo della segnalazione debba essere reintegrato nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 2, D.Lgs. n. 23/2015. Pertanto il dipendente avrà diritto, oltre che alla reintegra, anche al risarcimento di una somma pari alla retribuzione allo stesso spettante dal giorno del licenziamento a quello della effettiva reintegra, per un minimo di 5 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, nonché al versamento di tutti i contributi previdenziali ed assistenziali medio tempore maturati da parte del datore di lavoro.

La nuova disciplina introduce espressamente anche un'inversione dell'onere della prova nei confronti del datore di lavoro: è a carico della PA, o degli altri enti di cui al comma 2 dello stesso art. 54-bis, dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, siano motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa. Dunque, anche per quanto riguarda l'aspetto più squisitamente processuale e contenzioso, il whistleblower gode di una specifica tutela: gli sarà sufficiente allegare e provare l'esistenza del rapporto di lavoro, della segnalazione e, infine, dell'adozione della misura che sarà presuntivamente considerata ritorsiva.

Ai fini della tutela è necessario, tuttavia, che la segnalazione dell'illecito da parte del dipendente sia fondata ed effettuata in buona fede. Infatti, nel caso in cui, al termine del procedimento penale, civile o contabile, ovvero all'esito dell'attività di accertamento dell'ANAC, risulti l'infondatezza della segnalazione e che la stessa non sia stata effettuata in buona fede, il segnalante è sottoposto a procedimento disciplinare dall'ente di appartenenza. All'esito di detto procedimento, è possibile anche che il dipendente venga sanzionato con il licenziamento per giusta causa ex art. 2119 c.c., e dunque senza obbligo di preavviso da parte del datore di lavoro, in ragione del particolare disvalore della condotta, senza dubbio idonea a inficiare il vincolo fiduciario posto alla base del rapporto di lavoro.

Tutela della privacy del whistleblower

La tutela del segnalante, tuttavia, viene estesa anche riguardo ad un ulteriore profilo, quello relativo alla privacy, e specificatamente alla riservatezza dell'identità del whistleblower. Il comma 3 del nuovo art. 54-bis prevede che l'identità del segnalante non può essere rivelata ed è coperta dal segreto ex art. 329 c.p.p., dunque deve essere rivelata solo in seguito alla chiusura delle indagini preliminari; inoltre il pubblico ministero può disporre l'obbligo del segreto se la pubblicazione dell'identità del segnalante possa ostacolare le indagini. Nel procedimento dinanzi alla Corte dei Conti, poi, l'identità del segnalante non può essere rivelata fino alla chiusura della fase istruttoria.

Un elemento di continuità, rispetto alla disciplina precedente, è costituito dalla previsione che nell'ambito del procedimento disciplinare l'identità del segnalante non può essere rivelata, ove la contestazione dell'addebito disciplinare sia fondata su accertamenti distinti e ulteriori rispetto alla segnalazione, anche se conseguenti alla stessa. Al contrario, del tutto nuova è la circostanza che, anche nel caso in cui la conoscenza dell'identità del whistleblower sia indispensabile per la difesa dell'incolpato, la segnalazione può essere utilizzata ai fini del procedimento disciplinare solo se il segnalante stesso dà il consenso alla rivelazione della sua identità. Anche di fronte al diritto del lavoratore di difendersi nel procedimento disciplinare avviato dal datore di lavoro, il legislatore ha ritenuto prevalente la necessità di tutelare la privacy del segnalante. Probabilmente la valutazione è stata operata in un'ottica teleologica piuttosto che attenta all'armonia dell'ordinamento: l'obiettivo è chiaramente di incentivare le segnalazioni e garantire una maggiore integrità della Pubblica Amministrazione.

Si evidenzia, infine, che la segnalazione è sottratta anche al diritto di accesso agli atti amministrativi previsto dagli artt. 22 e ss., L. n. 241/1990. Ancora una volta, la ratio è da ricercarsi nella volontà di incentivare le segnalazioni e la riservatezza ad essa connessa.

Il ruolo dell'ANAC

Di assoluta rilevanza è il ruolo che la nuova disciplina attribuisce all'ANAC, in quanto la normativa non si limita a definirne un ruolo meramente sanzionatorio. È espressamente previsto, infatti, che l'ANAC, sentito il Garante per la Protezione dei Dati Personali, adotti apposite linee guida relative alle procedure per la presentazione e la gestione delle segnalazioni. In particolare, deve essere previsto l'utilizzo di modalità anche informatiche e promosso il ricorso a strumenti di crittografia per garantire la riservatezza dell'identità del segnalante ed il contenuto delle segnalazioni e della relativa documentazione. Le suddette linee guida saranno, dunque, fondamentali non solo per la tutela della privacy del segnalante, ma anche per i profili di rilievo giuslavoristico, in quanto un'opportuna gestione delle segnalazioni potrà prevenire l'adozione di misure discriminatorie che influiscano negativamente sul rapporto di lavoro.

A completamento di tale quadro, infatti, il comma 6 dell'art. 54-bis dispone che, qualora venga accertata l'assenza di procedure per l'inoltro e la gestione delle segnalazioni, ovvero l'adozione di procedure non conformi alle linee guida adottate dall'ANAC, quest'ultima applicherà al responsabile una sanzione amministrativa pecuniaria da 10.000 a 50.000 Euro. La medesima sanzione è disposta nel caso in cui venga accertato il mancato svolgimento di attività di verifica e analisi delle segnalazioni ricevute. La norma prevede che la determinazione dell'entità della sanzione avverrà sulla base delle dimensioni dell'amministrazione o dell'ente cui si riferisce. Si ritiene tuttavia che non possa essere questo l'unico elemento di valutazione, bensì, in armonia con i principi generali dell'ordinamento in tema di sanzioni, dovrà tenersi conto anche della gravità della violazione in ragione della quale la sanzione viene inflitta, nonché dell'elemento soggettivo.

Conclusioni

La nuova normativa amplia sensibilmente lo spettro di tutela del whistleblower nel settore pubblico, tuttavia nell'insieme la disciplina potrebbe apparire eccessivamente ispirata da una ratio teleologica volta a incentivare il più possibile le segnalazioni, piuttosto che a una più ponderata valutazione giuridica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti giuslavoristici, che, sebbene predispongano una tutela necessaria del rapporto di lavoro del segnalante, avrebbero potuto essere meglio soppesate, in particolar modo per quel che riguarda il procedimento disciplinare e il diritto di difesa del lavoratore segnalato all'interno dello stesso.

Nel complesso, si può dire che è stato fatto un considerevole passo in avanti rispetto ad una prima normazione embrionale del whistleblowing: particolarmente rilevante in tale senso è l'estensione dell'applicabilità della disciplina anche ai dipendenti delle imprese di diritto privato che forniscano beni o servizi alla PA e l'inversione dell'onere della prova per l'adozione di misure ritorsive.

Insomma, un passo è stato fatto, ma la strada appare ancora lunga.

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