La vessatorietà della clausola compromissoria inserita nel regolamento di condominio

28 Dicembre 2017

Ammessa la possibilità di compromettere in arbitri le impugnative delle delibere assembleari mediante l'inserimento della clausola compromissoria nel regolamento (contrattuale) condominiale, sorge il problema se, ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., tale clausola, in quanto ritenuta vessatoria, debba essere oggetto di specifica approvazione per iscritto.
Il quadro normativo

Stante la legittimità della disposizione del regolamento condominiale che preveda una clausola compromissoria, con il correlativo obbligo di chiedere la tutela all'organo designato competente - se si ritiene l'ammissibilità per le impugnative assembleari superando l'ostacolo dell'art. 1137 c.c., a fortiori deve ritenersi valida per tutte le altre controversie condominiali - va precisato che unico strumento utile per l'inserimento di tale clausola non appare il regolamento assembleare approvato ai sensi dell'art. 1138, comma 3, c.c., non potendo la maggioranza dei partecipanti al condominio incidere sui diritti propri di ciascun condomino.

Invero, per come emerge dal combinato disposto degli artt. 1138, comma 4, e 1137, comma 2, c.c., all'assemblea non può riconoscersi il potere di menomare le facoltà ed i poteri individuali, attinenti all'uso o al godimento oppure afferenti alla partecipazione ed alla gestione delle cose comuni; quindi, del potere di impugnare le delibere condominiali davanti all'autorità giudiziaria, siccome garantito dalla legge in favore dei partecipanti ed espressamente dichiarato intangibile dalla maggioranza, possono disporre soltanto i condomini in virtù dell'autonomia negoziale, e non può disporre l'assemblea approvando il regolamento di condominio - non all'unanimità dei partecipanti, bensì - con il consueto canone della maggioranza dei presenti (tra le pronunce di merito, v. Trib. Cagliari 27 febbraio 1973).

D'altronde, l'introduzione della clausola compromissoria nel regolamento esula dal contenuto vero e proprio del regolamento stesso qual è descritto dall'art. 1138, comma 1, c.c, che deve appunto contenere «le norme circa l'uso delle cose comuni e la ripartizione delle spese, secondo i diritti e gli obblighi spettanti a ciascun condomino, nonché le norme per la tutela del decoro dell'edificio e quelle relative all'amministrazione».

La necessità del consenso unanime

Nel caso di regolamento c.d. assembleare, l'organo gestorio non può vincolare la libertà dei dissenzienti, in quanto la scelta del giudice ordinario o elettivo è un diritto di cui ognuno può disporre, e che non può essere lasciata alla mercé della maggioranza condominiale, la quale, sebbene sia competente in ciò che riguarda la gestione delle cose comuni, non lo è, invece, nelle materie che toccano i diritti individuali dei condomini.

Pertanto, va ritenuta invalida la clausola, contenuta nel regolamento approvato a mera maggioranza, che attribuisce alla cognizione degli arbitri l'impugnativa delle statuizioni assembleari, e lo stesso dicasi per la clausola del medesimo regolamento che demandi la risoluzione di controversie tra i condomini ad un collegio eletto dall'assemblea, senza esigere l'unanimità o almeno il voto favorevole del partecipante alla lite, stante l'inderogabile principio per cui gli arbitri devono essere designati con il concorso della volontà di entrambi i contendenti, e non devono essere espressione delle determinazioni di una soltanto delle parti.

Di contro, tali clausole risultano valide se il regolamento, in cui sono inserite, è di tipo c.d. contrattuale, ossia se lo stesso è approvato, con consenso in forma scritta, da tutti i condomini, nessuno escluso, o sorga, unitamente al fabbricato, ad iniziativa del costruttore, che lo impone agli acquirenti degli appartamenti, mediante un richiamo espresso nei singoli atti di trasferimento.

Qualora, invece, gli acquirenti delle singole unità immobiliari abbiano conferito mandato al costruttore di provvedere alla redazione del regolamento di condominio, deve convenirsi che l'inserzione, in quest'ultimo, di una clausola compromissoria sarà valida solo se di essa si faccia espressa menzione nel medesimo mandato; invero il regolamento predisposto dall'originario unico proprietario dell'edificio è vincolante, purché richiamato e approvato nei singoli atti di acquisto, solo per coloro che successivamente acquistano le singole unità immobiliari, ma non per chi abbia acquistato le stesse prima della predisposizione del regolamento, anche se nell'atto di acquisto sia posto a loro carico l'obbligo di rispettare il medesimo regolamento «da redigersi in futuro», mancando uno schema definitivo, suscettibile di essere compreso per comune volontà delle parti nell'oggetto del negozio; il regolamento può vincolare l'acquirente solo se, dopo la sua redazione, quest'ultimo vi presti volontaria adesione, per iscritto, in modo chiaro e inequivocabile, e non per fatti concludenti, non potendo costituire adesione, con i conseguenti effetti vincolanti, la mera «applicazione» e la «presa di cognizione» dello stesso regolamento (v., tra le altre, Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2014, n. 8606; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2005, n. 3104; Cass. civ., sez. II, 26 gennaio 2000, n. 856).

L'interpretazione della clausola

Comunque, per una corretta applicazione di una clausola compromissoria contenuta in un regolamento condominiale che deroghi a quanto previsto dall'art. 1137 c.c., devolvendo ad arbitri la materia delle impugnazioni delle delibere assembleari, appare preferibile sempre attenersi a quanto dichiarato dalle parti e, in caso di dubbio, privilegiare l'interpretazione che fa salva la libertà delle parti medesime di ricorrere al giudice, non potendosi presumere, se non in presenza di espressioni inequivocabili, la rinuncia alla normale tutela giurisdizionale (per una fattispecie concreta, v. Trib. Milano 6 aprile 1992); tuttavia, il fatto che una parte abbia omesso di far valere tale clausola nel corso del procedimento con cui sono stati richiesti i provvedimenti urgenti o lato sensu cautelari, non deve indurre a ritenere che vi sia stata una rinuncia tacita alla competenza arbitrale al relativo giudizio di merito.

In quest'ottica restrittiva, si è affermato che la clausola compromissoria, inserita in un regolamento di tipo contrattuale, riferentesi «unicamente» alle controversie tra condomini o tra uno di essi e l'amministratore, non debba essere estesa ad altre ipotesi nelle quali l'oggetto del contendere sia consistito in una delibera assembleare (Trib. Milano 14 marzo 1991); così, nell'ipotesi in cui si decida la devoluzione agli arbitri delle controversie tra condomini relative esclusivamente «alla comproprietà e all'uso delle cose comuni», la clausola non dovrebbe essere operativa allorché il condomino faccia valere il proprio diritto di proprietà esclusiva, sia pure in relazione a situazioni connesse o dipendenti dalla comproprietà o dall'uso delle cose comuni oppure da delibere assembleari riguardanti le medesime.

Se, invece, la clausola compromissoria contempla «qualsiasi» controversia tra i condomini o tra questi e l'amministratore avente per oggetto lo stabile o il regolamento di condominio, deve ritenersi compresa anche la domanda proposta dall'amministratore per conseguire da un condomino il pagamento del contributo per spese ordinarie approvate dall'assemblea, pure quando la relativa delibera non è stata impugnata (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1964, n. 1251); come dovrebbero rientrare, per esempio, anche le controversie concernenti la richiesta, fatta dal condominio nei confronti di un condomino, che ha eseguito alcune opere abusivamente, di rimuovere le stesse, di ripristinare il precedente uso dell'unità immobiliare in cui sono stati realizzati i lavori e di risarcire i danni provocati alla collettività condominiale.

Sempre in ordine all'àmbito della clausola compromissoria, deve ritenersi, però, che la stessa non va estesa alle questioni che, nei rapporti condominiali, possono avere trovato la loro mera occasione, ma che dipendono dall'interpretazione di norme generali che tutelano diritti di carattere assoluto, la cui fonte è estranea alla disciplina del condominio.

Il carattere oneroso della disposizione

Ammessa, dunque, la possibilità di compromettere in arbitri le controversie previste dall'art. 1137, comma 2, c.c. mediante l'inserimento della clausola compromissoria nel regolamento (contrattuale) condominiale, sorge il problema se, ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c., tale clausola, in quanto ritenuta vessatoria, debba essere oggetto di specifica approvazione per iscritto (il problema, ovviamente, non si pone per il compromesso di cui agli artt. 806 e 807 c.p.c. che, essendo stipulato dopo che è sorta la lite, deve essere sottoscritto da tutti i condomini, nessuno escluso).

Secondo i giudici di legittimità (Cass. civ., sez. II, 10 gennaio 1986, n. 73), l'intesa negoziale nel caso di specie rimane fuori dalla predetta previsione legislativa, trattandosi di una relatio perfetta, in quanto il richiamo è opera di entrambe le parti contraenti; invero, il regolamento convenzionale di condominio, anche quando non sia materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio, fa corpo con esso, perché espressamente richiamato ed approvato, di guisa che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel tessuto dei singoli contratti di acquisto (tra le decisioni di merito conformi, si segnala App. Torino 4 maggio 1984).

In altri termini, presupposto per l'applicazione della norma di cui sopra è che talune delle clausole specificatamente indicate siano contenute in un contratto per adesione, cioè concluso in base alla predisposizione di condizioni generali da parte di uno dei contraenti ed approvato dall'altro con un mero atto di adesione, oppure che la clausola stessa sia inserita in un contratto concluso mediante l'impiego di moduli e formulari, il cui contenuto sia stato predisposto per disciplinare in maniera uniforme determinati rapporti; per tali casi, il Legislatore impone l'approvazione specifica per iscritto di clausole particolarmente onerose, al fine di assicurare il corretto funzionamento del meccanismo contrattuale e la reciproca eguaglianza delle parti nella formazione del contratto, che può essere pregiudicata in danno del contraente più debole dalla mancata preventiva discussione dei patti, in modo che l'approvazione specifica di tali clausole, la quale offra la certezza che esse siano state conosciute ed accettate, valga ad eliminare il pregiudizio inerente alla difficoltà di avvertire e discutere, nella fase precontrattuale, la natura e la portata delle clausole medesime.

Tale situazione, però, non si verifica nella formazione del contratto a relazione perfetta, caratterizzato da una cooperazione delle parti nella scelta delle clausole di riferimento e nell'approvazione di quella che dispone il richiamo, la quale importa l'espressione di una manifestazione di volontà di entrambe le parti (sull'inesistenza di nullità della clausola compromissoria non controfirmata esplicitamente da uno dei condomini, qualora la stessa sia inserita in un regolamento contrattuale, v., altresì, App. Milano 27 settembre 1991).

Si potrebbe obiettare che la clausola di compromesso per arbitri rituali è contenuta nel regolamento condominiale, che costituisce un'autonoma manifestazione di volontà contrattuale rispetto alla compravendita dell'unità immobiliare oggetto della specifica contrattazione; in buona sostanza, le norme del regolamento e, tra queste - per quel che qui ci interessa - quella relativa al deferimento delle controversie condominiali al giudizio arbitrale, non potrebbero considerarsi clausole del contratto, poiché non avrebbero regolato il fenomeno economico-giuridico dello scambio della cosa contro prezzo, ma un fenomeno diverso, pur legato al primo, avente ad oggetto la disciplina dei rapporti tra gli acquirenti in funzione dei diritti acquistati con il trasferimento delle unità immobiliari da parte dell'originario unico proprietario.

In quest'ottica, l'approvazione del regolamento, essendo effetto di una distinta manifestazione di volontà recepita dall'acquirente come il prodotto di un'attività già compiuta al momento dell'inserimento dell'atto negoziale, non sanerebbe l'originaria dicotomia, per cui le norme regolamentari continuerebbero a configurarsi come un complesso di «condizioni generali» che il costruttore, originario unico proprietario, avrebbe predisposto per la costituzione del condominio e, quindi, per la regolamentazione di una pluralità di fenomeni economico-giuridici dello stesso tipo; ne consegue che, essendo la clausola compromissoria de qua richiamata globalmente nel documento contenente il negozio di compravendita, la rinuncia convenzionale alla giurisdizione del giudice ordinario sarebbe priva di effetto, in quanto non approvata specificatamente per iscritto ai sensi dell'art. 1341 c.c.

A tale obiezione, si è risposto che, nell'atto di trasferimento dei diritti dominicali sull'unità immobiliare facente parte dello stabile, le parti hanno espressamente inserito, nell'àmbito delle condizioni della compravendita - tra gli altri - gli obblighi derivanti dal regolamento, sicché i patti relativi al funzionamento del condominio fanno parte integrante dell'atto che ha operato il predetto trasferimento; non vi è, quindi, alcuna contrapposizione tra volontà diretta ad ottenere lo scambio della cosa contro prezzo e volontà indirizzata a disciplinare l'utilizzazione delle cose comuni e ad assicurare il funzionamento dei servizi, poiché, se il contratto di compravendita delimita l'oggetto negoziale e quantifica le utilità spettanti al singolo sulle cose e impianti acquisiti pro quota con il trasferimento dell'unità immobiliare, lo stesso non può non comprendere anche la relativa regolamentazione pattizia, espressamente richiamata e approvata, che contribuisce a definire, sotto il profilo economico-giuridico, l'àmbito di tutti i rapporti compresi nell'atto di autonomia privata (così App. Milano 9 giugno 1981).

Pertanto, a fronte del fatto che le clausole in oggetto sono state discusse dalle parti del contratto che le hanno recepite, diventa irrilevante che le stesse siano state predisposte su uno schema unitario e che siano il prodotto di una scelta del costruttore anteriore alla formazione del medesimo contratto; il regolamento condominiale, in altre parole, quando è recepito nel contesto dell'atto di trasferimento dell'appartamento, non deve considerarsi come qualcosa di estraneo al consenso manifestato in quella sede e non presuppone un'ulteriore manifestazione di volontà, ma contribuisce a definire la prestazione quando specifica gli strumenti per l'utilizzazione delle cose comuni e prefigura gli schemi per l'operatività dei servizi (anche il prezzo concordato, in fondo, viene di solito rapportato alle previste modalità di uso della proprietà comune connesse all'acquisto della singola unità immobiliare).

Al riguardo, si è, altresì, osservato che il presupposto di fatto da cui il Legislatore ha mosso nel dettare l'art. 1341 c.c., mediante la specifica approvazione per iscritto delle c.d. clausole vessatorie, è quello di una «contrapposizione o antagonismo di interessi» tra le parti del contratto, da un lato, assicurando al contraente più debole di poter concretamente valutare la convenienza di stringere o meno l'obbligo contrattuale, e, dall'altro, impedendo a quello più forte, che ha unilateralmente fissato il contenuto del futuro accordo, di introdurre in modo surrettizio clausole svantaggiose o eccessivamente impegnative per la parte cui spetta solo aderirvi; ora, tale idea di contrapposizione o antagonismo non si ravvisa nell'accordo tendente a dar vita al regolamento condominiale, in quanto si pensa, di regola, alla parità, al parallelismo ed alla coincidenza di interessi nella medesima finalità, atteso che, nello stesso, è difficile ravvisare in concreto l'abuso o la soperchieria del contraente più forte nei confronti di quello più debole, stante che qualsiasi onere o svantaggio ha come soggetto passivo la totalità dei membri del condominio e, correlativamente, qualsiasi favore o vantaggio ha come soggetto attivo la stessa totalità dei componenti l'organismo condominiale (Collegio arbitrale Milano 31 luglio 1962).

La nuova normativa consumeristica

Una nuova frontiera di indagine è stata esplorata riguardo alla l. 6 marzo 1996, n. 52 - attuativa della direttiva comunitaria 1993/13 del 5 aprile 1993, introducendo il capo XIV-bis, titolo II, libro IV del codice civile, rubricato «dei contratti del consumatore», in particolare, gli artt. da 1469-bis a 1469-sexies c.c., confluiti, senza significative modifiche, nel c.d. Codice del consumo, d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206 - applicabile ai soli contratti aventi ad oggetto la cessione di beni o la prestazione di servizi, conclusi tra un soggetto qualificabile come «consumatore» ed un altro qualificabile come «professionista», in ordine alle clausole che determinano un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto, facendo salvo il rilievo che può assumere, nel giudizio di vessatorietà, lo svolgimento di una trattativa individuale.

La recente normativa trova, infatti, la sua piena operatività nei regolamenti di origine esterna, in quanto oggettivamente ricollegabili all'esercizio dell'attività imprenditoriale o professionale svolta dal costruttore; ci si riferisce soprattutto a quelle clausole definite «contrattuali», poiché traggono la loro fonte nel predetto titolo di natura convenzionale, che limitano o restringono l'esercizio dei poteri di disposizioni o/e di godimento dei condomini in ordine alle cose comuni o di proprietà esclusiva - imponendo vincoli di inalienabilità, circoscrivendo la libertà di godimento, vietando alcune destinazioni di uso, ecc. - e, quindi, oggetto dei rispettivi programmi negoziali sinallagmatici di compravendita, determinano contrattualmente le modalità di uso del bene ceduto all'acquirente-consumatore per soddisfare esigenze prettamente personali del condomino.

Nel panorama contraddistinto dalla vigenza della l. n. 52/1996, dovranno considerarsi «vessatorie» le clausole tese a determinare a carico dei singoli condomini, acquirenti delle unità immobiliari dello stabile in condominio, un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi di derivazione contrattuale, in violazione del principio della buona fede, dovendo, però, l'accertamento dello squilibrio tra diritti e obblighi del consumatore correlarsi alla valutazione dell'intero assetto negoziale; in quest'ottica, si dovranno porre a confronto, da un lato, l'interesse del venditore-predisponente a conseguire un notevole pregio dell'edificio e così il gradimento dei successivi condomini (e, quindi, un maggiore valore di mercato dell'immobile), e, dall'altro, il contrapposto interesse dei singoli partecipanti alla piena espansione della proprietà comune ed individuale (riguardo anche alle sottese esigenze abitative).

In quest'ottica, potrebbero essere soggette alla statuizione giudiziale di inefficacia ex art. 1469-quinquies c.c. per presunta vessatorietà - tra le altre - le clausole che deferiscano la cognizione ad arbitri derogando la competenza dell'autorità giudiziaria, e ciò rafforza la necessità di operare, sul regolamento di condominio predisposto dal venditore, un controllo giudiziale di tipo sostanziale, come quello concernente i contratti del consumatore, dichiaratamente ispirato a regole di equilibrio e trasparenza.

In conclusione

Rimane da verificare se la clausola compromissoria contenuta in un regolamento contrattuale e operativa - per quanto sopra chiarito - nei confronti dei singoli originari condomini, sia o meno vincolante anche riguardo ai successori a titolo particolare dei medesimi (salvo che i subentranti non abbiano espressamente dichiarato, nei loro atti di acquisto, di accettare espressamente quella specifica clausola).

Partendo dal presupposto che il regolamento può essere richiamato nell'atto di acquisto di un'unità immobiliare dello stabile condominiale - le parti dichiarano di essere edotti dell'atto richiamato e di impegnarsi ad osservare le singole disposizioni - e, in forza di tale richiamo, far parte integrante della relativa compravendita, acquistando così valore contrattuale, senza bisogno che le singole clausole siano riportate integralmente nello stesso, qualora il dante causa abbia espressamente approvato il regolamento condominiale e, quindi, anche l'eventuale clausola compromissoria ivi contenuta, si ritiene che pure l'avente causa, il quale, nel suo atto di acquisto, abbia richiamato per relationem tale regolamento, e conseguentemente la medesima clausola, risulta vincolato, atteso che egli subentra nella stessa posizione del suo dante causa, con gli stessi diritti e gli stessi obblighi nei confronti degli altri condomini singolarmente o complessivamente considerati (v., tra le prime pronunce in argomento, Trib. Milano 14 luglio 1969).

Deve, quindi, escludersi che la suddetta clausola compromissoria non vincolerebbe gli aventi causa, i quali potrebbero sempre domandare che la controversia condominiale sia risolta dall'autorità giudiziaria ordinaria; in pratica, nel caso in cui ad uno degli originari condomini ne subentri un altro per acquisto a titolo particolare, quest'ultimo sarà tenuto al rispetto della clausola compromissoria stipulata dal suo avente causa; l'acquirente di un appartamento in un condominio succede, infatti, non solo nella sola titolarità del bene, ma anche nella posizione del venditore in ordine ai contratti da questi stipulati con riferimento a tale bene, pur se comportino pattuizioni di natura reale opponibili a terzi.

Guida all'approfondimento

Celeste, La composizione arbitrale del contenzioso condominiale, in Riv. giur. edil., 1999, II, 189;

Scarpa, Le clausole vessatorie nel regolamento di condominio, in Rass. loc. e cond., 1999, 481;

Ditta, Arbitrato e soluzione stragiudiziale delle controversie condominiali, in Arch. loc. e cond., 1995, 277;

Ceniccola, Condominio e clausola compromissoria, in Vita notar., 1985, I, 599;

Raschi, La clausola compromissoria nei regolamenti condominiali, in Nuovo dir., 1968, 11;

Trabucchi, Tutela giudiziaria dei singoli condomini e clausola compromissoria nel regolamento di condominio, in Giur. it., 1952, I, 1, 881;

Pucci, Clausola compromissoria nel regolamento condominiale, in Mon. trib., 1951, 218.

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