Giudizio di divisione ereditaria e onere della prova di un fatto ostativo alla collazione
21 Dicembre 2017
Massima
L'obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell'apertura della successione ed i beni donati debbono essere conferiti indipendentemente da un'espressa domanda dei condividenti, a seguito della presentazione della domanda di divisione. Perciò, qualsiasi fatto ostativo alla collazione deve essere eccepito dall'interessato e provato nei confronti degli altri condividenti. L'applicazione del principio di non contestazione comporta che nei processi relativi a diritti disponibili i fatti non contestati sono posti fuori del thema probandum, perciò non hanno bisogno di essere provati e debbono essereconsiderati come esistenti dal giudice. Il caso
Alcuni eredi istauravano un giudizio di divisione, esponendo nell'atto di citazione che il de cuius aveva compiuto una donazione a favore di uno dei coeredi. La detta donazione copriva interamente la quota di spettanza del suddetto erede. Quest'ultimo si costituiva, aderiva alla domanda di divisione; egli, inoltre, senza negare la donazione ricevuta, eccepiva la prescrizione dell'azione di riduzione e del diritto di collazione degli altri coeredi. Le questioni
La pronuncia in esame vuole risolvere diverse questioni legate tra di loro. In primo luogo, si chiarisce che fatta la domanda di divisione, non è necessaria una specifica domanda per operare la collazione. È colui che ha avuto la donazione a dover eccepire e provare eventuali fatti che siano d'ostacolo alla collazione. L'altra questione affrontata è il valore della non contestazione ai fini del soddisfacimento dell'onere probatorio. Le soluzioni giuridiche
In relazione al rapporto tra domanda di divisione e di collazione, il tribunale di Vicenza ha aderito ad una consolidata giurisprudenza di Cassazione secondo cui: «…in presenza di donazioni fatte in vita dal de cuius, la collazione ereditaria (in entrambe le forme previste dalla legge, per conferimento del bene in natura ovvero per imputazione) è uno strumento giuridico volto alla formazione della massa ereditaria da dividere al fine di assicurare l'equilibrio e la parità di trattamento tra i vari condividenti, così da non alterare il rapporto di valore tra le varie quote, da determinarsi, in relazione alla misura del diritto di ciascun condividente, sulla base della sommatoria del relictum e del donatum al momento dell'apertura della successione, e quindi garantire a ciascuno degli eredi la possibilità di conseguire una quantità di beni proporzionata alla propria quota. Ne consegue che l'obbligo della collazione sorge automaticamente a seguito dell'apertura della successione (salva l'espressa dispensa da parte del de cuius nei limiti in cui sia valida) e che i beni donati devono essere conferiti indipendentemente da una espressa domanda dei condividenti e dall'esperimento dell'azione di riduzione, essendo sufficiente a tal fine la domanda di divisione e la menzione in essa dell'esistenza di determinati beni, facenti parte dell'asse ereditario da ricostruire, quali oggetto di pregressa donazione …» (cosi Cass. civ., 25 gennaio 2007, n. 1629). È, piuttosto, colui a favore del quale è stata compiuta la precedente donazione a doversi preoccupare di eccepire e provare qualsiasi eventuale fatto che impedisca di operare la collazione. Il giudice considera tardiva questa eccezione se sollevata nella seconda memoria prevista dall'art. 183, comma 6, n. 2 c.p.c., ovvero quella dedicata alla replica alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall'altra parte. Infatti, per espressa previsione legislativa, le uniche ulteriori eccezioni che si possono proporre in questo contesto sono quelle conseguenza delle domande e delle eccezioni nuove suddette. Le eccezioni quali la prescrizione dell'azione di riduzione e del diritto alla collazione, essendo eccezioni in senso stretto, vanno sollevate nella comparsa di costituzione e risposta, tempestivamente depositata (art. 167, comma 2 c.p.c.). I fatti posti alla base dell'eccezione debbono essere provati, mediante prove fornite dal convenuto e richiedibili anche nella memoria di cui sopra si è detto. E, a tal fine, può essere utile anche la non contestazione proveniente dalla controparte. Infatti, ai sensi dell'art. 115, comma 1 c.p.c., il giudice può porre a fondamento della sua decisione fatti non specificatamente contestati dalla controparte. Ciò vuol dire, secondo la Cassazione, che il convenuto, costituendosi ai sensi dell'art. 167 c.p.c., deve prendere posizione, in modo chiaro ed analitico, sui fatti posti dall'attore a fondamento della propria domanda. Quindi, non può essere considerata “contestazione” la generica negazione di tali fatti, quando non accompagnata dalla narrazione di circostanze specifiche (Cass. civ., 6 ottobre 2015, n. 19896). Può essere ritenuta non contestazione anche l'implicita ammissione dell'esistenza di un fatto, nel momento in cui si allega un altro fatto che il primo evento presupponga, senza formulare un'asserzione quantomeno dubitativa. I fatti non contestati debbono essere posti al di fuori del thema probandum. La conseguenza diretta della non contestazione, secondo il tribunale di Vicenza, è che i fatti non contestati debbano essere considerati dal giudice come esistenti.
Osservazioni
A nostro parere, viola “il principio della domanda” considerare implicita nella domanda di divisione quella di collazione. Infatti, non c'è un superiore interesse pubblico alla corretta ricostruzione del patrimonio ereditario, sono le parti che debbono preoccuparsi di fornire tutti gli elementi utili a tal scopo e di utilizzare adeguatamente gli strumenti processuali. Sul funzionamento del “principio di non contestazione”, due ulteriori osservazioni possono essere svolte. In primo luogo, in ordine al temine per compiere una valida “non contestazione”. L'art. 167, comma 1, c.p.c. a differenza del secondo comma, non pone per la non contestazione un termine di preclusione legata alla comparsa di costituzione e risposta. Essendo un meccanismo volto alla determinazione del thema probandum è ragionevole supporre che il termine ultimo sia quello immediatamente precedente al termine per le istanze istruttorie. In secondo luogo, la “non contestazione” comporta la relevatio ab onere probandi. Ora la sollevazione dall'onere della prova non ha come conseguenza diretta l'ammissione del fatto che ne è oggetto, al pari di una prova legale. Piuttosto, al giudice rimane la libertà di valutare la congruità delle affermazioni non contestate. Inoltre, al termine dell'istruttoria, il giudice valuta tutto il materiale probatorio nel suo complesso e da lì trae il suo convincimento, non dai mezzi di prova singolarmente presi. Le parti richiedono un mezzo istruttorio, ma una volta assunto, il giudice valuta la prova liberamente, a meno che non si tratti di prova legale; perciò, al giudice è sicuramente consentito di trarre l'esistenza di un fatto non contestato da altra prova.
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