La disciplina della prededuzione e dei rapporti giuridici pendenti

Marco Terenghi
21 Dicembre 2017

Uno dei focus più significativi affrontati dal disegno di legge è rappresentato dall'attenzione dedicata ai costi delle procedure concorsuali, la cui riduzione costituisce un obiettivo primario da perseguirsi “anche attraverso misure di (…) contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l'attivo delle procedure” (capo I, art. 2, lett. l).
Premessa

Uno dei focus più significativi affrontati dal disegno di legge è rappresentato dall'attenzione dedicata ai costi delle procedure concorsuali, la cui riduzione costituisce un obiettivo primario da perseguirsi anche attraverso misure di (…) contenimento delle ipotesi di prededuzione, con riguardo altresì ai compensi dei professionisti, al fine di evitare che il pagamento dei crediti prededucibili assorba in misura rilevante l'attivo delle procedure” (capo I, art. 2, lett. l).

Il principio, proprio in quanto enunciato a carattere generale, va diversamente declinato in relazione alle diverse procedure concorsuali, all'interno delle quali assume caratterizzazioni differenti: in particolare, il riferimento ai compensi dei professionisti richiama immediatamente lo scenario del concordato preventivo e di quel variegato universo di figure professionali (advisors aziendali e legali, attestatori, periti e stimatori, commissari giudiziali, ausiliari di questi ultimi) che gravitano intorno alla realtà concordataria ed il cui operato costituisce un'inevitabile fonte di costi per la procedura (in argomento D. Fico, La prededucibilità del credito dei professionisti nella legge delega, in questo portale, 17.11.2017).

Per quanto più strettamente attiene alla realtà del fallimento (o della “liquidazione giudiziale”, secondo il neologismo), invece, la nozione di prededuzione si accompagna in via prioritaria agli oneri correlati alla prosecuzione o al subentro nei rapporti giuridici pendenti, che raggiunge il proprio apice in quella particolare forma di “continuazione” rappresentata dall'esercizio provvisorio dell'impresa dichiarata fallita.

La prededuzione

La vigente normativa fallimentare non esprime una regola unitaria testualmente inequivoca in ordine alle conseguenze prodotte dal subentro del curatore nei rapporti giuridici pendenti al momento dell'apertura della procedura, ma la relativa disciplina può adeguatamente ricavarsi da almeno tre fonti specifiche, vale a dire l'art. 72, primo comma, l'art. 74 e l'art. 107.

La prima stabilisce che quando il curatore subentra nel contratto in luogo del fallito, si assume “tutti i relativi obblighi” da esso derivanti. Ciò significa, in particolare, che la curatela deve adempiere integralmente e tempestivamente quantomeno a tutte le obbligazioni negoziali aventi scadenza successiva alla dichiarazione di fallimento, le quali assumono quindi carattere prededucibile. La norma non tratta in modo espresso delle prestazioni parzialmente eseguite dal terzo contraente in bonis prima dell'apertura della procedura, ma una precisa regola in tal senso si rinviene nell'art. 74, il quale, disciplinando i contratti ad esecuzione continuata o periodica, afferma che il curatore subentrante “deve pagare integralmente il prezzo anche delle consegne già avvenute o dei servizi già erogati”. Un simile principio, che estende la prededuzione ai crediti maturati ante fallimento, è stato ritenuto eccezionale ed insuscettibile di applicazione analogica (tra le altre Cass. 15 febbraio 2013, n. 3834), e viene normalmente spiegato con l'unitarietà della causa contrattuale sottesa ai rapporti periodici o continuativi, che non consentirebbe di eseguire solo parzialmente le prestazioni (S. Bonfatti-P.F. Censoni, Le disposizioni correttive ed integrative della legge fallimentare, Padova, 2008; O. Cagnasso, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio, II, 2007; D. Plenteda, I rapporti giuridici pendenti nel fallimento riformato, Milano, 2008, 47), o con l'esigenza di tutelare il contraente in bonis, rispetto al quale non apparirebbe equo obbligarlo a continuare ad adempiere sottoponendolo nel contempo alla falcidia concorsuale per le prestazioni già eseguite (A. Dimundo, Gli effetti del fallimento sui rapporti giuridici preesistenti, in Il diritto fallimentare riformato, a cura di G. Schiano di Pepe, Padova, 2007), e che in assenza di una specifica tutela normativa sospenderebbe l'esecuzione di quelle future (V. Zanichelli, La nuova disciplina del fallimento e delle altre procedure concorsuali dopo il d.lg. 169/2007, Torino, 2008). Ciò nondimeno, a giudizio di numerosi interpreti la riforma di cui al D. Lgs. n. 169/2007 avrebbe attribuito valenza generale alla regola sancita dall'art. 74 (nonché, è bene ricordarlo, dall'art. 82 in tema di polizze e premi assicurativi), tanto da far ritenere fonte di prededuzione la prosecuzione, da parte del curatore, anche di contratti ad esecuzione differita in cui il contraente in bonis abbia parzialmente adempiuto la propria obbligazione prima della sentenza dichiarativa, con l'unico limite costituito da quelli ad effetti reali in cui il trasferimento del diritto si sia già verificato anteriormente alla procedura (S. Bonfatti-P.F. Censoni, Le disposizioni correttive ed integrative della legge fallimentare, Padova, 2008, 339; A. Maffei Alberti, Commentario breve alla legge fallimentare, Padova, 2013).

Nel caso poi in cui venga disposto l'esercizio provvisorio dell'impresa, l'art. 104, settimo comma, dispone la prosecuzione automatica dei “contratti pendenti”, salva la facoltà del curatore di sospenderli o sciogliersene, così derogando al principio generale della sospensione previsto dall'art. 72, primo comma (sul punto F. Pasquariello, Esercizio provvisorio dell'impresa, in questo portale, 27.4.2016). Tale regola, evidentemente funzionale alle esigenze ed alle finalità dell'esercizio provvisorio, implica necessariamente la prededucibilità dei crediti sorti durante lo svolgimento di quest'ultimo (penultimo comma dell'art. 104), e si correla comunque con il disposto del già citato art. 74, in forza del quale la prededuzione compete altresì ai crediti scaduti ante fallimento relativamente a contratti ad esecuzione continuata o periodica parzialmente eseguiti in cui il curatore sia subentrato (secondo L. Guglielmucci, Gli effetti sui rapporti giuridici preesistenti, in A. Jorio-(a cura di) Il nuovo diritto fallimentare. Novità ed esperienze applicative a cinque anni dalla riforma, Bologna, 2010, e P. Pajardi-A. Paluchowski, Codice del fallimento, Milano, 2009, 592, tuttavia, in questo caso l'art. 74 non troverebbe applicazione, poiché la continuazione del contratto deriverebbe da una scelta del legislatore, e non dall'iniziativa della curatela. Sul punto Cass. 19 marzo 2012, n. 4303).

In questo contesto normativo, il disegno di legge interviene in modo deciso e sicuramente destinato a lasciare il segno. Nel valorizzare in linea generale l'obiettivo della riduzione dei costi delle procedure concorsuali, “anche attraverso misure di (…) contenimento delle ipotesi di prededuzione” (art. 2, lett. l), esso dedica infatti al tema la lett. a) dell'art. 7, comma 6., che prescrive l'integrazione della disciplina dei rapporti giuridici pendenti “limitando la prededuzione, in ogni caso di prosecuzione o di subentro del curatore, compreso l'esercizio provvisorio (…), ai soli crediti maturati nel corso della procedura”. La regola così delineata ha vocazione dichiaratamente universale, poiché si rivolge in modo indifferenziato a tutte le tipologie di contratti (siano essi ad esecuzione differita, continuata o periodica), trova applicazione in tutte le ipotesi di continuità del rapporto (sia esso caratterizzato da un vero e proprio subentro del curatore o da una mera prosecuzione di fatto nell'esecuzione delle prestazioni) e viene resa estensibile anche all'istituto dell'esercizio provvisorio, uno dei punti nodali della materia.

Il d.d.l. dimostra in questo modo di avere recepito le istanze di numerosi interpreti, che avevano ravvisato un notevole aggravio per la procedura fallimentare e per la massa nella scelta del legislatore del 2007 di considerare prededucibili anche i crediti maturati prima della dichiarazione di fallimento, ed avevano quindi salutato criticamente i contenuti e gli esiti del D. Lgs. 12 settembre 2007, n. 169, in termini di impatto negativo derivante dall'indistinta estensione della prededuzione ai crediti pregressi di tutti i rapporti di durata nei quali il curatore subentri ex lege, con evidente e vasta lesione del principio di par condicio (A. Patti, Regime dei crediti anteriori al fallimento per rapporti pendenti proseguiti ex art. 104, settimo comma, l.fall., in Il Fallimento, 2012, 1229; S. Bonfatti-P.F. Censoni, Le disposizioni correttive ed integrative della legge fallimentare, Padova, 2008; M. Sandulli, La riforma della legge fallimentare, a cura di A. Nigro-M. Sandulli, Torino, 2006; F. Fimmanò, in Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da A. Jorio, II, 2007)

Il disegno di riforma dimostra quindi la volontà legislativa di ricondurre a maggiore coerenza la funzione, l'estensione ed in ultima analisi l'essenza stessa della prededuzione, di cui viene riaffermata in modo evidente la natura di istituto volto a garantire un trattamento speciale riservato ai soli crediti aventi una genesi endoconcorsuale.

I contratti “a carattere personale”

L'art. 7, comma 6., lett. b) prescrive al legislatore delegato di prevedere “lo scioglimento dei contratti aventi carattere personale che non proseguano con il consenso della controparte”, ossia di introdurre una regola generale ed unitaria per i contratti “a carattere personale” che ne preveda lo scioglimento ex lege, ferma restando l'eventuale volontà del terzo contraente di proseguire il rapporto.

Un simile principio risulta attualmente estraneo alla disciplina dei rapporti pendenti, che prevede invece, a favore del curatore, la generale facoltà di scegliere tra la prosecuzione o lo scioglimento del contratto, assoggettato nel frattempo ad un regime di sospensione nell'ambito del quale viene riconosciuto all'altro contraente il potere di mettere in mora il fallimento onde provocarne la scelta.

Per contro, ipotesi variegate di scioglimento ex lege del contratto in corso si rinvengono in alcune delle regole speciali previste dagli artt. 72 e segg., ed in particolare in quella relativa ai finanziamenti destinati ad uno specifico affare (art. 72-ter, in forza del quale il contratto si scioglie quando il fallimento impedisce la realizzazione o la continuazione dell'operazione), nonché in quelle aventi ad oggetto il contratto di borsa a termine (art. 76), l'associazione in partecipazione ove fallisca l'associante (art. 77), il conto corrente, il mandato e la commissione (art. 78), l'appalto (art. 81).

La nozione di “contratti a carattere personale” intesa come specifica categoria negoziale istituzionalizzata non si rinviene quindi nell'attuale ordinamento fallimentare; solo il secondo comma dell'art. 81, in tema di appalto, infatti, attribuisce espressamente alla “considerazione della qualità soggettiva” dell'appaltatore la valenza di determinare lo scioglimento del contratto laddove essa sia stata “motivo determinante del contratto”.

Nell'introdurre espressamente in ambito concorsuale i contratti “a carattere personale”, il disegno di legge sembra avere in realtà richiamato, almeno sotto il profilo lessicale, l'espressione utilizzata dall'art. 2558, primo comma, c.c., che prevede il subentro del cessionario d'azienda in tutti i contratti stipulati per l'esercizio di quest'ultima “che non abbiano carattere personale”. Questi ultimi vengono generalmente identificati con quelli in cui rilevano, per il terzo contraente, le qualità personali dell'alienante, vale a dire quei contratti che prevedono, a carico di quest'ultimo, una prestazione infungibile (Cass. 78/3273; App. Milano 21.1.1986, in Giur. it. 1986), sia sotto il profilo oggettivo (ad esempio la prestazione intellettuale o artistica, la quale diviene ontologicamente diversa se resa da un altro obbligato: F. Galgano, Trattato di diritto civile, vol. III, Padova, 2009; G.E. Colombo, L'azienda, in Trattato di diritto commerciale e di diritto pubblico dell'economia, diretto da F. Galgano, Padova, 1979; F. Ferrara-F. Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011; C. Ferrentino-A Ferrucci, Dell'azienda, Milano 2006). In giurisprudenza, Cass. 12 aprile 2001, n. 5495, in materia di fidejussione; Cass. 7 marzo 2001, n. 3312), sia sotto quello soggettivo (tutti quei rapporti considerati in concreto come infungibili dai contraenti: Trib. Milano 6 luglio 1995, in Gius, 1995).

Così interpretato, peraltro, il genus dei “contratti personali” conduce ad individuare una categoria più ristretta rispetto a quella dei contratti conclusi sulla base dell'intuitus personae (all'interno dei quali acquistano particolare rilievo l'identità o le qualità personali di uno dei contraenti), specialmente con riferimento a quelli dove l'infungibilità della prestazione si ricollega non tanto a fattori oggettivi o soggettivi, quanto alla specificità del “tipo” negoziale cui essi appartengono, come nel caso del mandato, dell'associazione in partecipazione, dell'agenzia, del conto corrente.

Nel recepire l'indicazione del d.d.l., quindi, il legislatore delegato dovrà preferibilmente dare attuazione all'espressione “contratti a carattere personale” in modo più ampio rispetto a quello adottato dagli interpreti con riferimento all'art. 2558 c.c., privilegiandone dunque una sostanziale equiparazione alla categoria dei contratti conclusi intuitu personae, dove l'infungibilità assume contorni meno rigorosi e finisce per coincidere con la considerazione in concreto della qualità soggettiva di uno dei contraenti, che diviene motivo determinante o comunque rilevante per la conclusione del contratto (in questo senso, può giovare il richiamo all'art. 1429, n. 3, c.c. in materia di annullamento del contratto per errore, così come interpretato nella sua accezione più lata). Una simile conclusione trova conforto sia nell'espressa previsione normativa delle “qualità soggettive” in relazione al già citato art. 81, sia nel rilievo per cui contratti quali mandato, associazione in partecipazione, conto corrente e simili (tendenzialmente esclusi dal novero di quelli “personali” ai sensi dell'art. 2558 c.c., come visto in precedenza) determinano già attualmente, seppur con diversa modulazione, lo scioglimento del rapporto in caso di fallimento di uno dei contraenti.

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