Diritti autodeterminati e oggetto del giudizio di appello
04 Gennaio 2018
Massima
I diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (ossia il bene che ne forma l'oggetto) e non in base al titolo che ne costituisce la fonte, onde l'allegazione nel corso del giudizio di rivendicazione, sia in primo grado che in appello, di un titolo diverso rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda rappresenta soltanto una integrazione delle difese sul piano probatorio, integrazione che non è configurabile come domanda nuova, nè come rinunzia alla valutazione del diverso titolo in precedenza dedotto; ne consegue che, decisa la controversia sulla base di uno dei titoli suddetti (nella specie, usucapione), non è preclusa al giudice dell'impugnazione la decisione sulla base dell'altro (nella specie successione mortis causa) o di entrambi i titoli dedotti, anche se la parte interessata non abbia proposto alcuna specifica doglianza sul punto ed istanza in tal senso, giacché l'art. 346 c.p.c. attiene alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, non agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio ma pretermessi dal primo giudice, il secondo ritenga, invece, rilevanti ai fini dell'esatta definizione della controversia. Il caso
Gli attori avevano chiesto di accertare e dichiarare (in via principale, per successione mortis causa dall'originario unico proprietario, che se ne era riservata la proprietà, e, in via subordinata, per usucapione) la titolarità del diritto di proprietà della terrazza posta a copertura di un fabbricato censito al catasto del Comune di Roccastrada. Il tribunale di Grosseto, in accoglimento della domanda proposta in via subordinata, aveva dichiarato con sentenza del 16.07.2007 l'intervenuto acquisto, per usucapione, in favore degli attori, della terrazza posta a copertura di tale immobile. Avverso la predetta sentenza i convenuti avevano proposto appello. La Corte d'appello di Firenze, in totale riforma della decisione di primo grado, aveva escluso l'acquisto a titolo di usucapione (riconosciuto dal Tribunale) e aveva rigettato la domanda di acquisto della proprietà del terrazzo a titolo derivativo, in quanto in ordine al “rigetto” della domanda principale gli appellati non avevano proposto impugnazione in via incidentale. Gli appellati avevano presentato ricorso per cassazione nei confronti della sentenza di secondo grado lamentando, con il primo motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 346 c.p.c., per non essersi i giudici di appello pronunciati sulla domanda - ripresentata dagli appellati - di accertamento della proprietà del lastrico di copertura per acquisto mortis causa. Le soluzioni giuridiche
La Corte di cassazione, accogliendo il primo motivo di impugnazione proposto dai ricorrenti, ha cassato la sentenza della Corte d'appello di Firenze, affermando che erroneamente i giudici di secondo grado, in riforma della sentenza del tribunale di Grosseto, avevano rigettato la domanda proposta dagli attori in via principale, in quanto non ripresentata mediante appello incidentale.
I Giudici di legittimità hanno ritenuto fondato il primo motivo del ricorso essendosi la Corte d'appello discostata dal principio, ormai consolidato, secondo cui i diritti reali si identificano in base alla sola indicazione del loro contenuto (rappresentato dal bene che ne forma l'oggetto) e non in base al titolo che ne costituisce la fonte. L'allegazione nel corso del giudizio di rivendicazione, sia in primo grado che in appello, di un titolo diverso rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda rappresenta, di conseguenza, soltanto una integrazione delle difese sul piano probatorio e non è configurabile come domanda nuova, né come rinunzia alla valutazione del diverso titolo in precedenza dedotto. Pertanto, qualora il giudice di primo grado abbia deciso la controversia sulla base di uno dei predetti titoli, non è preclusa al giudice dell'impugnazione la decisione sulla base dell'altro o di entrambi i titoli dedotti, anche se la parte interessata non abbia proposto alcuna specifica doglianza sul punto. La Suprema Corte, infatti, nel ribadire il principio di diritto sopra richiamato, ha ricordato come l'art. 346 c.p.c. attiene alle domande ed eccezioni non accolte nella sentenza appellata e non riproposte in appello, e non agli elementi di prova che, acquisiti al giudizio, ma pretermessi dal primo giudice, il secondo giudice ritenga, invece, rilevanti ai fini dell'esatta definizione della controversia. Osservazioni
La Corte di cassazione ha corretto un'evidente svista della Corte d'appello di Firenze, avendo gli appellati (vittoriosi in primo grado) riproposto nel giudizio di appello tutte le deduzioni già presentate in primo grado, fra cui anche l'affermazione di essere proprietari della terrazza di copertura in forza di titolo derivativo. La Corte territoriale, quindi, avrebbe dovuto valutare l'allegazione di tale diverso titolo, una volta escluso l'acquisto a titolo di usucapione, senza richiedere, sul punto, la proposizione dell'appello incidentale da parte della parte appellata. Sul punto occorre evidenziare, in sintesi, che l'appello incidentale è necessario ai sensi dell'art. 329, comma 2, c.p.c. nei soli casi di rigetto di un'autonoma domanda o eccezione, posto che, per il principio della soccombenza, sussiste l'onere dell'impugnazione delle decisioni autonome sfavorevoli, mentre l'art. 346 c.p.c. consente la semplice riproposizione delle domande ed eccezioni non accolte (nel senso di domande o eccezioni rimaste assorbite dall'accoglimento di altra domanda proposta in via alternativa o subordinata, e quindi non esaminate) nella sentenza di primo grado, in ordine alle quali non si è formata alcuna decisione. L'art. 346 c.p.c., infatti, sanziona con una presunzione di rinuncia (che non ammette prova contraria e che si traduce in una vera e propria decadenza) la mancata espressa riproposizione in appello delle domande ed eccezioni non accolte (ma non rigettate) nella sentenza di primo grado. Il meccanismo così delineato, sul modello della revisio prioris instantiae, permette alla parte appellata di fare entrare nel processo di appello le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado esclusivamente mediante la presentazione dell'appello incidentale ovvero la riproposizione di cui all'art. 346 c.p.c.. Dalla motivazione della sentenza in commento si evince che la domanda volta ad accertare l'acquisto a titolo derivativo della proprietà del terrazzo non è stata espressamente rigettata dal Tribunale, ma solo ritenuta “superflua”. Sulla base del contenuto di tale decisione, pertanto, per la parte appellata non era comunque necessario proporre appello incidentale, al fine di fare valere la domanda non esaminata dal primo giudice, in quanto tale domanda non era stata tecnicamente rigettata. La pronuncia della Corte di cassazione, invece, si spinge oltre e affronta la questione riguardante l'ambito di applicabilità dell'art. 346 c.p.c. e il contenuto della domanda proposta in giudizio, con riferimento alla nota distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati. La domanda giudiziale, invero, si identifica sulla base di tre elementi: i soggetti, la causa petendi (afferente le ragioni del chiedere) e il petitum, ovvero il provvedimento richiesto. Per l'identificazione sul piano oggettivo della domanda giudiziale (anche per le conseguenze che ne derivano sulla decisione in ordine alla mutatio o emendatio libelli ovvero alla novità della domanda proposta in appello) è importante la distinzione tra diritti autodeterminati e diritti eterodeterminati. Nella prima ipotesi, nella quale rientrano i diritti reali, la causa petendi non concorre all'identificazione della domanda giudiziale per cui, ad esempio, nell'azione di rivendica della proprietà non interviene alcun mutamento della domanda nel corso del giudizio, se l'attore individua fatti diversi posti a fondamento del proprio titolo di acquisto della proprietà. Diversamente, i diritti di credito costituiscono diritti eterodeterminati, nel senso che la causa petendi contribuisce in questo caso all'individuazione della domanda che non potrà essere mutata nel corso del giudizio. Nei diritti autodeterminati, dunque, la deduzione di più di un titolo d'acquisto non comporta una pluralità di pretese, in quanto non si assiste ad una corrispondente molteplicità di domande su un determinato bene. In questo caso un'unica domanda può essere sorretta da una pluralità di ragioni giustificatrici (nel senso di argomenti di merito afferenti all'accertamento dell'unico diritto fatto valere), senza che si possa parlare, per questo, di un cumulo di domande, in quanto i diritti reali si identificano in base alla indicazione del loro contenuto (il bene che ne forma l'oggetto) e non in base al titolo che ne costituisce la fonte, trattandosi di diritti (tipico quello di proprietà) che non possono coesistere simultaneamente più volte tra i medesimi soggetti. A questo punto occorre chiedersi se la disposizione di cui all'art. 346 c.p.c. sia o meno applicabile anche nell'ipotesi in cui la domanda proposta sia unica, ma vi siano più fatti costitutivi addotti a sostegno della pretesa e il giudice si pronunci solo su uno di essi. Ciò avviene, appunto, quando si fa valere in giudizio un diritto autodeterminato, la cui struttura, come si è detto, consente la deduzione di più titoli d'acquisto, senza che ciò comporti una pluralità di domande, potendo il giudice riconoscere la sussistenza di uno solo di questi, tralasciando gli altri. Se per “domanda” si devono intendere anche i “segmenti interni” della stessa, costituenti le ragioni della domanda, l'art. 346 c.p.c. dovrebbe trovare piena applicazione anche rispetto ai diritti autodeterminati. Pertanto, nell'ipotesi in cui alcune ragioni della domanda siano state ritenute assorbite nella pronuncia di primo grado (in quanto il loro esame è stato ritenuto, appunto, superfluo), le stesse dovrebbero essere riproposte per essere conosciute in sede di gravame. Secondo la sentenza in commento, invece, sussiste al riguardo un vero e proprio effetto devolutivo automatico: ove siano dedotti in giudizio diritti autodeterminati, ogni questione, non esplicitamente risolta dal giudice di primo grado, dovrebbe essere, per il solo fatto della proposizione dell'appello, devoluta al secondo giudice, a prescindere da qualsiasi manifestazione di volontà della parte interessata. Sebbene la Corte di cassazione abbia correttamente annullato la sentenza di appello che aveva erroneamente preteso la presentazione, da parte dell'appellato, dell'appello incidentale (nel caso di specie non dovuto per le ragioni prima esposte), qualche dubbio sorge, dunque, in merito all'affermazione della non applicabilità dell'art. 346 c.p.c. alle domande cd. autodeterminate. Benchè la questione non rilevi specificatamente nel caso in esame (avendo la parte appellata riproposto nel giudizio di appello la domanda di accertamento della proprietà del lastrico di copertura per acquisto mortis causa), la problematicità della questione affrontata dalla Suprema Corte (che ha deciso in modo conforme al precedente giurisprudenziale citato nella motivazione) si pone sul piano generale. I Giudici di legittimità, in sostanza, affrontano l'argomento della causa petendi nei diritti autodeterminati in termini probatori: i fatti costitutivi di tali diritti riguardano solo la fondatezza della pretesa sul piano probatorio e non, come per i diritti eterodeterminati, anche la valida identificazione dell'oggetto del giudizio. I fatti costitutivi dei diritti autodeterminati, quindi, devono essere considerati alla stregua di elementi di prova ormai acquisiti al giudizio, che possono essere ritenuti rilevanti dal giudice di appello ai fini della corretta soluzione della controversia, sebbene pretermessi dal primo giudice. La Suprema Corte, tuttavia, come è stato già evidenziato in dottrina, non considera il rischio che l'applicazione concreta della distinzione tra diritti autodeterminati ed eterodeterminati può comportare sul piano strettamente processuale, in considerazione delle preclusioni previste dal rito civile e della necessità di rispettare i precetti costituzionali posti a garanzia delle parti processuali, quali il principio di uguaglianza, il diritto d'azione, l'inviolabilità del diritto di difesa e il principio del contraddittorio.
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