L’ammissione al passivo del leasing a seguito dello scioglimento del contratto

Gianfranco Benvenuto
04 Gennaio 2018

In ipotesi di contratto di leasing sciolto dal curatore, il creditore può soddisfare in sede fallimentare i crediti e gli interessi di mora sorti anteriormente al concorso alla data di dichiarazione di fallimento. Per i canoni successivi al fallimento...
Massima

In ipotesi di contratto di leasing sciolto dal curatore, il creditore può soddisfare in sede fallimentare i crediti e gli interessi di mora sorti anteriormente al concorso alla data di dichiarazione di fallimento. Per i canoni successivi al fallimento, il concedente ha diritto alla restituzione del bene e ha possibilità di insinuarsi allo stato passivo, in via tardiva, per l'eventuale differenza tra il credito in linea capitale vantato alla data del fallimento e la minor somma ricavata dalla vendita o dalla diversa allocazione del bene.

Il caso

In un rapporto di leasing sciolto dal curatore, il Tribunale di Bergamo respingeva la domanda della società concedente volta ad ottenere l'ammissione al passivo dei canoni scaduti ante fallimento, ammettendola solamente per gli interessi di mora.

La pronuncia poggiava sulla ritenuta inapplicabilità dell'art 72, comma 4, l.fall. assumendo che per i contratti di leasing sciolti in pendenza di procedura l'art 72-quater l.fall. detta una disciplina speciale e prevalente sulla norma di carattere generale e prevede che l'insinuazione, sia per i canoni scaduti che per quelli a scadere, sia condizionata all'avvenuta collocazione dei beni.

La S.C. ha cassato la sentenza disponendo che il creditore ha diritto ad insinuare il proprio credito nel passivo nella misura pari ai canoni scaduti, mentre il credito derivante dai canoni a scadere dovrà essere compensato - nella sola misura del capitale investito - con il ricavato dalla allocazione del bene sul mercato e potrà essere ammesso per la misura esuberante la compensazione.

Questioni giuridiche

La pronuncia in commento risponde ad un doppio quesito posto dal creditore-concedente il bene in leasing relativo all'esistenza del diritto a veder ammesso tempestivamente ex art. 93 l.fall. il credito maturato prima della dichiarazione di fallimento ed in costanza di contratto e in via tardiva ex art. 101 l.fall. il credito eventuale risultante dalla differenza tra il capitale investito e il ricavato dalla vendita dei beni.

Il relatore argomenta rinviando alle motivazioni presenti nelle precedenti pronunce di Cassazione nn. 4862/2010, 15701/2011 e 8687/2015 che sposano la tesi consegnata dalla sentenza in commento.

In particolare la sentenza n. 4862/2010 chiarisce come il concedente – a favore del quale il Tribunale aveva già ammesso al passivo i canoni scaduti alla data di fallimento - avrebbe diritto unicamente alla restituzione del bene con il diritto di allocarlo e compensare il ricavato con il capitale residuo investito.

La seconda sentenza invece ha cassato la decisione di merito, responsabile di aver negato il diritto all'ammissione per i canoni scaduti, giungendo alla medesima conclusione attraverso un parallelismo con il trattamento riservato al creditore pignoratizio dall'art 53 l.fall. ricordando che quest'ultimo, benché soddisfatto al di fuori del riparto fallimentare mediante vendita diretta del bene gravato da pegno, deve previamente chiedere l'ammissione del credito al passivo, sfuggendo così al concorso sostanziale ma non formale; così pure il concedente, creditore per il capitale residuo, può soddisfare il suo credito per il capitale investito fuori del concorso, “solo previa amissione del credito al passivo”.

Con la sentenza n. 21213/2017 la Cassazione ha aggiunto l'ulteriore precisazione che il credito del concedente si specifica in due segmenti: “il primo relativo ad una somma certa e determinata già alla data della dichiarazione di fallimento ed il secondo relativo ad una somma indeterminata derivante dal ricavato dalla allocazione del bene”.

Ritenendo dunque insussistenti motivi per superare l'orientamento consolidato (confermato anche da Cass n. 17577/2015) conclude che il concedente, oltre alla restituzione del bene, può insinuare i canoni scaduti al lordo degli interessi di mora, mentre per il futuro ha un diritto eventuale derivante dalla differenza tra il credito residuo per capitale e il ricavato dalla vendita del bene da insinuare nello stato passivo in via tardiva.

Osservazioni

La sentenza in commento ha il merito di riassumere il pensiero della Cassazione in tema di contratto di leasing sciolto dal curatore, la qual cosa fa sicuramente bene alla certezza del diritto; meno convincente risulta tuttavia la sua tenuta logica in quanto rimane insoluta una serie di questioni in relazione alle quali la risposta della Cassazione non convince.

La pronuncia di Cassazione capofila del corrente orientamento è rappresentato dalla sentenza n. 4862/2010 la cui motivazione è richiamata dalla sentenza n. 15701/2011: entrambe queste pronunce della S.C. sono a loro volta richiamate nel percorso motivazionale della sentenza in commento.

Tuttavia le prime due sentenze rispondevano a quesiti differenti e per alcuni profili opposti: la prima verteva sull'ammissione al passivo del credito non scaduto (non interrogandosi neppure sulla correttezza dell'ammissione del credito scaduto, non oggetto di ricorso); la seconda riguardava l'insinuazione del credito delle rate ante fallimento: pertanto il semplice richiamo della prima da parte della seconda avrebbe meritato un approfondimento e qualche distinguo.

La giurisprudenza pare giunta alle soluzioni offerte sulla base di una casistica disomogenea che non ha permesso un'interpretazione organica dell'art. 72-quater l.fall. lasciando scoperte le risposte ad una serie di quesiti rispetto a cui non viene data alcuna spiegazione e che possono essere sintetizzate nel seguente elenco:

a) qual è il significato del riferimento all'art. 72 l.fall. operato dal 1° comma dell'art. 72-quater l.fall.;

b) se il concedente ha diritto ad insinuare al passivo in via tempestiva il credito complessivo (scaduto e non scaduto);

c) se il concedente vanta solo un eventuale diritto sull'ammontare complessivo del proprio credito (scaduto e non scaduto) da insinuare dopo la vendita del bene;

d) se il concedente ha diritto a segmentare i suoi crediti ammettendo subito quello per canoni scaduti ed in via eventuale quello per crediti a scadere (soluzione adottata ma senza spiegazioni convincenti);

e) qual è la disciplina degli interessi moratori;

f) se è corretto il parallelo tra la posizione del concedente in materia di leasing e quella del creditore pignoratizio.

Proviamo a toccare i temi tracciati.

Dei principi espressi dall'art 72 l.fall. sono esportabili alla disciplina del leasing soltanto i seguenti:

  • la nozione di rapporto pendente e la sua sospensione all'incontro con il fallimento (1° comma);
  • il diritto del creditore di stimolare lo scioglimento del contratto (2° comma);
  • l'inefficacia delle clausole risolutive in conseguenza del fallimento (6° comma).

Non riterrei invece esportabile la disciplina del 4° comma che tratta il tema dell'ammissione del credito in conseguenza allo scioglimento del contratto, in quanto l'art. 72-quater l.fall. dispone esplicitamente qual è il diritto del concedente in termini di ammissione.

Dunque non ritengo che l'art. 72 l.fall. possa in alcun modo interferire con la disciplina del leasing quanto al trattamento del credito nel fallimento, poichè l'art. 72-quater l.fall., sotto questo profilo, pare dotato di sufficiente autonomia.

Questa riflessione permette di escludere che il diritto del concedente di veder ammesso il proprio credito per i canoni scaduti possa trovare ispirazione nell'art. 72 l.fall.

L'argomento ci fa scivolare ai punti b) c) e d) sopra individuati, relativi: i) all'ampiezza del credito vantato dal concedente e ii) al tempo del suo esercizio.

L'art. 72-quater l.fall. tratta due differenti posizioni creditorie al 2° e al 3° comma: quella che riguarda il diritto della curatela e quella relativa al diritto del concedente.

Il 2° comma dell'art. 72-quater l.fall. prevede l'immediata consegna del bene al concedente dopo di che si concentra sul credito del curatore pari alla differenza positiva tra la vendita del bene e il credito in linea capitale del concedente. L'ipotesi riguarda il caso del fallimento dichiarato in un momento di avanzata esecuzione del contratto di leasing in relazione ad un bene capace di conservare un valore intrinseco maggiore della somma delle ultime rate non pagate e dell'opzione.

Il 3° comma apre a tutt'altro argomento, per nulla legato a quello disciplinato dal 2° comma: il diritto del concedente di insinuare il credito vantato alla data del fallimento; come sappiamo, la Cassazione, anche se non lo spiega, ne restringe l'ambito al capitale a scadere recuperando il sintagma “canoni residui” dal 2° comma dello stesso articolo, mentre allaccia all'art. 72 l.fall. il trattamento del credito scaduto.

Tuttavia dall'analisi sin qui compiuta questo ragionamento non è ineccepibile, in quanto l'art 72 l.f. non è richiamato ai fini del trattamento del credito, tema già disciplinato dal 3° comma dell'art. 72-quater l.fall. mentre il 2° comma della norma in commento tratta un argomento differente i cui termini non sono esportabili sic et simpliciter al 3° comma della stessa norma, che è già dotata di una completezza propria passibile di una lettura autosufficiente.

Spostando l'attenzione ai principi sottesi alle prime due sentenze, ricordiamo come nella prima sentenza (n. 4862/2010) la Cassazione fa una parafrasi dell'art. 72-quater, comma 3, l.fall. e dice l'ovvio, ossia che “dalla norma in esame si evince chiaramente che il concedente…omissis… ha soltanto diritto alla restituzione del bene ed un diritto eventuale di insinuarsi nello stato passivo per la differenza tra il credito vantato alla data del fallimento e quanto ricavato …omissis…dalla nuova allocazione del bene” : dunque nulla stabilisce in ordine alla possibilità di differenziare il trattamento dei crediti del concedente sorti ante fallimento.

È la seconda sentenza (n. 15701/2011) che alimenta questo equivoco in quanto, compiuto un richiamo al suo precedente che analizzava una fattispecie diversa - ove il giudice a quo aveva ammesso il credito scaduto - afferma che “la Corte…omissis… ha implicitamente confermato la decisione del giudice del merito”, ma ciò è indimostrato in quanto non essendole stata posta, la questione non è stata neppure esaminata.

La pronuncia più recente (n. 21213/2017) mette insieme i pezzi di tre pronunce differenti (la n. 4862/2010, la n. 15701/2011, la n. 17577/2015; ma, si badi, la sentenza n 21213/2017 cita per errore la ordinanza n. 8687/2015 sebbene il testo citato appartenga all'ordinanza n 17577/2015) concludendo che il credito può essere gestito in due segmenti differenti: il primo (scaduto) insinuato tempestivamente e il secondo (a scadere) eventuale ed insinuato tardivamente.

Il principio che il credito sia segmentabile è però il frutto di un puzzle di massime le cui tessere non coincidono perché formate in contesti differenti e neppure conciliabili.

Tuttavia la legge afferma altro e cioè che il concedente ha diritto di insinuarsi per la differenza tra il credito vantato alla data del fallimento (che fuori da influenze dell'art. 72 l.fall. è tutto il credito dato dalla somma dello scaduto e a scadere) e quanto ricavato dalla nuova allocazione del bene: dunque la soluzione della segmentazione appare poco aderente al dettato normativo.

Ma su un altro punto la Cassazione ha adottato una soluzione discutibile e cioè sul tempo dell'insinuazione di una parte del credito che la S.C. rinvia ad un'epoca successiva alla vendita del bene, con la conseguenza che, quanto meno il bene ha mercato, tanto maggiore sarà il credito e minore la possibilità di insinuazione/soddisfacimento perché è probabile che i requisiti della domanda di ammissione si perfezionino a riparti completati o a fallimento chiuso.

Anche se non si verificasse quest'evenienza estrema, rimane alta la probabilità che il fallimento abbia eseguito altri riparti che pregiudicano oltremodo il credito del leasing.

A questo riguardo una soluzione potrebbe essere l'applicazione dell'art. 96, comma 1, n. 2, l.fall. favorita dal rilievo che il credito esiste ma la sua quantificazione è rinviata al momento della vendita del bene: è la stessa Cassazione d'altra parte che definisce il credito condizionale come “del tutto eventuale nel suo stesso venire ad esistenza, la riserva attenendo proprio all'evento costitutivo del diritto fatto valere” (Cfr Cass. n. 13508/2014); dunque la soluzione indicata non è ostacolata dalla legge.

Alternativamente il credito può essere ammesso in un ammontare indeterminato riservando al riparto il compito di determinarlo al netto della vendita del bene; questa stessa soluzione è adottata in tutti i casi in cui il credito sia certo nell'an ma non nel quantum se non al momento del riparto, come per il calcolo degli interessi dei crediti ipotecari, o della misura del credito per iva sui compensi dei professionisti la cui esatta determinazione dipende dal ripartito, od anche per il caso del coobbligato, ipotesi in cui al momento del riparto occorre verificare se il creditore è stato integralmente soddisfatto dagli altri coobbligati in modo da evitare situazioni di locupletazione.

Prima di concludere affrontiamo ancora due temi.

La S.C. assume che il credito relativo allo scaduto vada ammesso al passivo al lordo degli interessi di mora; il Tribunale di Bergamo, la cui sentenza è stata cassata dalla pronuncia in commento, aveva ammesso il concedente agli interessi sullo scaduto.

La soluzione appare corretta in quanto la mora è l'equivalente del risarcimento del danno che non può legarsi alla parte del credito maturato in conseguenza dello scioglimento del contratto (ex art. 72, comma 4, l.fall.), ma opera sullo scaduto ante fallimento per il quale valgono le clausole contrattuali - efficaci sino al fallimento - che la prevedono; successivamente allo scioglimento del contratto ad opera del curatore, come rilevato da Cass. n. 17577/2015, viene meno l'esigibilità del credito per via della cessazione dell'utilizzazione del bene ed infatti il credito residuo scaduto è limitato alla quota di finanziamento pura, depurata dall'utile per l'utilizzo.

Infine, alcune parole merita l'equiparazione effettuata dalla sentenza in commento (riprendendo pedissequamente la motivazione della pronuncia n. 15701/2011 che l'ha proposta) tra il leasing e il credito pignoratizio.

Così come il creditore pignoratizio si soddisfa fuori concorso, riferisce la S.C., dovendo tuttavia sottostare al concorso sostanziale che gli impone l'ammissione al passivo del credito, altrettanto farebbe il locatore finanziario per il credito relativo al capitale residuo per il quale può immediatamente soddisfarsi al di fuori del concorso senza attendere il piano di riparto sulla somma incassata “solo previa ammissione del credito al passivo”.

L'affermazione, oltre che incerta è incongrua: è incerta in quanto è dibattuta la tesi secondo cui il pignoratizio possa soddisfarsi al di fuori del riparto sottraendosi ai costi della procedura che graverebbero solo su tutti gli altri creditori (cfr. Cass. n. 1768/1979 e C.A. Torino 26/01/2011), ma inoltre è incongrua in quanto affermando che il locatore può soddisfarsi “solo previa amissione del credito al passivo” alimenta la tesi di chi sostiene che il concedente debba essere ammesso interamente al passivo già in fase tempestiva senza attendere la vendita del bene.

Conclusioni

La sentenza in commento sul piano motivazionale è il portato di un puzzle non perfettamente composto: ha operato una sommatoria di massime che a loro volta non si coordinano, rintracciando una soluzione finale relativa alla ammissione del concedente al passivo per cui si fatica a trovare il riscontro nella norma.

Ove il risultato fosse quello stabilito dalla S.C. occorrerebbe che la motivazione avesse la capacità di convincimento che questa sentenza non mostra di avere.

Il rammarico è legato al fatto che dopo i primi passi mossi dalla giurisprudenza sul terreno dell'art. 72-quater l.fall. la sentenza n. 21213/2017 poteva essere l'occasione per pervenire ad una soluzione convincente che sapesse dirimere una serie di criticità che il testo pone e che invece la soluzione della S.C. alimenta assai più che soffocare.

Se ne ricava un risultato insoddisfacente al cui cospetto c'è da augurarsi che le società di leasing proseguano nell'adire la Corte per avere motivazioni meno tralatizie e più convincenti di quelle che hanno da ultimo trattato l'argomento.

Guida all'approfondimento

Dottrina

  • Bonfatti – Censoni, Lineamenti di diritto fallimentare, Padova, 2017.
  • Casali, Leasing e fallimento: gli incerti rapporti dare – avere tra concedente e curatore, in Giur. It., 2015.
  • Inzitari, Leasing nel fallimento: soddisfazione integrale del concedente fuori dal concorso sostanziale e necessità e necessità dell'accertamento del credito fuori nel concorso formale, in Contratto e impresa 6/2012.
  • Zanichelli, Collocazione del bene dato in leasing, retrocesso dal curatore e insinuazione al passivo, nota a Cass. 15 luglio 2017, n. 15701, in Fall. 1/2012.
  • Quagliotti, Scioglimento endofallimentare del contratto di leasing: credito regolabile fuori concorso e crediti insinuabili, nota a Cass., 1 marzo 2010, n. 4862, in Fall. 7/2010.
  • De Nova, Leasing, in Digesto civ., X, Torino, 2008.
  • Luminoso, I contratti tipici ed atipici, in Tratt. Iudica e Zatti, Milano, 1995.

Giurisprudenza

  • Cass. 9 febbraio 2016, n. 2538, in Guida al diritto 2016.
  • Cass. 3 settembre 2015, n. 17577, in Giustizia Civile Massimario 2015.
  • Cass. 5 dicembre 2013, n. 27304, in Guida al diritto 2014.
  • Cass. 15 luglio 2011, n. 15701, in Giust. civ. Mass. 2011.
  • Cass. 1 marzo 2010, n. 4862, in Giust. civ. mass., 2010.
  • Cass. 9 aprile 2003, n. 5552, in Fall., 2004, con nota di Lamanna.
  • Cass. 21 luglio 2004, n. 13508, in Fall., 2005, con nota di Cataldo.
  • C. App. Torino 26 gennaio 2011, in Fall., 2011, con nota di TARZIA.

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