Peculato. Il titolare della ricevitoria che ritardi nel deposito delle somme riscosse commette reato?

Carmine Gatto
09 Gennaio 2018

La Corte di legittimità, nella pronuncia in commento, elimina ogni dubbio in ordine alla collocazione temporale della condotta tipica del peculato, anche in relazione a più azioni commesse nel tempo (come nel caso in esame) e traccia una via di certezza che rende più agevole comprendere quando un'azione entri nell'alveo di tale fattispecie.
Massima

Il peculato è reato istantaneo la cui consumazione si realizza nel momento in cui l'agente, entrato in possesso di un bene altrui per ragioni di ufficio, ne dispone uti dominus. Pertanto il reato si perfeziona nel momento in cui il pubblico funzionario non versa le somme nelle casse dell'ente pubblico entro il giorno stesso della riscossione o comunque entro il giorno a tal fine stabilito. Ne consegue che anche il semplice ritardo nel versamento delle somme riscosse vale ad integrare il delitto.

Il caso

L'imputata ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste, perfettamente conforme a quella resa in primo grado, con la quale è stata condannata per il reato di cui agli articoli 81, comma 2, e 314 c.p. per essersi appropriata, in qualità di titolare di una ricevitoria presso la quale è possibile rinnovare il bollo auto annuale, di somme riscosse quale pagamento delle tasse automobilistiche. La donna, non solo non ha versato le somme entro il termine convenzionalmente stabilito incorrendo in un semplice ritardo ma è stata addirittura messa in mora tramite raccomandata con la quale veniva invitata al pagamento di 21.580 euro non versati relativi a tre settimane contabili. A seguito dell'avviso è stato effettuato un versamento parziale: 5900 euro a fronte dei 21.580 dovuti.

Dalle indagini condotte dai giudici della cognizione è emerso che le somme destinate alla pubblica amministrazione erano state utilizzate dalla titolare della ricevitoria per il soddisfacimento di esigenze personali, quale il pagamento del canone di locazione del locale commerciale.

La difesa della donna ha dedotto, in un unico motivo, violazione di legge penale e vizio di motivazione in relazione ai commi 1 e 2 dell'art. 314 c.p. La ricorrente ha evidenziato che, in questa vicenda, sarebbe mancato l'elemento fondamentale del delitto di peculato ossia l'appropriazione, essendosi trattato di un “vuoto di cassa” da parte di un soggetto privato che ha assunto la qualifica di pubblico ufficiale e quindi di un banale ritardo nel versamento delle somme. La difesa insiste sulla circostanza che la donna avesse acceso una fideiussione a prima richiesta sicché l'obbligo di versare all'erario le somme non ha mai perso la sua connessione funzionale con l'interesse della pubblica amministrazione ad assicurare l'effettivo incasso del denaro da parte dell'Agenzia delle entrate.

La Corte di cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Innanzitutto la ricorrente sottopone al Supremo Consesso doglianze già avanzate nei primi due gradi di giudizio, ignorando completamente quanto emesso nelle sentenze precedenti sostanzialmente conformi tra loro.

I giudici di legittimità non si discostano molto dal ragionamento del merito ma chiariscono in maniera più incisiva quale sia il momento in cui l'attività dell'agente della riscossione integri il delitto di peculato.

Il soggetto autorizzato alla riscossione delle tasse, il quale non versi le somme di denaro ricevute nell'adempimento della funzione pubblica commette peculato a prescindere dall'utilizzo o meno di tale denaro o dall'eventuale profitto che possa trarne o meno.

Il mancato versamento configura già l'illecito, posto che le somme riscosse “entrano” nell'area di disponibilità della Pubblica Amministrazione già al momento della consegna all'incaricato dell'esazione.

La questione

La Corte di legittimità, nella pronuncia in commento, elimina ogni dubbio in ordine alla collocazione temporale della condotta tipica del peculato, anche in relazione a più azioni commesse nel tempo (come nel caso in esame) e traccia una via di certezza che rende più agevole comprendere quando un'azione entri nell'alveo di tale fattispecie.

In particolare, l'analisi del momento consumativo è effettuata in rapporto all'attività dei soggetti autorizzati alla riscossione delle tasse, sia i pubblici che i privati adibiti a tale incarico pubblico. Nell'ipotesi di mancato versamento del denaro dovuto alla pubblica amministrazione, ci si chiede se sia possibile discorrere di lieve ritardo o se una fideiussione (garanzia di pagamento per le tasse automobilistiche) possa giocare il ruolo di attenuante nella valutazione del comportamento del soggetto adibito alla riscossione.

Le soluzioni giuridiche

La quinta Sezione penale della Corte di cassazione nella sentenza in esame afferma, con disarmante chiarezza, che il denaro da riscuotere entra nella disponibilità della pubblica amministrazione nel momento della consegna all'incaricato dell'esazione. È questo l'orientamento che emerge dalla maggioranza delle sentenze del Supremo Consesso in materia di peculato in relazione al “maneggio” di denaro pubblico.

Secondo i principi consolidati in materia, nel concetto di appropriazione è compresa anche la condotta di distrazione in quanto «imprimere alla cosa una destinazione diversa da quella consentita dal titolo del possesso significa esercitare su di essa poteri tipicamente proprietari e quindi impadronirsene». La condotta tipica del peculato avente ad oggetto l'apprensione di denaro o di qualsiasi altra cosa fungibile, di genere o di quantità, il cosiddetto “vuoto di cassa”, ha il suo momento consumativo nell'attimo in cui l'agente si appropria della cosa, ancora prima della scadenza del rendiconto. Le intenzioni sottese all'animus del soggetto o fattori esterni non rilevano: se egli voglia restituire il denaro o le cose, soltanto una parte di essa, se sia scaduto il termine per la presentazione del rendiconto: la lesione del bene giuridico si realizza già con l'appropriazione (Cass. pen., Sez. VI, 30 dicembre 2006, n. 40673).

Il riferimento a fattori esterni è utile per escludere una qualsiasi attenuante alla condotta illegale di appropriazione. La necessità di definire il momento di realizzazione della condotta tipica del peculato mira a fornire una “linea guida” in quei giudizi in cui ogni elemento viene sfruttato dalla difesa per sminuire l'attività dell'agente, attenuare la sua condotta ed ottenere sconti di pena. Intenzioni postume di restituzione, termini non ancora scaduti, messe in mora non ancora notificate dovrebbero escludere l'illegalità dell'azione.

Nel caso di specie, addirittura, la difesa contesta la mancata considerazione da parte dei giudici di merito della fideiussione a prima richiesta accesa dall'imputata che giocherebbe un ruolo di “cuscinetto”, che non avrebbe interrotto il collegamento tra l'obbligazione verso l'erario e l'interesse dell'Amministrazione ad assicurarsi l'effettivo incasso. Anche in tale frangente gli Ermellini risultano chiari: la fideiussione è garanzia legale di pagamento posta a tutela della pubblica amministrazione per il servizio di riscossione delle tasse automobilistiche;l'istituto assume rilevanza soltanto sul piano civile e amministrativo, tenendo indenne il creditore in caso di mancato versamento del dovuto da parte del pubblico ufficiale; tale garanzia non assume nessun rilievo sul piano penale, laddove essa si attiva una volta che il versamento non sia stato compiuto dal pubblico ufficiale e, dunque, una volta che il reato di peculato si sia consumato.

L'istantaneità del delitto di peculato era sostenuta dalla Cassazione, già più di venti anni addietro. Dirimente è una pronuncia del 1980: «Il reato di peculato è reato istantaneo, il cui momento consumativo si verifica quando il soggetto attivo del reato compie un fatto che manifesti la sua volontà di tenere la cosa come propria e cioè nel momento stesso in cui si comporta, in relazione alla cosa stessa, non più come possessore ma come proprietario, ed il peculato avente ad oggetto cose di quantità come il danaro si realizza nel momento in cui l'agente si appropria dolosamente delle cose e dà questa una destinazione diversa». L'appropriazione dolosa dell'agente, connessa a ragioni di ufficio o servizio, è la “chiave di volta” che consente di sussumere determinate condotte all'articolo 314 c.p., irrilevante ai fini della consumazione del reato è la circostanza che l'agente abbia costituito un unico conto sul quale far confluire le somme, poiché l'appropriazione è momento ontologicamente e di fatto distinto dall'accreditamento delle stesse somme sul conto, rilevante solo ai fini di prova (Cass. pen., Sez. VI 16 maggio 2017, n. 42061).

Osservazioni

Un orientamento consolidato del Supremo Consesso dimostra come la riconoscibilità del delitto di peculato sia generalmente ascritta alla compresenza di due elementi: la mancata immediata restituzione delle somme da parte dell'agente e l'inverosomiglianza che le somme fossero trattenute per negligenza o disattenzione soprattutto quando in sede di indagini emergono le motivazioni di ordine personale che hanno condotto all'azione.

Questo “passaggio” di testimone da esattore a pubblica amministrazione non deve essere considerato un'obbligazione autonoma e distinta nei confronti della P.A. a carico dell'agente della riscossione. Tale soggetto, pubblico o privato che sia, è incardinato nell'organigramma dell'Amministrazione per conto della quale opera ed è, quindi, depositario di un potere pubblicistico che, per sole ragioni di pratica, è allo stesso affidato.

I giudici di legittimità osservano che, in tema di peculato, quando il denaro è destinato alla pubblica amministrazione e il soggetto fisico che nel suo interesse agisce lo riceve a tale titolo dal privato, il possesso conseguito rimane qualificato dal fine pubblico cui il bene risulta destinato. Ne consegue che detta somma entra immediatamente nella disponibilità e nel patrimonio della pubblica amministrazione nel momento stesso della riscossione e della consegna al pubblico ufficiale (Cass. pen. Sez. VI, 16 maggio 2017, n. 42061).