Rita Russo
28 Dicembre 2017

Il nome è il principale mezzo di identificazione della persona: esso è composto dal prenome (o nome di battesimo) e dal cognome e costituisce un elemento essenziale dell'identità personale dell'individuo, che riceve tutela costituzionale ai sensi dell'art. 2 Cost..
Inquadramento

Il nome è il principale mezzo di identificazione della persona: esso è composto dal prenome (o nome di battesimo) e dal cognome e costituisce un elemento essenziale dell'identità personale dell'individuo, che riceve tutela costituzionale ai sensi dell'art. 2 Cost.. Il diritto al nome trova anche un espresso riconoscimento nell'art. 22 Cost. il quale stabilisce che nessuno possa essere privato del nome per motivi politici. La certezza e la stabilità del nome costituiscono un valore protetto dall'ordinamento, con l'evidente intento di salvaguardare l'interesse pubblico alla certezza di status ed all'agevole individuazione delle persone (Cons. Stato, 15 ottobre 2013, n. 5021). Non sono invece riconosciuti i predicati nobiliari, salvo che, facendo ormai parte del cognome, non abbiano nel tempo assunto la funzione di identificare la persona. L'art. XIV delle disposizioni transitorie e finali della Costituzione dichiara, infatti, che «I titoli nobiliari non sono riconosciuti». A questo primo comma ne segue però un secondo, a termini del quale i predicati dei titoli già esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. È questa la c.d. “cognomizzazione” del predicato nobiliare, e cioè il fatto che il predicato nobiliare è divenuto parte del cognome e come tale è sottoposto al regime giuridico del cognome, derivando al soggetto secondo le regole civilistiche della trasmissione del nome e non secondo quelle della trasmissione del titolo nobiliare previste dall'ordinamento araldico. Il mutamento del cognome non è consentito se non nelle specifiche ipotesi previste dalla legge. Il matrimonio non determina il mutamento del cognome: secondo quanto dispone l'art. 143-bis c.c. la moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze; se i coniugi sono separati, può essere giudizialmente vietato alla moglie l'uso del cognome del marito, quando ciò sia al coniuge gravemente pregiudizievole e viceversa la moglie può essere autorizzata a non usare il cognome del marito se da questo le può derivare un grave pregiudizio (art. 156-bis c.c.). Dopo il divorzio, la donna perde il cognome che aveva aggiunto al proprio a seguito del matrimonio (art. 5 l. 1° dicembre 1970, n. 898). Il tribunale può tuttavia autorizzare la donna che ne faccia richiesta a conservare il cognome del marito aggiunto al proprio quando sussista un interesse suo o dei figli meritevole di tutela. Parzialmente diversa è la disciplina del cognome per i partner della unione civile registrata. La l. 20 maggio 2016, n. 76, stabilisce che sono le parti stesse, se lo vogliono, a scegliere per la durata della unione un cognome comune, che può essere indifferentemente quello dell'uno o dell'altro partner; ciascuno dei partner può anteporre o posporre il cognome comune al proprio; le predette scelte si effettuano con una dichiarazione all'ufficiale di stato civile.

Il recente d. lgs. 19 gennaio 2017, n. 5, attuativo della l. n. 76/2016 e di adeguamento delle disposizioni dell'ordinamento di stato civile, ha modificato l'art. 63 d.P.R. n. 396/2000, prevedendo, tra l'altro, che debba essere iscritta, nell'archivio informatico degli atti di stato civile, la dichiarazione con la quale le parti, dopo la costituzione dell'unione civile, dichiarano di voler assumere, per la durata dell'unione civile, un cognome comune scegliendolo tra i loro cognomi o di anteporre o posporre al cognome comune il proprio cognome, se diverso.

Acquisto del nome

L'attribuzione del nome di battesimo, dalla legge chiamato prenome, è disciplinata dagli artt. 29 e ss. (fino ad art. 36) del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 ed è eseguita da colui che rende la dichiarazione di nascita davanti all'ufficiale dello stato civile. La scelta del prenome, tuttavia, è una decisione che spetta ad entrambi i genitori, per il principio della pari investitura delle responsabilità genitoriali, stabilito dall'art. 316 c.c.. La giurisprudenza ha chiarito che, coinvolgendo un diritto fondamentale e irrinunciabile della persona, la scelta rientra tra le "questioni di particolare importanza" per le quali l'art. 316 c.c. richiede l'accordo dei genitori e, in difetto, l'intervento del giudice (Cass. civ., sez. I, 20 settembre 1997, n. 9339). Dopo la riforma dell'art. 38 disp. att. c.c. operata dalla legge 10 dicembre 2012, n. 219 tutte le questioni di contrasto tra i genitori ai sensi dell'art. 316 comma 2 c.c. sono devolute alla competenza funzionale del tribunale ordinario, mentre in precedenza erano attribuite alla cognizione del tribunale per i minorenni. L'art. 35 d.P.R. n. 396/2000 prevede che il nome imposto al bambino deve corrispondere al suo sesso. Questa norma ha fatto sorgere una querelle sull'attribuibilità del nome “Andrea” alle bambine, posto che una circolare ministeriale si è espressa nel senso che il nome Andrea, per essere attribuito a delle bambine, debba essere preceduto da un prenome femminile. La Corte di Cassazione si è però espressa in senso contrario, osservando che il prenome "Andrea" ha natura sessualmente neutra, essendo utilizzato, nella maggior parte dei paesi europei ed extraeuropei, per soggetti femminili e maschili indifferentemente, e, pertanto, non è produttivo di alcuna ambiguità (Cass. civ.,sez. I, 20 novembre 2012, n. 20385).Per quanto riguarda la attribuzione delnome “Maria”a neonati di sesso maschile,prassi che ha radici nella devozione religiosa,la circolare ministeriale n° 9/2001 chiarisce che la prassi è compatibile con la normativa vigente purché il primo elemento del nome corrisponda inequivocabilmente al sesso della persona interessata (Francesco Maria, Gianmaria).

Nello Stato italiano sussiste inoltre il divieto (art. 34 d.P.R. n. 396/2000) di attribuire al neonato lo stesso nome del padre o di un fratello o di una sorella viventi. La regola è diretta ad evitare che si verifichi totale omonimia tra membri della stessa famiglia; infatti il divieto vige tra padre e figlio e tra fratelli e sorelle e non tra madre e figlia, sull'implicito presupposto che il cognome che si tramanda sia quello paterno. Deve però osservarsi che lo stesso divieto non sussiste in altre nazioni, in particolare in quei paesi che prevedono la trasmissione del doppio cognome, materno e paterno, e ove quindi non si prospetta un problema di omonimia endofamiliare. Devono quindi essere fatti salvi i diritti degli stranieri residenti in Italia e delle persone aventi doppia cittadinanza, posto che l'art. 24 l. 31 maggio 1995, n. 218 (Diritto internazionale privato) rinvia, in questa materia, alla legge nazionale del soggetto (Trib. Napoli 19 marzo 2008). Anche la Convenzione di Monaco del 5 settembre 1980, ratificata con legge 19 novembre 1984, n. 950 ha disposto che i cognomi e i nomi di una persona sono determinati dalla legge dello Stato di cui il soggetto è cittadino.

In evidenza

La scelta del nome di battesimo è una decisione di particolare importanza che deve essere condivisa tra i genitori

Acquisto del cognome: figli nati nel matrimonio e fuori dal matrimonio

Al figlio nato nel matrimonio (già denominato figlio legittimo) è stato finora automaticamente attribuito il cognome del padre, anche se non esiste nel nostro ordinamento una norma scritta che regoli espressamente l'attribuzione del cognome al figlio nato nel matrimonio, né un espresso divieto di attribuzione del cognome materno. Tuttavia, secondo la giurisprudenza, tale principio costituisce una norma immanente nel sistema, in quanto presupposta dagli artt. 237, 262 e 299 c.c. (Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2006, n. 16093). La nostra Corte di Cassazione, più volte, ha affermato che detta regola oltre a non essere più coerente con i principi dell'ordinamento, che ha abbandonato la concezione patriarcale della famiglia, e con il valore costituzionale dell'eguaglianza tra uomo e donna, si pone in contrasto con alcune norme di origine sopranazionale. Nel panorama degli ordinamenti contemporanei la soluzione al problema dell'attribuzione del cognome al figlio data dalla normativa italiana appare quasi del tutto isolata, anche se le opzioni alle quali sono ispirate le discipline straniere sono diverse tra loro (Cass. civ., sez. I, 22 settembre 2008, n. 23934). La Corte Costituzionale (C. cost. 27 aprile 2007, n. 145; C. cost. 16 febbraio 2006, n. 61) pur esprimendosi nel senso che l'attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, non più coerente con i principi dell'ordinamento e con il valore costituzionale dell'uguaglianza tra uomo e donna, ha negli anni passati dichiarato inammissibile la questione di legittimità, ritenendo che la materia sia riservata alla discrezionalità del legislatore. Nella perdurante inerzia del legislatore e nuovamente investita della questione di costituzionalità dalla Corte d'Appello di Genova nell'anno 2013, in data 8 novembre 2016 la Consulta ha infine dichiarato l'illegittmità della norma che prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno al figlio nato da unione coniugale, in presenza di una diversa volontà dei genitori (sul punto v. amplius il paragrafo che segue).

Al figlio nato fuori dal matrimonio (già denominato figlio naturale) viene attribuito il cognome del genitore che lo riconosce per primo o, in caso di contemporaneo riconoscimento da parte di entrambi, il cognome del padre, salvi gli effetti della predetta sentenza della Corte Costituzionale che si estendono anche al caso di genitori non coniugati. Al figlio riconosciuto solo dalla madre va dunque attribuito il cognome materno. Se il padre riconosce il figlio successivamente, o in un secondo momento è accertata giudizialmente la paternità, il figlio maggiorenne può scegliere se assumere il cognome del padre, mantenere solo quello della madre, oppure conservarli entrambi. Se il figlio è minorenne sarà il giudice - che ai sensi dell'art. 38 disp. att. c.c. come riformato dalla legge n. 219/2012 si deve oggi individuare nel tribunale ordinario - a decidere se il cognome originario (materno) deve essere sostituito con quello paterno o se il cognome materno deve essere mantenuto aggiungendo il cognome paterno (art. 262 c.c.). I criteri di individuazione del cognome del minore si pongono in funzione dell'interesse del minore stesso, che è quello di evitare un danno alla sua identità personale, intesa anche come proiezione della sua personalità sociale e la scelta del giudice non può essere condizionata né dal favor per il patronimico, né dall'esigenza di equiparare il risultato a quello derivante dalle diverse regole, non richiamate dall'art. 262 c.c., che presiedono all'attribuzione del cognome al figlio “legittimo” (Cass. civ., sez. I, 29 maggio 2009, n. 12670). In altre parole, non vi è alcun favor verso il cognome paterno, né automaticità, né alcun favor verso il cognome del genitore che ha riconosciuto per primo il minore; il cognome è considerato non solo un segno identificativo della discendenza, e della appartenenza ad una famiglia, ma anche e soprattutto un segno identificativo della persona. Pertanto deve essere valutato adeguatamente il diritto ed interesse del minore a conservare la propria identità personale costituita anche dal cognome che gli è stato attribuito alla nascita (Cass. civ., sez. I, 3 febbraio 2011, n. 2644). Nella valutazione il giudice ha un ampio margine di discrezionalità ma deve farsi guidare dal criterio del prevalente interesse del minore, secondo le regola dettata dall'art. 3 della Convenzione di New York sui diritti del fanciullo. Prima di assumere la decisione, il giudice deve ascoltare il minore se ha compiuto gli anni 12 o anche di età inferiore se è capace di discernimento. Anche questa disposizione è attuativa dei diritti riconosciuti al minore dalla Convenzione di New York del 1989, dalla Convenzione di Strasburgo del 1996 nonché dall'art. 24 della Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali della Unione Europea), che, nel ribadire il principio del superiore interesse del minore, ricorda che i minori possono esprimere liberamente la propria opinione e che questa viene presa in considerazione sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità.

Al figlio non riconosciuto da alcuno dei genitori il nome ed il cognome vengono attribuiti dall'ufficiale dello stato civile (art. 29 d.P.R. n. 396/2000) e se in seguito il figlio viene riconosciuto o viene accertata giudizialmente la paternità egli ha il diritto di conservare, anteponendolo o, a sua scelta, aggiungendolo all'altro, il cognome precedentemente attribuitogli dall'ufficiale dello stato civile, quando tale cognome sia divenuto autonomo segno distintivo della sua identità.

In caso di adozione di un minorenne, questi deve sostituire il proprio cognome originario con quello degli adottanti (artt. 25 ss. l. 4 maggio 1983, n. 184 e successive modifiche).

L'adottato maggiorenne assume il cognome dell'adottante e lo antepone al proprio, secondo quanto dispone l'art. 299 c.c.. Se è stato adottato da due coniugi, l'adottato assume il cognome del marito, anteponendolo al proprio, salva diversa volontà degli adottandi. Se invece l'adozione è compiuta da una donna sposata, l'adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei, cioè il cognome proprio della persona che l'ha adottato.

In evidenza

Nell'adottare la decisione sull'attribuzione del cognome al figlio riconosciuto in tempi diversi dai genitori, o la cui paternità sia giudizialmente accertata in un momento successivo al riconoscimento materno, il giudice deve tenere in considerazione il preminente interesse del minore.

Nel procedimento di cui all'art. 262 c.c. il minore che abbia compiuto i 12 anni deve essere ascoltato e la sua opinione deve essere tenuta in considerazione

La trasmissione del cognome materno

Come già esposto nel paragrafo precedente, in un primo momento la Corte Costituzionale italiana (C. cost. n. 61/2006) ha ritenuto che, per quanto obsoleto, il sistema di automatica trasmissione del cognome paterno ai figli nati nel matrimonio debba essere modificato non già tramite un inammissibile intervento “manipolativo” della Corte stessa, ma riformato dal legislatore, che al momento non ha ancora provveduto. Sulla questione è intervenuta la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che con la sentenza del 7 gennaio 2014 n. 77 (Cusan e Fazzo contro Italia) ha ritenuto che, nella legislazione italiana, l'impossibilità di derogare alla automatica attribuzione al figlio nato da matrimonio (già denominato “figlio legittimo”) del cognome del padre e di attribuire il cognome della madre, pur nell'accordo dei coniugi, costituisca violazione dell'art. 14 CEDU, in relazione all'art. 8. Si tratta, secondo la Corte di discriminazione non necessaria in una società democratica e fondata solo sulla diversità di sesso, derivante da una lacuna del sistema giuridico italiano, secondo il quale il «figlio legittimo» è iscritto nei registri dello stato civile con il cognome del padre, senza possibilità di deroga, nemmeno in caso di consenso tra i coniugi. L'ordinamento italiano è stato ritenuto eccessivamente rigido e discriminatorio nei confronti delle donne.

Il legislatore ha in corso di esame un disegno di legge che adegua il sistema alle indicazioni date dalla CEDU (C.360-1943-2044-2113-A – “Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli”). Il testo è stato approvato alla Camera nel settembre del 2014 e deve essere ancora approvato dal Senato. In sintesi esso prevede che siano i genitori a decidere: alla nascita al figlio potrà essere attribuito il cognome del padre o della madre o i due cognomi, secondo quanto decidono insieme i genitori. Chi ha due cognomi (e quindi in prospettiva le nuove generazioni) può trasmetterne al figlio soltanto uno, a sua scelta. Al momento però il sistema normativo è ancora invariato. Dopo la sentenza della Corte di Strasburgo, si è pertanto disegnato un contrasto tra la normativa interna e la norma della Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo nell'interpretazione che ne offre la Corte EDU: in tali casi, secondo la soluzione data dalla Corte Costituzionale con le note “sentenze gemelle” dell'anno 2007 (C. cost. 24 ottobre 2007, n. 348 e C. cost. 24 ottobre 2007, n. 349), il giudice, se rileva un contrasto tra la norma interna e la norma CEDU deve sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma contrastante con la norma CEDU, ai sensi dell'art. 117 Cost.. In verità, ancora prima che la CEDU si pronunciasse con specifico riferimento alla legislazione italiana con la sentenza Cusan, la Corte d'appello di Genova, nel 2013, aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale di tutte le norme che complessivamente considerate imponevano questa regola, facendo riferimento all'art. 117 Cost. in relazione ai diversi obblighi internazionali derivanti dalla Convenzione Europea dei diritti dell'Uomo, dal Trattato di Lisbona e dalla Convenzione di New York del 18 dicembre 1979 ratificata in Italia con la l. 14 marzo 1985 n. 132 per l'eliminazione di ogni discriminazione contro la donna, nonchè agli artt. 2 e 3 della nostra Costituzione. La questione è rimasta a lungo pendente -e quasi dimenticata - presso la Corte Costituzionale, finchè in data 8 novembre 2016 la Corte Costituzionale, con sentenza pubblicata il 21 dicembre 2016 n. 286 ha dichiarato la illegittimità della norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 c.c.; 72, comma 1, r. d. 9 luglio 1939, n. 1238 e 33 e 34 d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

La Corte, nella predetta sentenza, ha puntualizzato che il proprio intervento riguarda soltanto il caso in cui entrambi i genitori, di comune accordo, vogliano attribuire al figlio al momento della nascita entrambi i cognomi, ed ha ritenuto che la regola, tuttora immanente nel sistema, dell'automatica attribuzione del cognome paterno è illegittima in quanto pregiudica il diritto all'identità personale del minore e, al contempo, costituisce un'irragionevole disparità di trattamento tra i coniugi, che non trova alcuna giustificazione nella finalità di salvaguardia dell'unità familiare.

Osserva ancora la Corte che la previsione dell'art. 89 d.P.R. n. 396/2000, e cioè la possibilità di chiedere al Prefetto di cambiare il cognome o di aggiungere altro cognome al proprio - cui consegue anche la facoltà di impugnare la decisione negativa innanzi al Tribunale ai sensi dell'art. 95 d.P.R. n. 396/2000 - non costituisce un rimedio al vulnus arrecato al diritto all'identità personale, perchè non consente al figlio di essere identificato, sin dalla nascita, con il cognome di entrambi i genitori.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale è stata estesa, in via conseguenziale, alla norma contenuta nell'art. 262, comma 1, c.c., nella parte in cui, qualora il figlio sia riconosciuto alla nascita da entrambi i genitori, prevede l'automatica attribuzione del cognome paterno e non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere entrambi i cognomi e all'art. 299, comma 3, c.c., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell'adozione.

Per effetto di questa sentenza resta ancora in vigore l'attribuzione automatica del cognome paterno, ma è consentito ai genitori rendere all'Ufficiale di stato civile una dichiarazione congiunta di diversa volontà, nel qual caso l'Ufficiale di stato civile non potrà rifiutare di registrare il doppio cognome. Così si esprime anche la circolare 19 gennaio 2017 n. 1 del Ministero dell'Interno, ove si afferma che ogni Ufficiale di stato civile deve dare immediata applicazione alla sentenza della Consulta, accogliendo le (eventuali) richieste dei genitori di attribuzione del doppio cognome

Restano ancora incerte, ma si spera che nelle more intervenga il legislatore, le modalità con le quale questi bambini registrati con il doppio cognome potranno trasmettere il cognome ai loro stessi figli.

Infine, deve ricordarsi che, in tema di attribuzione del cognome materno, devono essere fatti salvi i diritti delle persone che hanno doppia cittadinanza, e rispettare la regola, già ricordata, posta dall'art. 24 della l. 31 maggio 1995, n. 218 che rinvia, in questa materia, alla legge nazionale del soggetto.

La perdita del cognome

Il cognome può essere perduto a seguito di disconoscimento di paternità o di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità. In questi casi se si accerta la fondatezza della domanda, il figlio perde lo status (di figlio del marito della madre o di figlio della persona che l'ha falsamente riconosciuto) e di conseguenza, deve essere rettificato l'atto di nascita. Peraltro, la Corte di Cassazione, in siffatti casi, accede ad una lettura estensiva della rettifica, ritenendo che il relativo procedimento è volto ad eliminare una difformità tra la situazione di fatto, qual è o dovrebbe essere nella realtà secondo la previsione di legge, e quella risultante dall'atto dello stato civile, per un vizio comunque e da chiunque originato nel procedimento di formazione dell'atto stesso, e può quindi essere promosso anche per la cancellazione di atti dello stato civile incompatibili con il contenuto di provvedimenti giurisdizionali definitivi, non essendo tali atti iscrivibili né trascrivibili in detti registri (Cass. civ., sez. I, 2 ottobre 2009, n. 21094). Di regola quindi il figlio dovrebbe perdere il cognome del genitore rispetto al quale si accerta la insussistenza del rapporto di filiazione ed assumere il cognome dell'altro genitore. Tuttavia, sul presupposto che il cognome, una volta acquisito, entra a fare parte del patrimonio di diritti personalissimi del soggetto,è possibile richiedere il mantenimento del cognomeai sensi dell'art. 95, comma 3, d.P.R. 3 novembre 2000 n. 396, il quale prevede che «l'interessato può comunque richiedere il riconoscimento del diritto al mantenimento del cognome originariamente attribuitogli se questo costituisce ormai autonomo segno distintivo della sua identità personale». La domanda deve essere presentata presso il Tribunale del circondario dove ha sede l'ufficio di stato civile presso il quale è registrato l'atto di nascita ed in contraddittorio con la persona che ha originariamente trasmesso il cognome (il presunto padre).

Il cognome aggiunto al proprio in seguito al matrimonio si perde invece con il divorzio, o annullamento del matrimonio, salva l'istanza di conservazione, che deve essere adeguatamente motivata. Le parti di una unione civile registrata non possono presentare istanza di conservazione del cognome comune dopo lo scioglimento del vincolo: la l. n. 76/2016 prevede espressamente che le parti possano assumere il cognome comune “per la durata dell'unione civile” e nello stabilire quali parti della l. n. 898/1970 si applicano alla unione civile, non richiama il terzo comma dell'art. 5 della legge stessa, che prevede la facoltà per la donna divorziata di farsi autorizzare a conservare il cognome dell'ex coniuge.

Casistica

Conservazione del cognome dopo il divorzio

Il diritto della moglie alla conservazione ed alla spendita del cognome del marito dopo la sentenza di divorzio presuppone che la stessa, nel corso della vita matrimoniale, si sia presentata nella vita sociale con il cognome del marito, sicché quest'ultimo concorre ad identificarla; tuttavia la spendita del cognome limitatamente ad un campo settoriale, quale quello accademico, non appare condizione sufficiente ad integrare il requisito richiesto (Trib. Napoli 11 luglio 2003)

L'autorizzazione all'uso del cognome del marito, dopo il divorzio, costituisce un'ipotesi eccezionale e deve valutarsi anche l'eventuale pregiudizio per il coniuge che non vi acconsenta e che intenda ricreare un nuovo nucleo familiare che sia riconoscibile come legame familiare attuale (Cass. civ. sez. I, 26 ottobre 2015, n. 21706)

Diritto al nome e libera scelta dei genitori

Non è consentito ai genitori violare il contenuto minimo del diritto al nome che posa su tre principi fondamentali: a) il nome non deve esprimere il minore al ridicolo o alla vergogna; b) il nome deve rispecchiare il sesso del minore; c) il nome deve perseguire il fine di realizzare il diritto all'identità personale (Trib. Catanzaro 14 aprile 2009)

Trascrizione dell' atto formato all'estero: attribuzione del doppio cognome

Posto che la cittadinanza dell'Unione europea inibisce ogni discriminazione fondata sulla nazionalità, è illegittima la correzione dell'atto di nascita operato dall'ufficiale di stato civile italiano che, con riferimento ad una minore italiana nata e residente in Francia, ha trascritto il solo cognome paterno, e non anche quello materno, che invece pure le compete in base alla legge francese (App. Brescia, sez. I, 2 aprile 2012)

Cognome materno

La normativa italiana che assegna ai figli legittimi il cognome del genitore di sesso maschile viola l'art. 14 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'Uomo e delle libertà fondamentali, in combinato disposto con l'art. 8 della stessa convenzione; la normativa predetta va, quindi, modificata (Corte EDU 7 gennaio 2014)

Trasmissione del cognome: cattiva reputazione della famiglia paterna

Nel caso di figlio naturale minorenne, riconosciuto al momento della nascita solo dalla madre, che gli ha trasmesso il cognome, e solo successivamente dal padre, il giudice deve prescindere da qualsiasi meccanismo di automatica attribuzione del cognome paterno, dovendo tutelare in primo luogo l'interesse del minore alla propria identità personale, di cui il cognome è espressione, e quindi l'eguaglianza tra i genitori, sicché l'assunzione del patronimico non deve essere autorizzata sia quando ne possa derivare un danno per il minore, ad esempio per la cattiva reputazione della famiglia paterna, sia, più in generale, allorquando il cognome materno, per il tempo intercorso tra i due riconoscimenti, si sia ormai radicato nel contesto sociale in cui il minore vive, atteso che precludere a quest'ultimo il diritto di mantenerlo si risolverebbe in una ingiusta privazione di un elemento della sua personalità, il c.d. diritto ad essere sé stessi (Cass. civ., sez. I, 26 maggio 2006, n. 12641)

Cognome paterno aggiunto al cognome materno

È corretta la decisione della Corte di merito, la quale disponga che ad un minore, che fino ad allora aveva sempre vissuto con la madre, fosse aggiunto il cognome del padre a quello della madre, in modo da garantire, anche in prospettiva, la tutela della sua identità personale, in relazione all'instaurato ambiente familiare e sociale di vita (Cass. civ., sez. I, 15 dicembre 2011, n. 27069)

Doppio cognome del soggetto con doppia cittadinanza

Il cittadino extracomunitario che ha acquistato la cittadinanza italiana per naturalizzazione, senza perdere la cittadinanza straniera di origine, ha il diritto di portare anche in Italia il proprio doppio cognome (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2013, n. 17642)

*Scheda aggiornata al Decreto di attuazione della Legge sulle Unioni civili (d.lgs. n. 5/2017)

*Fonte:ilFamiliarista.it

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