Discipline applicabili all'installazione degli ascensori

Ettore Ditta
05 Gennaio 2018

La normativa prevista dalla l. 9 gennaio 1989, n. 13 è stata introdotta anche per facilitare la realizzazione degli ascensori e dei servoscala negli edifici in cui vi sono barriere architettoniche, ma l'applicazione della legge speciale in molti casi non ha consentito di raggiungere l'obiettivo prefissato. Per questo motivo, in molti casi, si è rivelato assai più proficuo fare invece ricorso alla disciplina codicistica sull'uso delle parti comuni che consente a ciascun condomino di realizzare, a sue spese, l'ascensore utilizzando le parti condominiali.
Il quadro normativo

La normativa sulle barriere architettoniche negli edifici privati è contenuta nella l. 9 gennaio 1989, n. 13 e nel suo regolamento di attuazione d.m. 14 giugno 1989, n. 236. Particolare rilevanza assume l'art. 2, comma 1, della l. n. 13/1989, il quale prevede una maggioranza agevolata per l'approvazione della delibera relativa ad innovazioni aventi per oggetto l'abbattimento delle barriere architettoniche, maggioranza che peraltro è stata elevata dalla legge di Riforma rispetto a quella originaria, richiedendo adesso - mediante l'espresso rinvio all'art. 1120, comma 2, c.c. che, a sua volta, richiama l'art. 1136, comma 2, c.c. - un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio, mentre in precedenza era possibile approvare queste delibere, purché fossero adottate in una assemblea di seconda convocazione, anche con un numero di voti rappresentante il terzo dei partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio (in quanto il vecchio testo dell'art. 2, comma 1, richiamava sia il comma 2 che il comma 3 dell'art. 1136 c.c., rispettivamente per la prima e per la seconda convocazione).

Ma, a parte la attuale maggiore difficoltà di raggiungere la maggioranza prevista dalla legge speciale (maggioranza che resta comunque agevolata rispetto a quella altrimenti richiesta in generale per le innovazioni dall'art. 1136, comma 5, c.c.), una diversa normativa applicabile è quella prevista dall'art. 1102 c.c. sull'uso della cosa comune e applicabile anche al condominio per effetti del rinvio fatto dall'art. 1139 c.c.

La realizzazione delle opere secondo la giurisprudenza sulla legge speciale

Mentre nella fase iniziale di applicazione della nuova normativa sulle barriere architettoniche la giurisprudenza è rimasta a lungo divisa fra l'interpretazione restrittiva dei limiti applicativi della disposizione sulla maggioranza agevolata prevista dalla legge speciale - sostenuta dalla parte minoritaria dei giudici di merito e dalla prima sentenza emessa in materia dalla Suprema Corte (Cass. civ., sez. II, 25 giugno 1994, n. 6109) - e l'interpretazione estensiva dell'intero complesso delle nuove norme - propugnata invece dalla maggioranza delle decisioni di merito - dopo un periodo di dieci anni, la Corte Costituzionale, con una decisione relativa non in modo specifico alla legge n. 13/1989, ma alla disciplina sul passaggio coattivo a favore del fondo intercluso prevista dall'art. 1052 c.c. (Corte Cost. 10 maggio 1999, n. 167), ha segnato un deciso cambiamento di rotta da parte anche della giurisprudenza di legittimità, che nel periodo successivo ha mostrato una maggiore apertura verso l'applicazione estensiva delle previsioni contenute nella l. n. 13/1989. Nonostante un elevato numero di nuove pronunzie emesse in senso favorevole a coloro che (condomini o meno) chiedevano di realizzare ascensori o altri manufatti simili, come in particolare i servoscala, si sono continuate a registrare decisioni non sporadiche che, interpretando in maniera molto restrittiva i limiti previsti dall'art. 2, comma 3, della l. n. 13/1989, hanno rigettato le richieste di installazione dei manufatti finalizzati a eliminare le barriere architettoniche presenti negli edifici.

Allo stesso tempo, però, la giurisprudenza della Suprema Corte è rimasta comunque ferma nel ritenere che è invece legittima l'installazione dei manufatti da parte soltanto di alcuni condomini o perfino di un unico condomino avvalendosi del diritto, previsto dall'art. 1102 c.c., di usare le parti comuni (diritto che ne consente anche la modifica rispetto allo stato attuale), sostenendo le relative spese senza che concorrano i condomini che non intendono partecipare all'opera. E in questa prospettiva si è configurata una via alternativa, rivelatasi talvolta ancora più efficace, per realizzare le stesse opere che potevano invece risultare illegittime in applicazione delle previsioni contenute nella legge speciale.

Per quanto riguarda l'ambito applicativo della l. n. 13/1989, la suddivisione nei due suddetti orientamenti (estensivo e restrittivo), continua tuttora a sussistere, come dimostrano pure le più recenti decisioni emesse in materia, e proprio in una situazione simile può rivelarsi assai proficuo il ricorso all'art. 1102 c.c.

Va innanzitutto premesso che viene considerata legittima la delibera che statuisca l'installazione di un ascensore nel vano scala condominiale a cura e spese di alcuni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri condomini di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi di tale innovazione, qualora risulti che dalla stessa non deriva, sotto il profilo del minor godimento delle cose comuni, alcun pregiudizio a ciascun condomino ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., dal momento che non è necessario che dall'innovazione derivi un vantaggio compensativo pure per il condomino dissenziente (Cass. civ., sez. II, 4 luglio 2001, n. 9033; Cass. civ., sez. II, 8 ottobre 2010, n. 20902).

È stato poi deciso (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2017, n. 7938) che la sopraelevazione del preesistente impianto di ascensore ed il conseguente ampliamento della scala padronale non possono essere esclusi in presenza di una disposizione del regolamento condominiale che subordini l'esecuzione dell'opera all'autorizzazione del condominio, in quanto una norma siffatta assume un valore recessivo rispetto al compimento di lavori indispensabili per un'effettiva abitabilità dell'immobile e quindi gli unici limiti da osservare sono quelli previsti dall'art. 1102 c.c., che peraltro deve essere applicato alla luce del principio di solidarietà condominiale.

È stato inoltre pure deciso (Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2015, n. 16486) che l'impugnazione della delibera di approvazione della costruzione di un ascensore nel vano scale mediante il taglio e la riduzione della scala condominiale deve essere respinta in quanto nell'identificazione del limite all'immutazione della cosa comune, previsto dall'art. 1120, comma 2, c.c., il concetto della sua inservibilità non può consistere nel semplice disagio subìto rispetto alla sua normale utilizzazione (che è coessenziale al concetto di innovazione), ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della cosa comune secondo la sua naturale fruibilità (Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15308); e che, dovendosi verificare ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., l'attitudine dell'installazione di un ascensore a recare pregiudizio all'uso o godimento delle parti comuni da parte dei singoli condomini, è necessario tenere conto anche del principio di solidarietà condominiale, per effetto del quale la coesistenza di più unità immobiliari in un unico fabbricato implica di per sé il contemperamento, al fine dell'ordinato svolgersi di quella convivenza che è propria dei rapporti condominiali, di vari interessi, tra i quali si deve includere anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, oggetto, peraltro, di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte loro, degli edifici interessati (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2012, n. 18334), con la precisazione che il diritto delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche costituisce un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione dell'edificio da parte dei disabili e quindi le disposizioni di legge devono essere applicate anche nel caso in cui nel fabbricato non vi siano disabili, mentre la loro eventuale presenza rafforza l'obbligo di applicazione della disciplina, senza però costituirne la condizione essenziale.

Il principio di solidarietà condominiale è stato enunciato anche riguardo alla installazione di un servoscala in un edificio (Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2016, n. 3858), con la precisazione che nelle controversie relative all'uso di dispositivi finalizzati all'eliminazione delle barriere architettoniche disciplinati dall'art. 2, comma 2, della l. n. 13/1989 - tra i quali è compreso il servoscala - la legittimazione a resistere in giudizio ed il correlato interesse devono essere riconosciuti pure in capo agli eredi del portatore di handicap nel cui interesse il dispositivo era stato pure installato, dal momento che la finalità pubblicistica sottesa alla normativa relativa alla eliminazione delle barriere architettoniche (che costituisce espressione del principio di solidarietà), determina l'irrilevanza, relativamente alla installazione di dispositivi inamovibili di accesso negli edifici, della presenza di condomini disabili e in tal modo impedisce di configurare il diritto al mantenimento e all'uso dei dispositivi cosiddetti provvisori, qualora siano già stati installati, come un diritto personale ed intrasmissibile che compete solo al condomino disabile e che si estingue con la morte dello stesso, in quanto la normativa in materia di eliminazione delle barriere architettoniche persegue, attraverso la tutela dell'interesse particolare dell'invalido, un interesse generale alla accessibilità agli edifici; e con la precisazione ulteriore che riguardo agli impianti cosiddetti provvisori come i servoscala, l'art. 2, comma 2, della l. n. 13/1989, prevede una forma di autotutela, consentendo al portatore di handicap di superare il rifiuto del condominio e di installare a sue spese servo scala o altre strutture mobili, ovvero di modificare l'ampiezza delle porte d'accesso e che, ai fini della installazione del dispositivo contro la barriera, risulta pertanto necessaria la presenza di un soggetto residente portatore di handicap anche al fine di poter percepire l'erogazione di contributi pubblici, mentre non è ugualmente necessario che vi sia una persona affetta da minorazione per la legittimità dell'utilizzo del dispositivo, che può servire contemporaneamente altri soggetti che vivono nel medesimo condominio.

Inoltre è stato precisato che ai fini della legittimità della deliberazione adottata dall'assemblea dei condomini ai sensi dell'art. 2 della legge n. 13/1989, l'impossibilità di osservare, in ragione delle particolari caratteristiche dell'edificio (nella specie, di epoca risalente), tutte le prescrizioni della normativa speciale diretta al superamento delle barriere architettoniche non comporta la totale inapplicabilità delle disposizioni di favore, finalizzate ad agevolare l'accesso agli immobili dei soggetti versanti in condizioni di minorazione fisica, qualora l'intervento (nella specie, installazione di un ascensore in un cavedio) produca, comunque, un risultato conforme alle finalità della legge, attenuando sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (Cass. civ., sez. VI/II, 26 luglio 2013, n. 18147)

In ogni caso anche con riferimento all'ascensore è stata dichiarata irrilevante, ai fini della installazione di dispositivi inamovibili di accesso negli edifici, l'effettiva presenza di condomini disabili (Cass. civ., sez. II, 15 ottobre 2012, n. 18334).

Sempre in applicazione del principio di solidarietà condominiale è stato deciso che l'interesse delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo quantomeno ad attenuare sensibilmente le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione, anche se non può eliminarlo del tutto (Cass. civ., sez. VI, 9 marzo 2017, n. 6129).

Nella giurisprudenza di merito, si segnala anche Trib. Firenze 19 gennaio 2016, la quale ha richiamato il principio di solidarietà condominiale, che determina il necessario contemperamento degli interessi dei condomini, nel dichiarare la legittimità della installazione di un ascensore nell'edificio richiesto da un portatore di handicap.

Da parte sua, Trib. Milano 12 novembre 2015, ha ritenuto nulla la delibera che aveva respinto la richiesta di prolungamento della corsa dell'ascensore già esistente dal piano attuale a quello superiore, in considerazione del fatto che non è necessaria una delibera che autorizzi il singolo condomino ad effettuare un uso più intenso del bene comune.

La Corte di Cassazione ha ritenuto invece che la condizione di inservibilità del bene comune all'uso o al godimento anche di un solo condomino, che, ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c. comporta il divieto dell'innovazione deliberata dagli altri condomini, sussiste anche nel caso in cui l'innovazione produca una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ricavava in precedenza dal bene (Cass. civ., sez. II, 29 novembre 2016, n. 24235); la Suprema Corte ha inoltre deciso che, quando il pregiudizio derivante dall'installazione di ascensore per gli altri condomini determina non l'assoluta impossibilità di un ordinario uso della scala comune, ma soltanto disagio e scomodità derivanti dalla relativa restrizione e la difficoltà di usi eccezionali della stessa, l'installazione dell'ascensore è legittima per effetto dei principi costituzionali della tutela della salute (art. 32 Cost.) e della funzione sociale della proprietà (art. 42 Cost.) (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2012, n. 2156).

La Corte ha, invece, dichiarato illegittima (Cass. civ., sez. II, 10 marzo 2016, n. 4726) l'installazione di un ascensore esterno quando la sua gabbia limita la visuale delle finestre private di qualche condomino, in quanto i poteri dell'assemblea fissati dall'art. 1135 c.c. non possono invadere la sfera di proprietà dei singoli condomini, tanto in ordine alle cose comuni quanto a quelle esclusive, a meno che non vi sia stata una specifica accettazione o nei singoli atti di acquisto o mediante approvazione del regolamento di condominio che la preveda; e ancora che pure l'occupazione di una porzione della parete e del suolo comune, mediante l'appoggio laterale e la base della gabbia, travalica il limite entro il quale ciascun partecipante alla comunione può, ai sensi dell'art. 1102 c.c., servirsi della cosa comune. In precedenza però era stato deciso sempre dalla Suprema Corte che l'installazione di un ascensore per eliminare le barriere architettoniche, realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento e rientra pertanto nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2014, n. 14809); e prima ancora che l'installazione di un ascensore realizzata da un condomino su parte di un cortile e di un muro comuni, deve considerarsi indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'edificio e della reale abitabilità dell'appartamento, e rientra, pertanto, nei poteri spettanti ai singoli condomini ai sensi dell'art. 1102 c.c., senza che, ove siano rispettati i limiti di uso delle cose comuni stabiliti da tale norma, rilevi, la disciplina dettata dall'art. 907 c.c. sulla distanza delle costruzioni dalle vedute (Cass. civ., sez. II, 3 agosto 2012, n. 14096).

E in senso analogo è stato giudicato illegittimo (Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2016, n. 13358) anche l'ascensore realizzato in un cortile interno di proprietà esclusiva ma senza osservare le distanze legali rispetto alla finestra dell'edificio limitrofo, precisando che mancano i presupposti per l'applicazione della normativa sulla eliminazione delle barriere architettoniche nei casi in cui l'opera viene realizzata non all'interno di un cortile comune, ma in un cortile di proprietà esclusiva, dato che l'art. 3, comma 1, della l. n. 13/1989 contempla, oltre ai cortili comuni o in uso comune a più fabbricati, anche i cortili interni indipendentemente dal regime dominicale, ma l'obbligo di rispettare le distanze deriva dall'art. 3, comma 2; ed è quindi nulla la delibera, che, sebbene adottata a maggioranza per l'installazione di un impianto di ascensore nell'interesse comune, sia lesiva dei diritti di un condomino sulle parti di sua proprietà esclusiva, con nullità che è sottratta al termine di impugnazione previsto dall'art. 1137, ultimo comma, c.c., potendo essere fatta valere in ogni tempo da chiunque dimostri di averne interesse, ivi compreso il condomino che abbia espresso voto favorevole (Cass. civ., sez. II, 24 luglio 2012, 12930).

Sempre in tema di distanze nella giurisprudenza di merito è stato deciso che è nulla la delibera con cui viene approvata l'installazione di un ascensore nel caso in cui vengano violate le norme di sicurezza e stabilità dell'edificio, in quanto l'opera configura un'innovazione vietata (Trib. Torino 14 giugno 2016) e che inoltre è nulla pure la delibera con cui viene approvata l'installazione di un ascensore nel caso in cui l'opera comporti inconvenienti alla concreta fruibilità delle rampe delle scale comuni, sebbene il progetto sia conforme alla normativa vigente (Trib. Roma 31 maggio 2016). Tuttavia l'accertamento dell'illegittimità di un intervento edilizio per violazione delle distanze legali, qualora venga in rilievo il tema del superamento delle barriere architettoniche, deve essere effettuato necessariamente alla luce del dettato della l. n. 13/1989(Cass. civ., sez. II, 10 aprile 2015, n. 7273).

La realizzazione delle opere secondo la giurisprudenza sull'art. 1102 c.c.

Come si anticipava all'inizio, nella situazione sopra riassunta sull'applicazione della l. n. 13/1989, può allora risultare utile ricorrere all'art. 1102 c.c. per l'installazione dell'ascensore e degli altri manufatti finalizzati all'abbattimento delle barriere architettoniche.

In questa prospettiva infatti la disciplina giuridica sugli ascensori si dimostra spesso meno penalizzante di quella che risulterebbe dalla applicazione della sola legge speciale (che pure era stata emanata proprio per ampliare le tutele già esistenti), dal momento che le norme codicistiche consentono l'installazione di un ascensore anche da parte di un solo gruppo di condomini o di un unico condomino senza passare attraverso l'assemblea, facendo ricorso all'art. 1102 c.c. che consente a ciascun condomino di utilizzare e modificare le parti comuni per installare - a sue esclusive spese ovviamente e senza coinvolgere gli altri condomini - ascensori, servoscala e altri apparecchi simili nella tromba delle scale (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1993, n. 1781); ed è stato chiarito che, riguardo ai limiti all'installazione dell'ascensore, il pregiudizio lamentato da alcuni condomini della originaria possibilità di utilizzare le scale e l'andito occupati dall'impianto non viola il divieto posto dall'art. 1120, comma 2, c.c., quando risulta un godimento migliore della cosa comune, seppure diverso da quello originario (Cass. civ., sez. IV, 29 aprile 1994, n. 4152).

D'altra parte costituisce un principio risalente e consolidato quello secondo cui nel condominio l'utilizzazione delle parti comuni con impianti al servizio esclusivo di un appartamento esige non solo il rispetto delle regole dettate dall'art. 1102 c.c., ma anche l'osservanza delle norme del codice civile in tema di distanze per evitare la violazione del diritto di altri condomini sulla parte di immobile di loro esclusiva proprietà; tale disciplina però non opera nell'ipotesi dell'istallazione di impianti che devono considerarsi indispensabili ai fini di una reale abitabilità dell'appartamento intesa nel senso che rispetti l'evoluzione delle esigenze generali dei cittadini e lo sviluppo delle moderne concezioni in tema di igiene, salvo l'apprestamento di accorgimenti idonei ad evitare danni alle unità immobiliari altrui (Cass. civ., sez. II, 5 dicembre 1990, n. 11695; Cass. civ., sez. II, 15 luglio 1995, n. 7752).

Ancora è stato affermato che l'art. 1120 c.c., nel prescrivere che le innovazioni della cosa comune siano approvate dai condomini con determinate maggioranze, tende a disciplinare l'approvazione di quelle innovazioni che comportano oneri di spesa per tutti i condomini, ma che, qualora non si debba procedere a tale ripartizione perché la relativa spesa viene assunta interamente a proprio carico da un condomino, trova applicazione la norma generale prevista dall'art. 1102 c.c., che contempla anche le innovazioni ed in forza della quale ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne uguale uso secondo il loro diritto, e, pertanto, può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa comune; con la conseguenza che, col concorso di tali condizioni, il condomino ha facoltà di installare a proprie spese nella tromba delle scale dell'edificio condominiale un ascensore, ponendolo a disposizione degli altri condomini, e può far valere il relativo diritto con azione di accertamento, in contraddittorio degli altri condomini che contestino il diritto stesso, indipendentemente dalla mancata impugnazione della delibera assembleare che abbia respinto la sua proposta al riguardo (Cass. civ., sez. II, 10 aprile 1999, n. 3508).

Va pure ricordato che l'installazione di un ascensore in un edificio in condominio che ne sia sprovvisto, può essere attuata, riflettendo un servizio suscettibile di separata utilizzazione, anche a cura e spese di taluni condomini soltanto, purché sia fatto salvo il diritto degli altri di partecipare in qualunque tempo ai vantaggi della innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione dello impianto ed in quelle di manutenzione dell'opera (Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2000, n. 1529).

In conclusione

A conclusione dell'indagine svolta fin qui si può dire che, in attesa di una nuova riforma del testo attuale dell'art. 2, comma 1, della l. n.13/1989, che ripristini la precedente maggioranza (che era più favorevole all'adozione della delibera avente per oggetto innovazioni dirette ad eliminare le barriere architettoniche negli edifici privati) prevista dal testo originario della disposizione, nella odierna situazione di differenze applicative e di sostanziale incertezza negli orientamenti giurisprudenziali emessi sulla legge speciale, una proficua alternativa per l'installazione in particolare degli ascensori, ma anche di servoscala, piattaforme mobili e altri manufatti simili, può essere quella del ricorso alla regola generale prevista dall'art. 1102 c.c. sull'uso della cosa comune, che implica anche la possibilità di una trasformazione sostanziale del bene condominiale per effetto della costruzione dell'ascensore.

Guida all'approfondimento

De Tilla, Installazione dell'ascensore e barriere architettoniche, in Arch. loc. e cond., 2016, 184;

Celeste, Il condominio alle soglie del 2000, in Riv. giur. edil., 2000, II, 39;

De Tilla, Installazione dell'ascensore e portatori di handicap, in Arch. loc. e cond., 2012, 404;

Bordolli, Ascensori per disabili, ecco le regole, in Dir. & giust., 2003, fasc. 33, 120;

Ditta, Ancora sul problema dell'ambito di applicazione della legge 9-1-1989, n. 13 (sull'eliminazione delle barriere architettoniche), in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, 649.

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