La recente giurisprudenza sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione

21 Dicembre 2017

L'assenza di una specifica prescrizione legislativa sul principio di autosufficienza del ricorso per cassazione impedisce di poter attribuire a tale regola un significato univoco, permettendo invece una lettura elastica del precetto, con inevitabili ricadute sulla responsabilità del difensore nella redazione dell'atto introduttivo del giudizio.
Il quadro normativo

Come è noto, non si rinviene nel codice di rito alcun riferimento al principio dell'autosufficienza del ricorso per cassazione, quale requisito di contenuto-forma nella esposizione dei motivi di impugnazione, trattandosi di un istituto di origine pretoria (sulla natura e sull'origine dell'istituto si v. amplius F. Amendola, Autosufficienza (del ricorso per cassazione), in www.ilProcessocivile.it).

Nonostante le indicazioni recentemente fornite dallo stesso Organo Supremo di legittimità (si intende far riferimento al «Protocollo d'intesa sulle regole redazionali degli atti processuali»,sottoscritto il 17 dicembre 2015 dal Primo Presidente della Corte di cassazione e dal Presidente del Consiglio Nazionale Forense) in ordine alle modalità di redazione dei ricorsi per cassazione e al rispetto del principio di autosufficienza, molte delle decisioni che sono state successivamente rese in materia si sono discostate dalla regola fatta propria dal Protocollo secondo cui il principio di autosufficienza «non comporta un onere di trascrizione integrale nel ricorso o nel controricorso di atti o documenti ai quali negli stessi venga fatto riferimento», limitandosi ad imporre al ricorrente un semplice onere di «localizzazione» degli atti o documenti ai quali ciascun motivo di ricorso si fonda.

Più precisamente, secondo il citato Protocollo d'Intesa, tale principio poteva ritenersi rispettato quando nel testo di ciascun motivo (redatto secondo il «criterio di specificità» imposto dal codice) fosse indicato l'atto o il documento e la parte di esso per cui il motivo si fonda, nonché il tempo e la fase del procedimento in cui il suo deposito è avvenuto.

La dottrina che si era occupata del «Protocollo», aveva giustamente osservato che le previsioni in esso contenute, sebbene del tutto ragionevoli (Punzi), potevano valere «come vive raccomandazioni, non come precetti legali» (Carpi; Finocchiaro); tali sono state considerate dalla Suprema Corte, che più volte occupatasi del tema, si è da esse discostata, ribadendo il suo indirizzo più restrittivo.

L'assenza di una specifica prescrizione legislativa (in disparte del dettato contenuto nell'art. 366, n. 6 c.p.c.) impedisce invero di poter attribuire alla regola dell'autosufficienza un significato univoco, permettendo invece una lettura elastica del precetto, con inevitabili ricadute sulla responsabilità del difensore nella redazione dell'atto introduttivo del giudizio.

Autosufficienza ed errores in procedendo

Come appena osservato, nonostante le contrarie indicazioni contenute nel Protocollo, la Suprema Corte continua ad interpretare in senso rigido il principio di autosufficienza con riferimento ai cd. errores in procedendo, ribadendo quanto già aveva affermato in passato.É stato perciò statuito che l'esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito, riconosciuto al Giudice di legittimità ove sia denunciato un error in procedendo, presuppone che la parte riporti nel ricorso gli elementi ed i riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il vizio processuale, onde consentire alla Corte di effettuare, senza compiere generali verifiche degli atti, il controllo del corretto svolgimento dell'iter processuale (così Cass. civ., sez. VI-3, 5 ottobre 2017, n. 23292, che ha dichiarato inammissibile il ricorso per mancata trascrizione nel corpo del ricorso dei verbali delle tre udienze di trattazione del giudizio in appello attestanti la sequenza delle attività di sanatoria dell'irregolarità della procura alle liti; in termini Cass. civ., sez. VI-5, 9 ottobre 2017, n. 23642).

La Corte giustifica la sua scelta, in considerazione del fatto che, sebbene in relazione agli errores in procedendo la Corte è anche giudice del fatto, si prospetta preliminare ad ogni altra questione quella concernente l'ammissibilità del motivo (Cass. civ., sez. VI – 3, 31 marzo 2017, n. 8553; Cass. civ., sez. I, 2 febbraio 2017, n. 2771).

Viene perciò ribadito che deve ritenersi inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che, denunciando il vizio di omessa pronuncia, non risulti accompagnato dalla trascrizione dei passi salienti dell'atto introduttivo del giudizio, non potendo supplire a tale mancanza la sentenza di primo grado, il cui testo non ha alcun contenuto confessorio, non discendendo direttamente dalla parte e non fornendo alcun elemento specifico utile alla prospettazione della parte ricorrente (Cass. civ., sez. V, 10 marzo 2017, n. 6182).

Discorso analogo viene ripetuto con riferimento alla denuncia del vizio di una relata di notifica, in quanto anche per quest'ultima la Suprema Corte ne esige la trascrizione integrale, che, se omessa, determina l'inammissibilità del motivo (Cass. civ., sez. V, 28 febbraio 2017, n. 5185; analogamente Cass. civ., sez. VI – 5, 13 febbraio 2017, n. 3758).

Ancora, nel caso in cui con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere del ricorrente non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito, ma anche di riportare dettagliatamente nel ricorso gli esatti termini in cui la questione sia stata posta da lui in primo e secondo grado e di indicare in quali atti del giudizio precedente lo abbia fatto (Cass. civ., sez. II, 7 aprile 2017, n. 9122).

Dunque, la Corte di cassazione costantemente ribadisce, anche dopo le raccomandazioni contenute nel Protocollo di intesa, il principio secondo cui, laddove sia denunciata la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, il Giudice di legittimità, se è vero che è investito del potere di esaminare direttamente gli atti ed i documenti sui quali il ricorso si fonda, è del pari vero che in tanto potrà ritenere ammissibile il motivo di ricorso se la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle prescrizioni dettate dagli artt. 366, comma 1 e 369, comma 2, n. 4, c.p.c..

Dato atto del granitico orientamento della Suprema Corte, non possono non riportarsi leperplessità manifestate dalla dottrina al riguardo, la quale osserva che se si riconosce alla Corte il ruolo di giudice del fatto processuale, si attribuiscono, in conseguenza, alla stessa «poteri di controllo su un giudizio storico, ovvero di verifica di quei fatti rilevanti per l'applicazione della legge processuale che risultino provati nella loro esistenza da atti e documenti di causa». Al contempo, si è sottolineato come l'art. 369, comma 2, n. 4 c.p.c., nella parte in cui prevede la necessità di produzione degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda, verrebbe totalmente svuotato di significato laddove si ritenesse che il contenuto del ricorso debba essere arricchito con la trascrizione integrale di tutti gli elementi e circostanze – contenute appunto in atti e documenti – ai quali si riferiscono i motivi di censura del provvedimento impugnato. Alle stesse riflessioni induce l'ultimo comma della norma, laddove impone al ricorrente l'istanza di trasmissione del fascicolo della pregressa fase processuale. «La ratio della disposizione considerata nel suo complesso è, cioè, quella di consentire (rectius: di imporre) al Giudice di legittimità di accedere al fascicolo d'ufficio per compiere quelle verifiche necessarie all'esame dei motivi di impugnazione» (Rusciano).

Autosufficienza ed errores in iudicando

Osserva da sempre la Suprema Corte che, poiché l'interesse ad impugnare con il ricorso per cassazione discende dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole, è necessario, anche in caso di denuncia di un errore di diritto ai sensi dell'art. 360, n. 3, che la parte ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso (correlato all'estraneità del Giudizio di legittimità all'accertamento del fatto), indicando in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una determinata valutazione giuridica, diversa da quella compiuta dal giudice a quo, asseritamente erronea, senza la necessità di far rinvio ed accedere particolarmente, nel caso in cui si tratti di interpretare il contenuto di fonti estranee allo stesso ricorso, ad elementi o ad atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. civ., sez. II, 23 agosto 2017, n. 20281; Cass. civ., sez. III, 8 giugno 2017, n. 14279, che ha dichiarato inammissibile il ricorso giacché il ricorrente si era limitato a denunciare la violazione e falsa applicazione dell'art. 1341 c.c. in relazione ad una clausola vessatoria, ma non aveva specificamente dedotto che la clausola in questione fosse priva di specifica approvazione per iscritto, impedendo, così, alla Suprema Corte di individuare il suo interesse ad impugnare).

Peraltro, laddove si tratti di norme contenute in un regolamento comunale, è necessario che esse vengano dal ricorrentesiano interamente trascritte o allegate, non operando, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, il principio iura novit curia, e non rientrando, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali tra i doveri del giudice, che, solo ove disponga di poteri istruttori, può acquisirne diretta conoscenza, indipendentemente dall'attività svolta dalle parti (Cass. civ., 31 maggio 2017, n. 13743).

Analoga deriva si può riscontrare anche riguardo all'accertamento dell'esistenza e della portata del giudicato esterno. È noto come la Corte abbia il pieno potere di estendere il suo sindacato, in caso di giudicato, al diretto riesame degli atti processuali, mediante indagini ed accertamenti, anche di fatto, indipendentemente dall'interpretazione data al riguardo dal giudice di merito (così per tutte Cass. civ., Sez. Un., 28 novembre 2007, n. 24664), ferma la necessità della presenza in atti della sentenza che si intenda far valere munita dell'attestazione del passaggio in giudicato (Cass. civ., 9 settembre, 2008, n. 22883). Da quanto appena detto potrebbe affermarsi che il principio dell'autosufficienza del ricorso, in caso di rilevazione del giudicato esterno, sia rispettato con la sola indicazione della sentenza, ovviamente presente negli atti del giudizio di merito. Sennonché, le decisioni più recenti hanno richiesto l'integrale trascrizione della stessa nel ricorso a pena di inammissibilità del motivo con cui è denunciata la violazione dell'art. 2909 c.c. (da ultimo, Cass. civ., sez. II, 5 settembre 2016, n. 17576, la quale precisa che occorre procedere alla riproduzione nel ricorso del testo integrale della sentenza che si assume passata in giudicato, non essendo sufficiente il riassunto sintetico). Infine, è stato di recente ribadito, in tema di liquidazione delle spese processuali, che è inammissibile il ricorso che, nel censurarne la complessiva quantificazione operata dal giudice di merito, non indichi le singole voci della tariffa, per diritti ed onorari, risultanti nella nota spese, in ordine alle quali quel giudice sarebbe incorso in errore (Cass. civ., sez. VI – 2, 30 marzo 2017, n. 8288).

Autosufficienza e giudizio di fatto

La versione rigorosa dell'autosufficienza trova larga applicazione anche nel campo dell'erronea valutazione o ammissione dei mezzi di prova. Anche in tale settore è stato riaffermato il principio già in passato costantemente affermato secondo cui il ricorrente che, in sede di legittimità, denunci il difetto di motivazione su un'istanza di ammissione di un mezzo istruttorio o sulla valutazione di esso, ha l'onere di indicare specificamente le circostanze oggetto della prova, provvedendo alla loro trascrizione, al fine di consentire il controllo della decisività dei fatti da provare, e, quindi, delle prove stesse (Cass. civ., sez. VI-3, 10 agosto 2017, n. 19985; Cass. civ., sez. II, 13 luglio 2017, n. 17399, relativa alla censura concernentela decisione del giudice di secondo grado di non indispensabilità della nuova prova).

Questo principio è stato reiterato anche in tema di produzione documentale, affermandosi che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l'omessa valutazione di prove documentali, egli ha l'onere non solo di trascrivere il testo integrale o la parte significativa del documento nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare gli argomenti, deduzioni o istanze che, in relazione alla pretesa fatta valere ed alla produzione documentale effettuata a sostegno della medesima, siano state formulate nel giudizio di merito, pena l'irrilevanza giuridica della sola produzione, che non assicura il contraddittorio e non comporta, quindi, per il giudice alcun onere di esame, e ancora meno di considerazione dei documenti stessi ai fini della decisione (Cass. civ., sez. I, 4 settembre 2017, n. 20720).

Più in generale, un siffatto onere è previsto ogni qualvolta il ricorrente denunci vizi attinenti alla motivazione della sentenza impugnata, essendo necessario trascrivere in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili perché il Giudice di legittimità possa conoscere in modo completo l'oggetto della controversia, lo svolgimento del processo e le posizioni delle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, compresa la sentenza impugnata (Cass. civ., sez. V, 15 settembre 2017, n. 21409; analogamente Cass. civ., sez. II, 23 agosto 2017, n. 20281; Cass. civ., sez. V, 28 giugno 2017, n. 16147).

In conclusione

La circostanza che la Suprema Corte perduri nel seguire l'indirizzo più rigoroso non merita a mio avviso di essere condivisa; visti gli indirizzi giurisprudenziali sopra richiamati, sembra opportuno che il difensore, in via meramente cautelativa, trascriva nel corpo del ricorso gli atti e i documenti che si assumono a fondamento del motivo, in contrasto con le esigenze di celerità che oggi si impongono anche nell'ambito del giudizio di cassazione. Non v'è infatti dubbio che la trascrizione di parti e documenti imponga al difensore la redazione di un ricorso interminabile, sicuramente di difficile lettura, contrario a quelle stesse esigenze di chiarezza e sinteticità che sono richieste dalla stessa Suprema Corte per la redazione degli atti introduttivi.

Guida all'approfondimento
  • Carpi, La redazione del ricorso in cassazione in un recente protocollo, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2016, 362 ss.;
  • Finocchiaro, Nuova interpretazione del principio di autosufficienza, in Guida dir., 2016, 4, 29;
  • Giusti, L'autosufficienza del ricorso per cassazione civile, in Giust. civ., 2013, II, 247;
  • Punzi, Il principio di autosufficienza e il «protocollo d'intesa» sul ricorso in cassazione, in Riv. dir. proc., 2016, 585 ss.;
  • Rusciano, In tema di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Giur. it., 2005, 1673 e ss.
  • Santangeli, Il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, in Riv. dir. proc., 2012, 607 e ss..
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