Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle controversie di risarcimento del danno da responsabilità medica

Sara Caprio
27 Dicembre 2017

L'art. 8, l. n. 24/2017 (entrata in vigore il 1° aprile del 2017) impone alla parte che intenda agire per ottenere il risarcimento del danno derivante da responsabilità medica di esperire preventivamente un tentativo di conciliazione. La parte può scegliere tra due rimedi alternativi: la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. o la mediazione civile di cui all'art. 5 d.lgs. n. 28/2010. La scelta dell'uno esclude la necessità dell'altro, ma l'opzione tra l'uno o l'altro non è priva di conseguenze, essendo diverse la durata dei procedimenti e le modalità di prosecuzione del giudizio nel caso in cui non si raggiunga un accordo.
Il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 8 l. n. 24/2017

La legge n. 24/2017 ha modificato radicalmente la disciplina della responsabilità medica sanitaria. Sul piano processuale, all'art. 8 l. n. 24/2017è stato introdotto il tentativo obbligatorio di conciliazione. La norma prevede che chi intende esercitare innanzi al giudice civile un'azione relativa ad una controversia di risarcimento del danno derivante da responsabilità sanitaria è tenuto a proporre preliminarmente ricorso ai sensi dell'art. 696-bis c.p.c.; in alternativa è possibile esperire la mediazione civile ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 (mentre nessun cenno viene compiuto alla negoziazione assistita introdotta dalla l. n. 162/2014). L'assenza di ogni riferimento a quest'ultima condizione di procedibilità ha allora spinto parte della dottrina a ritenere che sebbene la negoziazione assistita sia una strada comunque praticabile, essa non consente «l'accesso diretto alla giustizia, dovendosi (in caso di esito negativo) in ogni caso chiedere la consulenza tecnica preventiva o la mediazione» (Olivieri).

Si tratta di un'ipotesi di giurisdizione condizionata, in cui viene posto un filtro all'accesso alla giustizia che la Corte costituzionale ha già in più occasioni ritenuto legittimo in rapporto alla durata del procedimento, alla proporzionalità ed ai fini perseguiti, ovvero al triplice requisito che il legislatore non renda la tutela giurisdizionale eccessivamente difficoltosa, che contenga l'onere nella misura meno gravosa possibile e che operi un congruo bilanciamento tra l'esigenza di assicurare la tutela dei diritti e le altre esigenze che il differimento dell'accesso alla stessa intende perseguire (Corte cost., 16 aprile 2014, n. 98; Corte cost., 28 ottobre 2014, n. 243).

Si è dunque in presenza di una condizione di procedibilità e non di proponibilità della domanda: mentre quest'ultima deve sussistere, a pena di inammissibilità, al momento della proposizione della stessa e non è sanabile retroattivamente, la prima non impedisce in toto l'accesso alla tutela giurisdizionale, ma ne condiziona la prosecuzione.

Come accennato, dunque, la parte, al fine di rendere procedibile la domanda, può scegliere tra due istituti che hanno caratteristiche diverse, ma una finalità comune, quella di incentivare la risoluzione stragiudiziale delle controversie: si parla, infatti, di Alternative Dispute Resolution, ovvero di meccanismi volti a favorire la conciliazione al di fuori delle sedi giudiziarie, evitando, del tutto ed ex ante, di dover ricorrere al giudice (Corea).

L'art. 8 l. n. 24/2017opera un rimando secco all'art. 696-bisc.p.c., che disciplina la consulenza tecnica preventiva con finalità conciliative. L'istituto ha una duplice finalità: svolge sia una funzione deflattiva del contenzioso sia una funzione istruttoria. Pur se collocato all'interno del capo III dedicato ai procedimenti cautelari, alla sezione IV che disciplina i procedimenti di istruzione preventiva, si tratta di un procedimento di natura non cautelare. La norma, infatti, prevede che la consulenza possa essere disposta anche in assenza dell'urgenza richiesta invece per l'accertamento tecnico preventivo di cui all'art. 696 c.p.c.. La non necessità - per espresso dettato legislativo - del requisito dell'urgenza di cui all'art. 696 c.p.c. non significa però che si possa prescindere dalla esigenza della doverosa allegazione e dimostrazione, da parte del ricorrente del requisito del fumus boni iuris, ovvero dell'esistenza di un'effettiva controversia e dell'astratta possibilità che questa possa essere risolta in sede di merito laddove il consulente non sia in grado di far conciliare le parti mediante la consulenza preventiva. Il giudice, al quale viene presentato il ricorso ex art. 696-bis c.p.c., dovrà infatti valutare, sia pure con una delibazione sommaria, l'intensità e l'adeguatezza del collegamento tra il mezzo istruttorio e la causa di merito nella quale potrà essere impiegato, al fine di evitare abusi che nella prassi potrebbero verificarsi attraverso il ricorso al suddetto strumento processuale senza che tra le parti sia configurabile una lite effettiva o addirittura in mancanza di un interesse concreto ed attuale del ricorrente all'accertamento tecnico, ovvero per ottenere una consulenza tecnica preventiva con finalità esplorativa (Romano).

Dal dato letterale dell'art. 8l. n. 24/2017, sembrerebbe che questo giudizio di ammissibilità e rilevanza sia stato effettuato una volta per tutte ed ex ante dal legislatore e che, quindi, il giudice sia sempre tenuto a disporre la consulenza tecnica. Se così fosse, il ricorso proposto al fine di effettuare il tentativo di conciliazione potrebbe risultare inutilmente espletato qualora a giudizio introdotto la consulenza tecnica si rilevi inutile ai fini della decisione della causa o addirittura sia ritenuta dal giudice inammissibile. Sembra, perciò, preferibile ritenere che il giudice possa sempre rigettare il ricorso, salva la facoltà di riproporre la domanda ai sensi dell'art. 669-septies c.p.c. o di optare per la mediazione, anche su invito del giudice. D'altra parte l'art. 8 l. n. 24/2017si limita a dire che «è fatta salva la possibilità di esperire in alternativa il procedimento di mediazione», alternativa che può presentarsi, dunque, anche laddove la consulenza tecnica preventiva non venga ammessa dal giudice. Il giudice dovrebbe farsi garante dell'esigenza che la consulenza tecnica possa aver seguito solo nei casi in cui la stessa appaia necessaria alla decisione della causa.

Il mancato esperimento della consulenza tecnica preventiva è un difetto sanabile. Come per la mediazione obbligatoria, l'improcedibilità deve essere eccepita dal convenuto a pena di decadenza o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Se il giudice rileva che il procedimento non è stato espletato ovvero che è iniziato ma non si è concluso, assegna alle parti un termine di 15 giorni per la presentazione «dinanzi a sé» dell'istanza di consulenza tecnica «ovvero di completamento del procedimento». E qui non è ben chiaro a cosa alluda la norma, che ricalca il secondo comma dell'art. 445-bis c.p.c., ma con una differenza decisiva: mentre in quest'ultimo caso non vi è un termine di legge per la conclusione dell'accertamento tecnico preventivo (Licci), l'art. 8 l. n. 24/2017 prevede una durata massima di 6 mesi per il procedimento di consulenza tecnica preventiva. Non sembra, quindi avere alcun senso prevedere che la parte depositi una “istanza di completamento”: sarebbe bastato al legislatore replicare la disposizione dell'art. 5 d.lgs. n. 28/10, nella parte in cui, per disciplinare l'analoga situazione relativa alla mediazione, stabilisce che il giudice debba fissare «la successiva udienza dopo la scadenza del termine» di durata massima della mediazione.

Si noti, altresì, che nel caso in cui il ricorso ex art. 696-bis c.p.c.non sia stato neanche proposto, il giudice assegna il termine di 15 giorni per la sua presentazione "dinanzi a sé", così stabilendo la sua competenza cd. funzionale similmente a quanto accade per i procedimenti cautelari presentati in corso di causa ai sensi dell'art. 669-quater c.p.c., non prendendo tra l'altro in considerazione la possibilità che la parte possa optare per la mediazione.

Se la conciliazione non riesce ovvero il procedimento non si conclude nel termine di sei mesi dal deposito del ricorso la domanda diviene procedibile se la parte, entro novanta giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine di sei mesi, deposita il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. presso la cancelleria del giudice che ha disposto la consulenza tecnica preventiva. In tal caso sono fatti salvi gli effetti della domanda, anche se la norma non specifica quali sono questi effetti, se solo quelli sostanziali, come avviene nel caso dell'istanza di mediazione, o anche quelli processuali. Tuttavia, si ritiene che essendo collegati al deposito del ricorso e non ad una semplice domanda di mediazione, il riferimento vada esteso anche a quelli processuali e, quindi, non ai soli effetti sulla prescrizione e sulla decadenza (Pezzani). La parte deve, quindi, manifestare interesse alla prosecuzione del giudizio mediante il deposito del ricorso ex art. 702-bisc.p.c., che deve essere effettuato nel termine di novanta giorni, altrimenti il processo si estingue. La parte sarà comunque libera di riproporre la domanda, ma sarà costretta ad esperire nuovamente il tentativo di conciliazione.

La norma opera un collegamento necessario con il rito sommario di cognizione di cui agli artt. 702-bisss. c.p.c. sul presupposto che, essendo stata già espletata la consulenza tecnica, l'istruttoria non si presenti complicata. Tuttavia, non si esclude la possibilità che la parte possa iniziare il giudizio di merito anche con il rito ordinario, potendo lo stesso giudice optare per il rito sommario di cognizione ex art. 183-bis c.p.c., così come non si dubita che se la parte deposita il ricorso ex art. 702-bis c.p.c., come previsto dall'art. 8 l. n. 24/2017, il giudice possa disporre il mutamento del rito se dovesse ritenere che la causa necessiti di un'istruttoria non sommaria. Non si tratta, infatti, di ipotesi di rito sommario di cognizione cd. necessario (Consolo-Bertollini-Buonafede), come si evince d'altronde dal riferimento normativo all'art. 702-bis c.p.c..

Il procedimento di mediazione disciplinato dal d. lgs. n. 28/2010

L'art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 prevede tra le ipotesi di mediazione cd. obbligatoria le controversie relative al risarcimento del danno derivante da responsabilità medica sanitaria. La domanda di mediazione è presentata mediante deposito di un'istanza presso un organismo che ha sede nel luogo in cui ha sede il giudice territorialmente competente per la controversia.

All'atto della presentazione della domanda di mediazione, il responsabile dell'organismo designa un mediatore e fissa il primo incontro tra le parti non oltre trenta giorni dal deposito della domanda. La domanda e la data del primo incontro sono comunicate all'altra parte con ogni mezzo idoneo ad assicurarne la ricezione, anche a cura della parte istante. Dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale. Dalla stessa data, la domanda di mediazione impedisce altresì la decadenza per una sola volta, ma se il tentativo fallisce la domanda giudiziale deve essere proposta entro il medesimo termine di decadenza, decorrente dal deposito del verbale con cui si da atto della mancata conciliazione presso la segreteria dell'organismo.

La domanda si considera procedibile se l'improcedibilità non è eccepita dal convenuto, a pena di decadenza, o rilevata d'ufficio dal giudice non oltre la prima udienza. Se il giudice rileva che la mediazione è già iniziata ma non si è conclusa fissa la successiva udienza dopo la scadenza del termine di tre mesi previsto per la conclusione del procedimento. Se, invece, non è stata ancora esperita assegna alle parti il termine di 15 giorni per la presentazione della domanda.La condizione si considera comunque avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l'accordo.

Il procedimento non deve durare più di tre mesi dal deposito della domanda e si svolge senza formalità presso la sede dell'organismo di mediazione o nel luogo indicato dal regolamento dell'organismo. Sarà improntato al dialogo tra le parti finalizzato al raggiungimento di un accordo ovvero alla bonaria definizione della lite. Se all'esito del procedimento è raggiunto un accordo amichevole, il mediatore forma processo verbale al quale è allegato il testo dell'accordo medesimo. Quando l'accordo non è raggiunto, ovvero le parti non riuscissero ad accordarsi spontaneamente il mediatore può formulare una proposta di conciliazione, alla quale le parti potranno liberamente scegliere se aderire oppure no. In ogni caso, il mediatore formula una proposta di conciliazione se le parti gliene fanno concorde richiesta in qualunque momento del procedimento.

Prima della formulazione della proposta, il mediatore informa le parti delle possibili conseguenze. Infatti, quando il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta, il giudice esclude la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice che ha rifiutato la proposta, riferibili al periodo successivo alla formulazione della stessa, e la condanna al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative allo stesso periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di un'ulteriore somma di importo corrispondente al contributo unificato dovuto ed al pagamento delle spese per l'indennità corrisposta al mediatore e per il compenso dovuto all'esperto. Resta altresì ferma l'applicabilità degli artt. 92 e 96 c.p.c.. La parte dunque che con il suo comportamento faccia sorgere la necessità di adire l'autorità giudiziaria dovrà rispondere dell'inutilità dell'autorità giudiziaria ove allo stesso identico risultato avrebbe condotto anche il procedimento di mediazione.

La proposta di conciliazione è comunicata alle parti per iscritto. Le parti fanno pervenire al mediatore, per iscritto ed entro sette giorni, l'accettazione oppure il rifiuto della proposta. In mancanza di risposta nel termine, la proposta si ha per rifiutata. Se è raggiunto l'accordo amichevole ovvero se tutte le parti aderiscono alla proposta del mediatore si forma processo verbale che deve essere sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Ove tutte le parti aderenti alla mediazione siano assistite da un avvocato, l'accordo che sia stato sottoscritto dalle parti e dagli stessi avvocati costituisce titolo esecutivo per l'espropriazione forzata, l'esecuzione per consegna o rilascio, l'esecuzione degli obblighi di fare e non fare, nonché per l'iscrizione dell'ipoteca giudiziale. Gli avvocati attestano e certificano la conformità dell'accordo alle norme imperative ed all'ordine pubblico. In tutti gli altri casi l'accordo allegato al verbale è omologato, su istanza di parte, con decreto del presidente del tribunale, previo accertamento della regolarità formale e del rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico.

Se la conciliazione non riesce, il mediatore forma processo verbale con l'indicazione della proposta; il verbale è sottoscritto dalle parti e dal mediatore, il quale certifica l'autografia della sottoscrizione delle parti o la loro impossibilità di sottoscrivere. Nello stesso verbale, il mediatore dà atto della mancata partecipazione di una delle parti al procedimento di mediazione. Il processo verbale è depositato presso la segreteria dell'organismo e di esso è rilasciata copia alle parti che lo richiedono (Besso).

L'art. 5d.lgs. n. 28/2010 per alcune delle materie che rientrano nella cd. mediazione obbligatoria prevede la possibilità che la condizione di procedibilità possa essere soddisfatta anche mediante altri procedimenti alternativi rispetto alla mediazione. Manca allo stato la previsione che per le controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno da responsabilità medica sia possibile optare per la consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c. oggi prevista dall'art. 8 l. 24/2017. Si ritiene, quindi, auspicabile un aggiornamento della suddetta normativa.

Rimedi alternativi: differenze

La consulenza tecnica preventiva e la mediazione sono dunque due rimedi alternativi: la scelta dell'uno esclude la necessità dell'altro. Ma la scelta dell'uno o dell'altro non è priva di conseguenze.

A parere di chi scrive, la scelta della consulenza tecnica preventiva, infatti, offre alcuni vantaggi che il procedimento di mediazione non è in grado di dare. In particolare, l'avvio del procedimento di cui all'art. 696-bis c.p.c. consente l'immediato espletamento della consulenza tecnica medico-legale sul paziente, che sarà acquisita nell'eventuale giudizio di merito ed avrà lo stesso valore probatorio che avrebbe avuto ove fosse stata disposta nel corso del processo ordinario, mentre si dubita dell'ammissibilità della produzione nel giudizio di merito dell'elaborato della consulenza tecnica disposta nel corso della mediazione stante le regole di riservatezza ed inutilizzabilità poste dagli artt. 9 e 10 d.lgs. n. 28/2010, nonché del suo valore probatorio che potrà tutt'al più essere quello di una prova atipica.

Inoltre, il deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c. produce tutti gli effetti della domanda giudiziale, sia quelli sostanziali che quelli processuali; ciò a differenza della domanda di mediazione cui sono collegati solo effetti sulla prescrizione e di impedimento della decadenza.

L'art. 8 l. n. 24/2017 prevede poi anche la partecipazione obbligatoria di tutte le parti alla consulenza tecnica preventiva, comprese le imprese di assicurazione, le quali devono anche formulare l'offerta risarcitoria oppure comunicare i motivi per cui non intendono formularla. Se l'impresa, infatti, non ha formulato l'offerta di risarcimento nell'ambito del procedimento di consulenza tecnica preventiva e la sentenza è favorevole al danneggiato il giudice trasmette copia della sentenza all'Istituto per la vigilanza sulle assicurazioni (IVASS) per gli adempimenti di propria competenza.

La partecipazione obbligatoria è stata prevista perché la struttura sanitaria o sociosanitaria rifiutava quasi sempre di partecipare alla mediazione negando la responsabilità del sanitario, frustrando in tal modo la finalità deflattiva che si voleva perseguire. La previsione della partecipazione obbligatoria alla consulenza tecnica preventiva non solo rende possibile la realizzazione del dialogo tra tutte le parti, ma consente soprattutto di estendere a tutte le parti gli effetti dell'accordo raggiunto, a differenza di quanto accade con la mediazione. Il vantaggio è ancora più evidente quando si consideri poi che l'impresa assicurativa, che non ha partecipato all'incontro di mediazione, può opporre al proprio assicurato-danneggiante oltre alle eccezioni relative al contratto di assicurazione anche quelle relative all'entità del risarcimento riconosciuto al danneggiato. In questo modo, invece, è l'impresa stessa ad essere tenuta a formulare l'offerta di risarcimento ed in mancanza a dover indicare i motivi.

La mancata partecipazione alla consulenza tecnica preventiva è sanzionata con la condanna, per la parte che non ha partecipato, al pagamento delle spese di consulenza e di lite indipendentemente dall'esito del giudizio, oltre che al pagamento di una pena pecuniaria determinata in via equitativa in favore della parte che ha partecipato alla conciliazione. Mentre nella mediazione, dalla mancata partecipazione senza giustificato motivo, il giudice può desumere solo argomenti di prova ex art. 116, comma 2, c.p.c. e nelle ipotesi di cd. mediazione obbligatoria condanna la parte che non ha partecipato al procedimento senza giustificato motivo al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari all'importo del contributo unificato dovuto per il giudizio. Solo nel caso in cui il provvedimento che definisce il giudizio corrisponde interamente al contenuto della proposta e questa è stata rifiutata dalla parte vincitrice è esclusa la ripetizione delle spese, riferibili al periodo successivo alla formulazione della proposta, che la parte vincitrice ha dovuto sostenere. In tal caso la parte è anche condannata al rimborso delle spese sostenute dalla parte soccombente relative al medesimo periodo, nonché al versamento all'entrata del bilancio dello Stato di una somma pari all'importo del contributo unificato dovuto per il giudizio (Pagni).

Ulteriori differenze sono rinvenibili nella durata dei due procedimenti: tre mesi per la mediazione e sei mesi per la consulenza tecnica preventiva, tre in più rispetto alla mediazione. Ciò senza dubbio corrisponde ad un onere maggiore per le parti ma, tenuto conto della finalità non solo conciliativa ma anche anticipatoria della fase istruttoria, può ritenersi che il tempo necessario al suo svolgimento venga in misura corrispondente recuperato nel corso del successivo giudizio.

Infine, in caso di esito negativo della conciliazione, se la parte ha scelto di esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione mediante il procedimento mediazione non è obbligata ad instaurare il giudizio di merito entro un termine perentorio e secondo un rito prestabilito come accade nel caso della consulenza tecnica preventiva, ove si prevede che il successivo giudizio di merito debba essere iniziato entro 90 giorni dal deposito della relazione o dalla scadenza del termine perentorio di sei mesi mediante il deposito del ricorso ex art. 702-bis c.p.c., ovvero secondo il rito sommario di cognizione, altrimenti il giudizio si estingue per mancata prosecuzione ex art. 307 c.p.c., con la conseguenza che la parte potrà riproporre la domanda ma ai fini della procedibilità dovrà depositare nuovamente il ricorso ex art. 696-bis c.p.c. oppure optare per la mediazione. Se, invece, la parte ha optato fin da subito per la mediazione è libera di procedere secondo il rito ordinario mediante la notifica dell'atto di citazione.

Guida all'approfondimento
  • Besso, Inquadramento del tema: lo sviluppo del fenomeno della risoluzione alternativa della controversia, in AA.VV., La mediazione civile e commerciale, a cura di BESSO, Torino, 2010;
  • Consolo-Bertollini-Buonafede, Il tentativo obbligatorio di conciliazione nelle forme di cui all'art. 696 bis c.p.c. e il successivo favor per il rito semplificato, in Corr. giur., 2017;
  • Corea, I profili processuali della nuova legge sulla responsabilità medica: note a prima lettura, in www.judiicum.it;
  • Licci, sub art. 445-bis, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Consolo, Sassani e Vaccarella, V, Torino, 2013;
  • Olivieri, Prime impressioni sui profili processuali della responsabilità sanitaria (legge 8 marzo 2017, n. 24), in www.judicium.it. ;
  • Pagni, Dal tentativo obbligatorio di conciliazione al ricorso ex art. 702-bis c.p.c., in Gelli-Hazan-Zorzit, La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n. 24 (cd. Legge Gelli), 2017;
  • Pezzani, Gli effetti processuali e sostanziali della domanda di consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite, in Riv. dir. proc., 2013;
  • Romano, sub art. 696-bis, in Commentario del codice di procedura civile, a cura di Comoglio, Sassani e Vaccarella, VIII, 2, Torino, 2014.
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