La revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile

11 Gennaio 2018

La disciplina dell'istituto della revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile è rinvenibile in una serie di norme del Testo Unico delle spese di giustizia: il capo VII (artt. 112-114) ne individua presupposti ed effetti nell'ambito del processo penale, mentre gli artt. 127, commi 3 e 4, e 136 regolano, gli stessi profili, nei processi civile, amministrativo, contabile e tributario. Tali disposizioni risultano lacunose e non sono sempre facilmente raccordabili tra loro, come si avrà modo di vedere meglio nelle prossime pagine, nelle quali il tema sarà affrontato con particolare riguardo al processo civile.
L'oggetto della revoca

Oggetto del provvedimento di revoca può essere, per espressa previsione normativa (art. 136, T.U. spese giustizia), il provvedimento di ammissione al beneficio che sia stato adottato in via provvisoria, ai sensi dell'art. 124 T.U. spese giustizia dal Consiglio dell'Ordine degli avvocati competente (si tratta del Consiglio dell'Ordine del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il procedimento o competente a conoscere il merito).

Un'interpretazione analogica della norma sopra citata consente di affermare che è revocabile, negli stessi casi da essa contemplati, anche il decreto che il magistrato competente per il giudizio può emettere ai sensi dell'art. 126, ultimo comma, T.U. spese giustizia, su richiesta dell'interessato, nel caso in cui il Consiglio dell'Ordine degli avvocati abbia respinto o dichiarato inammissibile l'istanza di ammissione al patrocinio.

Anche questo provvedimento, infatti, è adottabile in via provvisoria, cosicchè resta ferma la possibilità di rivalutare nel corso del giudizio i presupposti di ammissione.

Presupposti processuali: adottabilità ad iniziativa di parte o d'ufficio, autorità giudiziaria competente, limite temporale e natura del procedimento

Legittimato a richiedere il provvedimento di revoca è l'Ufficio finanziario competente, che potrà farlo, mediante istanza indirizzata al magistrato competente, sia nel caso in cui le prospettazioni dell'istante, relative ai presupposti di ammissione al beneficio, siano risultate non veritiere (ai sensi del comma 3 dell'art. 127 T.U. spese giustizia) sia in caso di sopravvenuto mutamento delle sue condizioni di reddito (ai sensi del comma 4 della stessa norma).

Proprio per consentire all'Ufficio finanziario tutti i necessari accertamenti il primo comma della norma sopra citata prevede che ad esso sia inviata copia dell'atto con il quale sia stata accolta l'istanza di ammissione al patrocinio.

Non pare, invece, che possa riconoscersi analoga, autonoma legittimazione alla Guardia di Finanza, che pure, ai sensi dell'ultimo comma della norma in esame, può procedere ex officio a verificare la permanenza delle condizioni di reddito dell'istante. Si deve, invece, ritenere che tale organo possa notiziare l'Ufficio finanziario in caso di esito positivo della predetta verifica affinchè lo stesso richieda al giudice la revoca del beneficio.

Occorre, ora, stabilire quale sia il giudice competente ad emettere il provvedimento di revoca e, in secondo luogo, se egli possa assumerlo d'ufficio in tutte le ipotesi contemplate dalla legge e, dunque, in caso di mancanza originaria delle condizioni o dei presupposti di ammissibilità dell'istanza (ai sensi dell'art. 136, comma 2, T.U. spese giustizia) ovvero in caso di modifica sopravvenuta delle condizioni reddituali (ai sensi dell'art. 136, comma 1, T.U. spese giustizia).

Con riguardo alla competenza, il primo comma dell'art. 136 T.U. spese giustizia fa riferimento al «giudice che procede», che è agevole individuare nel giudice che tratta il processo nel momento in cui si realizza una delle ipotesi che possono giustificare la revoca del beneficio. Potrà, quindi, trattarsi anche del giudice di appello, rispetto ad un'ammissione relativa al giudizio di primo grado e intervenuta dopo la definizione di tale giudizio ovvero rispetto ad un'ammissione disposta in grado di appello.

Tale conclusione pare pienamente coerente con la previsione di cui all'art. 83, comma 2, secondo periodo, T.U. spese giustizia che attribuisce al giudice competente il potere di liquidazione dei compensi dovuti per le fasi o i gradi anteriori del processo, se il provvedimento di ammissione è intervenuto dopo la loro definizione.

L'art. 136, comma 1, T.U. spese giustizia, a differenza della norma corrispondente relativa al processo penale (art.112, terzo comma, T.U. spese giustizia), nulla dice rispetto al caso in cui le predette evenienze si verifichino durante la pendenza del giudizio di cassazione ma deve ritenersi che la Suprema Corte non possa provvedere in merito, così come, ai sensi dell'art. 83, comma 2, prima parte T.U. spese giustizia, non può procedere alla liquidazione del compenso per la fase svoltasi davanti a sé. La lacuna è però colmabile ricorrendo ad un'interpretazione analogica della norma dettata per il processo penale, cosicchè si può affermare che, anche con riguardo al caso in esame, la competenza spetti all'autorità giudiziaria che ha emesso il provvedimento impugnato.

Quanto all'ulteriore questione se il giudice possa disporre la revoca del beneficio di propria iniziativa nel caso di mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni reddituali, se si ha riguardo al solo disposto dell'ultimo comma dell'art. 127 T.U. spese giustizia si potrebbe pensare che l'autorità giudiziaria possa chiedere solo la verifica delle condizioni reddituali e che, all'esito di essa, la revoca del provvedimento vada richiesta solo dall'ufficio finanziario.

A diversa conclusione si perviene, invece, considerando l'iter che ha subito la disposizione corrispondente per il processo penale, ossia l'art. 112. Questa norma, infatti, al primo comma lett. d), prevedeva, nella sua versione originaria, che la revoca per la mancanza originaria o sopravvenuta delle condizioni di reddito potesse essere disposta dal giudice solo su richiesta dell'ufficio finanziario. Successivamente, il testo normativo è stato modificato nella versione attuale che attribuisce al giudice il potere di revocare – d'ufficio o su richiesta dell'Ufficio finanziario competente – l'ammissione al patrocinio.

Tirando le fila del discorso, si può, dunque, affermare che, in mancanza di un'attribuzione in via esclusiva all'Ufficio finanziario del potere di richiedere la revoca del patrocinio ammesso in sede civile e dopo la modifica nei termini predetti della disposizione contenuta nell'art. 112, comma 1 lett. d) T.U. spese giustizia, non può più dubitarsi che la stessa regola sopra detta valga nel processo civile.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, allora, il disposto dell'art. 127, ultimo comma, T.U. spese giustizia va inteso, più correttamente, nel senso che l'autorità giudiziaria può sempre disporre – d'ufficio o su richiesta dell'Ufficio finanziario - verifiche sulle condizioni reddituali della parte ammessa al beneficio, a prescindere dagli elementi di valutazione di cui disponga e che possono fondarsi anche sulle risultanze istruttorie del giudizio che tratta. Il giudice sarà tenuto a prendere in considerazione tali elementi per sottrarsi ad un possibile rilievo di responsabilità di tipo contabile.

Né l'art. 127 né l'art. 136 T.U. spese giustizia pongono limiti temporali all'iniziativa dell'ufficio finanziario o del giudice, a differenza dell'art. 112 lett. d), T.U. spese giustizia che, per la revoca del beneficio in sede penale, lo fissa in cinque anni dalla definizione del processo.

L'art. 127, ultimo comma T.U. spese giustizia, infatti, utilizzando l'espressione «in ogni tempo», pare consentirla a tempo indeterminato. A ben vedere, un limite temporale è però ricavabile dal primo comma dell'art. 136 T.U. spese giustizia che, oltre ad attribuire rilievo alle modifiche reddituali che sopravvengano nel corso del giudizio, come detto, individua nell'autorità giudiziaria procedente quella competente ad adottare il provvedimento di revoca, cosicchè l'ultimo momento utile per la decisione in esame è quello della pendenza del giudizio, ma non del grado, rispetto al quale è stato adottato il decreto di ammissione. Questa soluzione non manca di sollevare perplessità laddove essa sembrerebbe precludere la revoca nelle ipotesi (invero nella pratica non infrequenti) in cui il giudizio sia stato definito con sentenza passata in giudicato e, tuttavia, si debba, ancora, provvedere sull'istanza di liquidazione dei compensi del procuratore della parte ammessa al beneficio. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi in cui i presupposti della revoca si verifichino durante lo svolgimento del giudizio di legittimità. Dopo la definizione di quel grado di giudizio con il deposito della sentenza di Cassazione, il procuratore della parte ammessa al beneficio presenta istanza di liquidazione ex art. 83, comma 2 T.U. spese giustizia al giudice di merito che ha pronunciato la sentenza impugnata e questi si avvede che si é verificata una delle ipotesi previste dall'art. 136 T.U. spese giustizia. In questo caso la giurisprudenza di merito ha ritenuto che il giudice adito ex art. 83, comma 2 T.U. spese giustizia può esercitare il potere di revoca dell'ammissione, sebbene il processo sia stato già definito (App. Catanzaro, 14 dicembre 2016).

Presupposti sostanziali. Le modifiche sopravvenute delle condizioni reddituali

Nel paragrafo precedente si è detto come anche le risultanze istruttorie del giudizio in cui una delle parti è stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato possono dar conto di modifiche sopravvenute delle sue condizioni di reddito e, quindi, giustificare la revoca del beneficio.

Può escludersi che tra tali condizioni sia ricompresa anche l'emissione, all'esito del processo rispetto al quale vi sia stata l'ammissione al beneficio, di una sentenza di condanna al pagamento di somme di denaro in favore della parte ammessa al beneficio o la conclusione di una transazione che preveda un pagamento a favore di quella stessa parte. Infatti, a prescindere dalla considerazione che simili evenienze non comportano necessariamente un arricchimento per la parte ammessa al patrocinio, (perché non è detto che la parte soccombente versi effettivamente la somma dovuta), esse, ai sensi dell'art. 134, comma 2, del T.U. spese giustizia, consentono allo Stato di esercitare la rivalsa nei confronti della parte ammessa al beneficio per le spese anticipate, purchè quest'ultima abbia effettivamente conseguito il sestuplo delle spese anticipate (non è richiesto che la sentenza sia passata in cosa giudicata) e a condizione che le spese anticipate non siano recuperabili dalla parte soccombente (lo si evince dall'art. 134, comma 1, T.U. spese giustizia). Le medesime considerazioni valgono rispetto al caso in cui la parte ammessa al patrocinio benefici di un provvedimento interinale (ad esempio ai sensi dell'art. 186-bis o dell'art. 186-ter c.p.c.) che venisse emesso nel corso del giudizio.

Segue. La mancanza originaria delle condizioni di reddito

Il giudice procedente è chiamato a valutare, ai sensi dell'art. 136, comma 2, T.U. spese giustizia, la sussistenza ab origine di tutti i presupposti per l'ammissione, non solo di quello reddituale, e, proprio al fine di consentirgli tale verifica, l'art. 126, comma 2, T.U. spese giustizia prevede che copia del provvedimento di ammissione sia trasmesso al magistrato (da individuarsi nel magistrato al quale è stato assegnato il processo rispetto al quale la parte è stata ammessa al beneficio). Alcune volte, tale norma non viene rispettata nei casi in cui l'ammissione provvisoria sia stata disposta dal Consiglio dell'Ordine (anche perché spesso all'atto dell'ammissione da parte di tale organo non vi è ancora un giudizio pendente). É, invece, importante che l'autorità giudiziaria richieda al Consiglio dell'Ordine non solo la copia del provvedimento di ammissione, ma anche la copia dell'istanza di ammissione (compresi i documenti allegati), per valutare la sussistenza dei requisiti di ammissibilità di essa, requisiti che il Consiglio dell'Ordine può erroneamente valutare o non essere in grado di valutare correttamente al momento della domanda. Risponde alla stessa esigenza il disposto dell'art. 79, ultima comma, T.U. spese giustizia, anch'esso incluso tra le disposizioni generali, che prevede che il giudice procedente possa richiedere all'interessato di produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto indicato nell'istanza.

L'esame del giudice deve spingersi fino alla verifica dei presupposti per la concessione del patrocinio a spese dello Stato, anche sotto il profilo della enunciazione delle ragioni di fatto e diritto che il richiedente intende spendere nel processo, di primo o secondo grado, enunciazione che è richiesta a pena di inammissibilità dell'istanza di ammissione al patrocinio dall'art. 122 T.U. spese giustizia.

Quest'ultima norma, avendo la finalità di mettere in condizioni il Consiglio di esprimere il suo giudizio, richiede che l'istanza contenga una dettagliata e puntuale esposizione degli elementi di fatto, nonché dei fatti e/o documenti di prova, ovvero dei modi in cui l'istante intende dimostrare i fatti dedotti. Non è certo necessaria l'elencazione circostanziata dei mezzi di prova demandati al difensore, anche in considerazione del fatto che il richiedente è quasi sempre privo della necessaria competenza tecnica.

Segue. La mala fede e la colpa grave

L'art. 136, comma 2 T.U. spese giustizia prevede come ipotesi di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato il fatto che «l'interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave».

Si tratta di ipotesi distinta da quella di «manifesta infondatezza della pretesa», come è stato opportunamente evidenziato dalla Corte costituzionale nell'ordinanza 17 luglio 2009, n. 220, nella quale si è osservato che «il legislatore ha previsto sia una valutazione ex ante del requisito della non manifesta infondatezza (da compiersi al momento della presentazione della domanda, con rigetto della stessa nei casi in cui, sin dall'origine, l'istante voglia far valere una pretesa palesemente infondata); sia la revoca, ex post, della ammissione al beneficio quando, a seguito del giudizio, risulta provato che la persona ammessa ha agito o resistito con mala fede o colpa grave».

La “mala fede” o la “colpa grave”, richieste dall'art. 136 T.U. spese giustizia ai fini della revoca, sono pienamente idonea ad integrare, in astratto, la fattispecie di responsabilità processuale aggravata ex art. 96, comma 1 c.p.c..

La revoca per mala fede o colpa grave prescinde dall'esistenza di una condanna per lite temeraria e, pertanto, può essere pronunciata, anche in assenza di una domanda ex art. 96 c.p.c..

In altre parole, la revoca è fondata sulla semplice, oggettiva esistenza della fattispecie di malafede o colpa grave, anche se essa non generi una specifica responsabilità aggravata, dichiarata dal giudice su domanda della controparte. Tale esistenza è accertata ex officio dal giudice.

Sul contenuto delle nozioni di malafede e colpa grave è sufficiente richiamare la giurisprudenza formatasi sul punto: malafede è la coscienza dell'infondatezza della domanda o dell'eccezione; colpa grave è l'inescusabile ignoranza della inesistenza del diritto sostanziale dedotto in causa (Cass. civ., sez. lav., 6 luglio 2007, n. 13269; Cass. civ., sez. lav., 27 novembre 2007, n. 24645; conforme Cass. civ., sez. III, 30 aprile 2010, n. 10606).

Effetti della revoca dell'ammissione al patrocinio

Gli effetti della revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile sono definiti dall'ultimo comma dell'art. 136 T.U. spese giustizia e la Corte di cassazione ha avuto modo di affermarlo in una recente pronuncia, secondo la quale: «la revoca del decreto di ammissione ha effetto dal momento dell'accertamento delle modificazioni reddituali indicato nel provvedimento di revoca e in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva. A sua volta, il d.P.R. n. 115/2002, sempre nell'art. 136, nel prevedere che lo Stato ha, in ogni caso, diritto di recuperare in danno dell'interessato le somme eventualmente pagate successivamente alla revoca del provvedimento di ammissione, non pone alcuna distinzione di regime fra patrocinato e patrocinatore. Deve, pertanto, ritenersi che la revoca ha come effetto quello di ripristinare retroattivamente l'obbligo della parte assistita in giudizio di sopportare personalmente le spese della sua difesa (restando immutato il rapporto di rappresentanza e difesa nel processo che si fonda sulla designazione del difensore da parte del soggetto precedentemente ammesso al patrocinio a spese dello Stato»(Cass. civ., sez. II, 3 gennaio 2013, n. 65, in Diritto & Giustizia, 2013. 26).

É ora opportuno svolgere alcune considerazioni in ordine all'efficacia del provvedimento di revoca della revoca. Pur in mancanza di una previsione specifica, deve ritenersi che detta efficacia corrisponda a quella del provvedimento revocato e, quindi, quando la revoca sia stata determinata da una modifica delle condizioni reddituali, i suoi effetti risalgono al momento in cui il presupposto per la revoca venne ravvisato erroneamente. In tutti gli altri casi il provvedimento retroagisce fino al momento dell'originaria ammissione, determinando la reviviscenza dell'originario provvedimento di ammissione in via provvisoria e, quindi, quando la revoca sia stata determinata da una modifica delle condizioni reddituali, i suoi effetti risalgono al momento in cui il presupposto per la revoca venne ravvisato erroneamente. In tutti gli altri casi il provvedimento retroagisce fino al momento dell'originaria ammissione, determinando la reviviscenza dell'originario provvedimento di ammissione in via provvisoria.

Il procedimento di opposizione alla revoca

Ad eccezione di quanto previsto, per il processo penale, all'art. 113 T.U. spese giustizia, non si rinviene nessuna altra indicazione sul rimedio esperibile avverso il provvedimento di revoca.

Tale rimedio è, tuttavia, individuabile nell'opposizione ex art. 170 T.U. spese giustizia, atteso che la giurisprudenza di legittimità ne ha riconosciuto la portata generale, valevole per tutti i provvedimenti per i quali non sia prevista una disciplina specifica (Cass. civ., sez. I, 23 giugno 2011, n. 13807, in Giust. civ. Mass., 2011, 6, pag. 941; nello stesso senso Cass. civ., sez. VI, 23 settembre 2013, n. 21685. A diversa conclusione è giunta, invece, Cass. civ., sez. VI, 15 dicembre 2011, n. 26966, secondo cui «al provvedimento di revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nei giudizi civili, in mancanza di espressa previsione normativa, sono applicabili per analogia le norme dettate in materia di procedimenti penali, le quali, in virtù del combinato disposto degli artt. 113 e 112, comma 1, lettera d), d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, prevedono l'impugnazione del decreto di revoca con il ricorso per cassazione ove la revoca avvenga d'ufficio o su richiesta dell'ufficio finanziario, dovendo negli altri casi il provvedimento essere impugnato con ricorso al presidente del tribunale o della Corte d'appello ai quali appartiene il magistrato che ha emesso il decreto di revoca».

La legittimazione a promuovere tale giudizio, da proporsi nelle forme del rito sommario di cognizione, spetta necessariamente al soggetto che ha subito la revoca.

Problematica risulta, invece, l'individuazione del soggetto passivamente legittimato.

La Cassazione a Sezioni Unite (Cass. civ., Sez. Un., 29 maggio 2012, n. 8516), con riferimento al procedimento di opposizione alla liquidazione, ha escluso la legittimazione passiva dell'Agenzia delle Entrate attribuendola, invece, al Ministero della Giustizia sulla base di due considerazioni: da un lato, ha negato la possibilità di applicare analogicamente il disposto dell'art. 99, comma 2 T.U. spese giustizia (dettato per il processo penale), sul presupposto che tale norma sia ricollegabile a quella che consente all'Ufficio finanziario di verificare di propria iniziativa il requisito del reddito della parte ammessa al beneficio; dall'altro lato, ha osservato che la legge istitutiva dell'Agenzia delle Entrate non consente di riconoscerle alcuna funzione di erogazione dei compensi dovuti agli ausiliari del giudice o ai difensori officiati della difesa in regime di patrocinio a spese dello Stato

Un altro rilevante problema posto dalla nuova disciplina è quello della definizione del termine per proporre l'opposizione. L'art. 34, comma 17, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150, nel riformulare e, in parte, abrogare l'art. 170 T.U. spese giustizia, ha eliminato la previsione del termine di venti giorni, decorrenti dalla comunicazione del provvedimento per l'instaurazione del giudizio di opposizione.

Ci si è chiesti, quindi, se tale termine debba ancora considerarsi esistente ovvero se sia necessario individuarne un altro.

In proposito sono state prospettate quattro diverse soluzioni.

Secondo la prima, il legislatore ha omesso volutamente l'indicazione del termine perché ha voluto svincolare definitivamente il procedimento di opposizione dal giudizio principale, portando alle estreme conseguenze la sua qualificazione come un autonomo giudizio a cognizione piena, avente ad oggetto l'accertamento del diritto soggettivo alla “spesa di giustizia”. La conseguenza sarebbe che l'opposizione può essere proposta entro il termine ordinario di prescrizione ex art. 2946 c.c., ossia entro dieci anni dalla pubblicazione del decreto.

Secondo un'altra opinione, poiché nei processi “impugnatori” ricondotti al rito sommario il termine per agire in giudizio è di solito determinato in trenta giorni, esso è applicabile analogicamente anche al procedimento di opposizione ex art. 170 T.U. spese giustizia.

Una terza opzione è quella che reputa l'opposizione soggetta al termine e alle forme del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, come affermato in passato dalla giurisprudenza per le opposizioni avverso i decreti di liquidazione concernenti gli ausiliari diversi da quelli contemplati dalla l. 8 luglio 1980, n. 319.

Altra soluzione è quella di continuare a ritenere l'opposizione soggetta al termine di venti giorni precedentemente previsto, atteso che dalle relazioni di accompagnamento e dai pareri delle Commissioni Parlamentari non risulta la volontà di abrogarlo o modificarlo. A conforto di tale esegesi va evidenziato che il predetto termine continua ad essere previsto per l'opposizione dall'art. 99 T.U. spese giustizia che disciplina un procedimento di opposizione sovrapponibile a quello disciplinato più in generale dall'art. 170 T.U. spese giustizia.

Pur in mancanza di una norma espressa si deve ritenere che il giudice dell'opposizione decida in composizione monocratica, anche in caso di opposizione avverso un decreto adottato dal giudice collegiale, sulla scorta di quanto affermato dalla giurisprudenza con riguardo all'art. 170 (Cass. pen., Sez. Un., 30 gennaio 2007, n. 6816, in Arch. Nuova proc. pen. 2007, pag. 479).

Tale conclusione va coordinata con la previsione di cui all'art. 15, comma 2, del d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 e, pertanto, la decisione del ricorso spetta al capo dell'ufficio giudiziario cui appartiene il magistrato che ha emesso il provvedimento opposto.

Se il provvedimento è emesso dal giudice di pace, il ricorso va proposto al presidente del tribunale.

L'opposizione alla revoca, al pari del giudizio di opposizione a liquidazione, secondo la ricostruzione più convincente, ha natura di giudizio contenzioso autonomo, in quanto dà luogo ad una controversia su diritti soggettivi patrimoniali, relativa alla sussistenza dei presupposti per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2006, n. 7633, in Giust. Civ., 2007, pag. 933).

Alcune considerazioni di carattere generale possono essere svolte a conclusione di queste brevi note sulla revoca dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo civile.

Lo scarno ordito normativo che disciplina l'istituto consente di enucleare due diverse funzioni della revoca: la prima è quella di controllo vuoi della sussistenza ab origine vuoi della permanenza nel tempo delle condizioni necessarie per l'ammissione al patrocinio (art. 136, commi 1 e 2, T.U. spese giustizia); la seconda (art. 136, comma 2, T.U. spese giustizia) è una funzione sanzionatoria, volta, cioè, a comminare la cessazione dal beneficio nei casi di abuso processuale (dolo e colpa grave).

L'esercizio del potere di revoca del patrocinio garantisce, da un lato, che l'accesso alla difesa a spese dello Stato sia assicurato a chi effettivamente si trovi nelle condizioni di non abbienza previste dalla legge, dando così piena attuazione all'art. 24 Cost.; dall'altro, è uno strumento che consente di vigilare affinchè il beneficio sia destinato al soddisfacimento dell'interesse della giustizia e al complessivo buon andamento del sistema (art. 96 Cost.), evitando, così, abusi e utilizzi impropri delle risorse pubbliche.

Guida all'approfondimento
  • Luiso, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in www.judicium.it;
  • M. Vaccari, La revoca del patrocinio a spese dello Stato nel processo civile alla luce di alcuni orientamenti giurisprudenziali inediti, p. 12, in www.judicium.it.

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