La cessazione della locazione: disdetta e diniego di rinnovo

Ladislao Kowalsky
11 Gennaio 2018

Il termine disdetta è abitualmente utilizzato per indicare la comunicazione di finita locazione ma anche il c.d. diniego di rinnovo. Le locazioni ad uso diverso, sin dal 1978 e quelle abitative dal 1998, sono soggette, alla prima scadenza contrattuale, all'obbligatorio rinnovo, il quale può essere negato dal locatore solo a mezzo diniego di rinnovo. Al contrario quando il conduttore intenda far cessare la locazione alla scadenza o il locatore alle scadenze successive alla prima, la volontà negoziale sarà espressa con la disdetta.
Il quadro normativo

Il sistema delle locazioni, sia abitativo che ad uso diverso, è improntato al principio di tacita rinnovazione. Fanno eccezione quei rapporti che nascono già predeterminati nella durata. Si pensi ai contratti transitori sia abitativi che ad uso diverso:

  • i primi, transitori, sono quelli di cui all'art. 5 della l. n. 431/1998 disciplinati dal decreto, a seguito della convenzione nazionale oggi il dm Infrastrutture e Trasporti 16 gennaio 2017, art. 2 (G.U. n. 62 del 15 marzo 2017). La durata non deve essere superiore a 18 mesi e deve essere espressa la specifica indicazione delle esigenze di transitorietà. Tra le abitative, a scadenza, vanno ricordate le locazioni c.d. convenzionate. Quelle, pertanto, di cui all'art. 2, comma 5, della l.n. 431/1998 caratterizzate dalla durata minima di anni 3+2. Sullo specifico rapporto, infatti, in mancanza di trattativa per la rinnovazione alla prima scadenza (secondo Cass. civ., sez. III, 4 agosto 2016, n. 16279), la locazione verrebbe a cessare in corrispondenza della stessa.

Altra deroga alla durata, per gli usi diversi, è prevista dalla novella (art. 18, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito nella l. 11 novembre 2014, n. 164) che ha introdotto il comma 3 all'art. 79 della l. n. 392/1978. Si tratta delle c.d. grandi locazioni caratterizzate da un importo del canone annuale superiore ad € 250.000,00. Per quelle locazioni, infatti, è prevista la possibilità di deroga a tutte le disposizioni di cui alla legge speciale. Pertanto, anche ai termini di durata e scadenza senza rinnovo tacito;

  • per le seconde, ad uso diverso, dispone l'art. 27, comma 5,della l. n. 392/1978, laddove è ammissibile la durata più breve - rispetto a quella legale minima di 6 o 9 anni con obbligatorio rinnovo alla prima scadenza salve le richieste motivate - quando l'attività esercitata nell'immobile abbia natura transitoria.

A parte tali ipotesi, come detto, l'ordinario regime di durata delle locazioni è quello della rinnovazione tacita in mancanza di manifestazione contraria che le parti possano esprimere per far cessare il rapporto. La disposizione è rilevante per i suoi evidenti effetti.

Stante, infatti, l'altrettanto importante regime di durate legale minima delle locazioni soggette alle leggi speciali, la mancata attenzione alla scadenza determina il rinnovarsi del rapporto per i rispettivi termini di durata.

Il principio di rinnovo tacito nel caso di mancata disdetta o diniego è previsto: per le abitazioni all'art. 2, commi 1 e 5,della l. n. 431/1998, giusta precisazione di cui sopra e per le locazioni ad uso diverso dall'art. 28 della l. n. 392/1978.

Disdetta e diniego

L'atto negoziale necessario, quindi, per far cessare il rapporto passa abitualmente sotto il nome di disdetta. Tuttavia per il rispettivo contenuto, per le conseguenze negoziali e processuali della manifestazione di volontà, si tratta di due atti diversi tra loro: la disdetta ed il diniego di rinnovo alla prima scadenza.

Ci si deve riferire, in relazione alle due distinte ipotesi, oltre che al tipo di locazione anche alla sua data di scadenza. A seguito della riforma delle locazioni abitative di cui alla l.n. 431/1998, si è addivenuti ad una sorta di parificazione della disciplina delle scadenze contrattuali. In ambedue i casi, infatti, è prevista una prima tornata locativa (anni 4, 6 o 9, quindi durata minima), alla cui scadenza vi è l'obbligatorio rinnovo del rapporto.

Si tratta di una forma di tutela che il legislatore ha riservato:

  • nelle abitazioni, per la tutela del diritto alla casa e ad una stabile residenza;
  • per l'uso diverso, nel caso rafforzato anche da altre previsioni normative come l'indennità e la prelazione, a tutela dell'impresa.

L'evidente attenzione riservata alla parte conduttrice è, tuttavia, contemperata, a favore di parte locatrice, dalla possibilità di far cessare il rapporto a fronte di specifiche esigenze puntualmente previste dalla normativa.

Ferme, quindi, le disposizioni di principio a valere per ambedue le discipline locatizie (durata legale, obbligo di rinnovo alla prima scadenza, libertà di disdetta per le scadenze successive), diversi sono i contenuti delle comunicazioni, i termini di diniego e le motivazioni a sostegno delle medesime. Si dovranno quindi esaminare le due distinte ipotesi ricordando che per le abitazioni il termine di diniego o di disdetta è di mesi 6 mentre negli usi diversi è di mesi 12.

La disdetta

La disdetta c.d. semplice o a regime libero (Cass. civ., sez. III, 7 gennaio 2011, n. 263) è atto negoziale ammissibile alle scadenze non vincolate dall' obbligatorio rinnovo. La manifestazione è diretta ad evitare tale effetto per pari durata ed alle medesime precedenti condizioni.

Si tratta, sotto il profilo della natura giuridica, di un tipico atto unilaterale, potestativo e recettizio ex artt. 1334 e 1335 c.c. Pertanto, una volta che sia giunto tempestivamente a conoscenza del destinatario, fa cessare la locazione alla sua successiva scadenza (Trib. Roma 27 settembre 2012, sulla necessità di precisa individuazione dei destinatari).

La disdetta, secondo antica definizione, non deve contenere formule sacramentali. È sufficiente, infatti, che la dichiarazione ivi contenuta fissi in maniera chiara, esplicitandola senza equivoci, la volontà del locatore di cessare il rapporto.

In altre parole deve essere espressa con una manifestazione che indichi la volontà di non proseguire nel rapporto.

Tale precisazione ha una sua rilevanza.

È frequente, infatti, soprattutto nelle locazioni al cui cessare sorgono obblighi particolari (indennità per finita locazione, alla prelazione per la nuova locazione ed altro), che il locatore utilizzi formule ambigue. A ciò si è spesso indotti al fine di manifestare la volontà di proseguire il rapporto ma a condizioni diverse. Da tale incertezza di contenuto, quindi, possono scaturire situazioni di conflitto con posizioni contrastanti:

  • da una parte il conduttore, non interessato al proseguimento che ne approfitta per considerare la comunicazione come disdetta e chiedere, quindi, le indennità;
  • dall'altra parte il locatore che neghi tale funzione proponendo la comunicazione quale mera espressione di eventuali modifiche dei contenuti contrattuali escludendo la volontà diretta a far cessare il rapporto.

Sotto il profilo della forma della comunicazione, abitualmente quella della raccomandata, la normativa distingue:

  • per le abitazioni alle scadenze semplici e libere, l'art. 2, comma 1, parte finale, della l. n. 431/1998. Fermi, ovviamente, i dinieghi di rinnovo di cui al successivo paragrafo. Nella citata norma il legislatore suggerisce, alla seconda scadenza, una trattativa fra i contraenti. Qualora la stessa non sia seguita da accordo per il rinnovo, ciò comporterà la cessazione del rapporto. Evidente, nel caso, che la fine della locazione sarà conseguente all'esito negativo della trattativa che non potrà mai considerarsi quale rinnovazione del contratto anche in assenza di espressa disdetta «semplice». Nel caso, pertanto, la stessa sarà sostituita dalla comunicazione a mezzo raccomandata per attivare la trattativa per il rinnovo ed al fallimento della trattativa medesima. Circa la raccomandata, non essendo stata prevista la nullità, si ritengono ammissibili forme equipollenti (Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2016, n. 11808).

Ferma tale procedura, la citata parte finale dell'articolo prevede la tacita rinnovazione in caso di mancata comunicazione. Pertanto, ancorché la procedura sia espressa in forma letterale non felice, va inteso che l'eventuale disdetta libera farà cessare il rapporto. In ordine alla forma della medesima disdetta, la norma non prevede la raccomandata o altra formalità.

Nella precedente normativa di cui all'abrogato art. 3 della l. n. 392/1978, che prevedeva la disdetta a mezzo raccomandata, si riteneva che la formalità non assumesse forma inderogabile. Pertanto si consideravano ammissibili idonei equipollenti purché capaci di dare certezza della tempestiva conoscenza della comunicazione (Cass. civ., sez. III, 28 settembre 1998, n. 9696).

La forma scritta e convenzionale

La riforma del 1998 introdusse, all'art. 1, ultimo comma, la forma scritta ad substantiam per le locazioni residenziali (quelle ad uso diverso rimangono, al contrario, a forma libera). Da allora ne consegue che sono soggetti a forma scritta, per le sole locazioni abitative, tutti gli atti unilaterali o bilaterali che incidono sul medesimo rapporto, modificandolo od estinguendolo. Ciò in applicazione delle disposizioni di cui agli artt. 1352 e 1324 c.c. (Trib. Taranto 23 aprile 2015). Dovrà, pertanto, ritenersi, nel caso di disdetta a mezzo mandatario, che lo stesso sia fornito di autorizzazione scritta e nel caso di falsus procurator che intervenga la ratifica scritta dell'operato svolto con efficacia sanante ex tunc.

Fermo quanto sopra si deve considerare la pratica, particolarmente comune sia per le abitazioni che per gli usi diversi, di previsione di forme convenzionali. Frequentemente, infatti, i contratti contengono la previsione per cui per la disdetta si stabilisce la comunicazione a mezzo lettera raccomandata. Tuttavia tali accordi pattizi non possono integrare una forma convenzionale ad substantiam e pertanto, non ostano a che l'atto possa giungere all'indirizzo del destinatario con mezzi equipollenti ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1335 c.c. (Cass. civ., sez. III, 13 maggio 1989, n. 2211; Cass. civ., sez. III, 9 settembre 1978, n. 4083; contra, App Milano 24 novembre 1981).

Vale la pena di ricordare, atteso il frequente utilizzo della raccomandata, che la stessa se non consegnata al destinatario (per assenza o mancanza di persone abilitate a riceverla presso il luogo di destinazione) si presume pervenuta alla data in cui è rilasciato l'avviso di giacenza presso l'ufficio postale. Rimane, quindi, irrilevante, ai fini della tempestività della disdetta, il periodo legale del compimento della giacenza e quello intercorso tra l'avviso di giacenza e l'eventuale ritiro da parte del destinatario (Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2013, n. 27526; Trib. Salerno 23 marzo 2007). La precisazione è importante a seguito del fatto che per la comunicazione non è sufficiente la consegna all'ufficio postale. Tale principio, infatti, vale solo per gli atti giudiziali ed è riferito al momento della consegna, per la notifica, all'ufficiale giudiziario. Pertanto, è norma di prudenza necessaria, anticipare l'invio della raccomandata considerando il tempo per il recapito.

Divieto di revoca

Altra considerazione in tema di disdetta è quella relativa alla eventuale revoca della medesima una volta che sia stata inviata. Non è infrequente, infatti, che l'originario locatore, soprattutto nell'uso diverso, sottovaluti gli effetti conseguenti alla comunicazione di cessazione del contratto. Ciò specialmente, in conseguenza dell'obbligo di corresponsione dell'indennità di avviamento commerciale. Situazione che può originare il cambiamento di idea e la volontà di revocare la disdetta data. Sul punto non vi è flessibilità. A valere, infatti, il principio per cui l'avvenuta comunicazione di un atto negoziale comportante per il suo autore l'assunzione di vincoli di prestazioni (anche di non fare) deve ritenersi definitivamente irrevocabile ove il terzo destinatario dell'atto non ne abbia ricusato gli effetti favorevoli (Cass. civ., sez. III, 13 dicembre 2016, n. 25508, in un caso in cui il locatore aveva dato disdetta per la seconda scadenza contrattuale di un uso diverso. Ciò quando era ancora in tempo per il diniego di rinnovo alla prima scadenza; tale situazione realizzava una implicita rinuncia al diniego in quanto incompatibile con la disdetta per il termine successivo senza, pertanto, che si potesse modificare la situazione di cessazione del contratto alla seconda scadenza oramai non più modificabile). Ulteriormente, sullo specifico punto, è stato precisato: «il negozio di disdetta quale atto unilaterale con cui il locatore può provocare, alla scadenza del secondo sessennio di durata di una locazione ad uso diverso, la cessazione della locazione senza motivazione quale negozio unilaterale recettizio, una volta giunto a conoscenza (legale) del conduttore è idoneo a determinare l'effetto della cessazione della locazione con riferimento al momento in cui sopraggiunge la scadenza. Il venire meno di tale efficacia determinativa della cessazione della locazione, comportando che, per effetto della esclusione del verificarsi di tale cessazione, il rapporto si intenda rinnovato come se la disdetta non fosse stata inviata, è un risultato che può essere determinato solo dal concorso della volontà sia dello stesso locatore sia dello stesso conduttore: la ragione è che, non essendovi alcuna norma che riconosca al locatore un potere unilaterale di revoca della disdetta una volta che essa abbia prodotto i suoi effetti potere che, semmai, si può immaginare possibile fino a quanto essa, pervenendo al conduttore, non sia divenuta efficace e non abbia coinvolto la sua sfera di interessi, cioè la sua posizione contrattuale) ed essendo dunque escluso una unilaterale incidenza sul rapporto, facendolo rivivere se già la cessazione è sopravvenuta, oppure, se essa non lo sia, impedimento che essa si verifichi per effetto della pregressa disdetta, cioè, nell'uno nell'altro caso, come se il negozio di disdetta non fosse stato compiuto, perché il rapporto si possa intendere rispettivamente ripristinato o proseguito in iure occorre una manifestazione di volontà negoziale bilaterale» (così, testualmente, in motivazione, Cass. civ., sez. III, 14 maggio 2014, n. 10542).

Diniego di rinnovo

L'altra forma negoziale di cessazione delle locazioni, come detto in apertura della presente trattazione, è il diniego di rinnovo ancorché nella terminologia corrente si utilizzi abitualmente l'unico termine di disdetta.

Il diniego interviene, a seguito della riforma abitativa del 1998, in ambedue i tipi di rapporti: quelli, appunto, residenziali e quelli ad uso diverso. Le due tipologie, infatti, pur nella distinzione di natura, durata e contenuto, sono state equiparate in relazione alla prima scadenza.

Pertanto, in tale occasione (4 anni per le abitative ordinarie, 3 anni per le abitative convenzionate, 6 anni per gli usi diversi e 9 per gli alberghi) vige il principio di obbligatorio rinnovo. Abbiamo ricordato i riferimenti normativi nel primo paragrafo della presente trattazione.

Tuttavia, anche qui come detto, nel contemperamento delle opposte posizioni di locatore e conduttore è data al primo la potestà di far cessare il rapporto solo in presenza di determinate situazioni.

Distinguendo tra i due tipi di rapporti:

  • per le locazioni abitative sia ordinarie 4+4 che convenzionate 3+2, i motivi di diniego di rinnovo sono elencati all'art. 3 della l. n. 431/1998;
  • per le locazioni ad uso diverso i motivi di diniego sono rimasti quelli originari di cui all'art. 29 della l. n. 392/1978.

A parte le elencazioni di cui sopra per le quali ci si riporta alla lettura dei citati articoli, si deve evidenziare che per far valere i motivi, è sufficiente l'intenzione del locatore di adibire gli immobili ad una delle ipotesi legali. Si evidenzia l'uso di tale verbo. Nel passato regime di proroga delle locazioni ante 78 e nel regime transitorio introdotto dalla l. n. 392/1978, vigevano quelle facoltà che, tuttavia, erano indicate come necessità del locatore. Tale differenza terminologica, pertanto, ha inciso in ordine alla valutazione della pretesa fatta valere, quando la stessa sia messa in discussione, nel senso che basterà, per il locatore dimostrare la serietà del proprio intento e la realizzabilità del medesimo (Cass. civ., sez. III, 20 marzo 2017, n. 7040; Cass. civ., sez. III, 5 aprile 2016, n. 6550). Escluso, pertanto, un maggiore elemento come in precedenza rappresentato, appunto, da situazioni in cui si rendeva necessario procedere a dare corso ad uno dei motivi.

In pratica, con il regime di intenzione rispetto a quello di necessità, si è data una regolamentazione successiva della effettiva esecuzione del motivo manifestato. Atteso, come detto, che lo stesso, se contestato, va dimostrato con minor vigore rispetto al precedente regime di necessità.

In effetti il legislatore sempre negli articoli citati, ha predisposto una disciplina di controllo particolarmente rigorosa e penalizzante laddove non si provvedesse a dar corso alla ipotesi per cui si è negato il rinnovo del contratto. Le disposizioni sono contenute:

  • per le abitazioni nei commi 2 ss. dell'art. 3 della l. n. 431/1998. Si prevede per la mancata destinazione richiesta un risarcimento non inferire a 36 mensilità dell'ultimo canone corrisposto. Per il caso di riacquisto dell'immobile a seguito di procedura giudiziale senza che sia intervenuta nell'arco dei 12 mesi dal riacquisto dell'immobile la destinazione, il ripristino della locazione o il danno non inferiore alle 36 mensilità;
  • per le locazioni ad uso diverso il regime sanzionatorio è fissato dall'art. 31 della l. n. 392/1978. E lì previsto, sempre per il mancato rispetto nell'utilizzo dell'immobile per il fine per il quale era stato richiesto, il ripristino del contratto salvi i diritti acquistati dai terzi in buona fede, rimborso delle spese di trasloco e degli oneri tutti sopportati. In alternativa il risarcimento del danno in misura non inferire a 48 mensilità dell'ultimo canone. Da ricordare, tra l'altro, che per le locazioni ad uso diverso, qualora fosse stato negato il rinnovo o disdettata la locazione, al conduttore licenziato erano già state liquidate, se dovute, la indennità di avviamento commerciale.

Per tale motivo, quindi, nelle comunicazioni di diniego deve essere specificato a pena di nullità il motivo che il locatore intende far valere. Tale disposizione ha due precise finalità:

  • la prima, come detto, di poter preventivamente valutare la serietà e realizzabilità del motivo;
  • la seconda di poter accertare nel momento successivo, che si sia data puntuale ed esatta esecuzione al motivo medesimo.

Pertanto il locatore, ad evitare di vedersi respingere la richiesta di rilascio ed a parte la serietà e realizzabilità della medesima, dovrà anche porre particolare attenzione all'indicazione del motivo.

Conseguentemente a quanto sopra la giurisprudenza ha sempre respinto le indicazioni generiche, alternative e, in genere privi di rigorosa indicazione (Cass. civ., sez. III, 19 giugno 2015, n. 12711; Cass. civ., sez. III, 14 settembre 2007, n. 19223).

Riflessi processuali

Le due distinte manifestazioni di cui abbiamo trattato inoltre introducono diverse tutele giudiziarie. Nel caso di ordinaria disdetta, infatti, il locatore a tutela del proprio diritto di ottenere la liberazione dei locali, avrà quale strumento giudiziale l'ordinario procedimento di licenza o sfratto per finita locazione di cui all'art. 657 c.p.c. Nel caso di obbligo di pagamento dell'indennità di avviamento ex art. 34 della l. n. 392/1978 per attività che comporta il contatto con il pubblico degli utenti e consumatori, lo stesso non è di ostacolo all'ottenimento del provvedimento di rilascio. La disposizione di cui all'art. 34, comma 3, della l. n. 392/1978, infatti, per cui la indennità deve essere corrisposta prima del rilascio, attiene alla sola fase esecutiva del provvedimento ma non a quella processuale.

Diversa, al contrario, la procedura giudiziaria per ottenere il rilascio a seguito di diniego di rinnovo. Nel caso di contestazione e mancata spontanea consegna dell'immobile, si dovrà procedere non con lo sfratto ma con il procedimento di cui all'art. 30 della l. n. 392/1978. Tale disposizione vale sia per l'uso diverso che per l'abitativo atteso l'espresso richiamo di cui al comma 4 dell'art. 3 dellal. n. 431/1998. In pratica si tratta di dare corso ad una ordinaria causa di accertamento con il rito delle locazioni ex art. 447-bis c.p.c. La procedura è integrata dalla norma di specifico riferimento, appunto l'art. 30 della l. n. 392/1978.

È previsto, infatti, con l'ovvio intento di impedire o limitare comportamenti defatigatori da parte convenuta, la possibilità già in corso di processo, per il giudice, di emettere un provvedimento di rilascio con ordinanza costituente titolo esecutivo.

In conclusione

Disdetta e diniego di rinnovo delle locazioni abitative e ad uso diverso, salve le eccezioni viste al paragrafo due, costituiscono le manifestazioni di volontà con le quali le parti pongono fine alla locazione fra loro corrente. Per quanto riguarda la parte locatrice, la stessa potrà far cessare il rapporto sia nella forma del diniego che della disdetta, solo con riferimento alla scadenza del rapporto. Le è, infatti, preclusa ogni interruzione in corso di contratto salvi gli ordinari casi di risoluzione codicistica.

Le modalità della medesima le abbiamo trattate nei paragrafi precedenti.

Da parte del conduttore, a contrario, vi è sempre la possibilità di disdettare semplicemente il contratto, sia abitativo che ad uso diverso, alle ordinarie scadenze del medesimo con il preavviso rispettivamente previsto di mesi 6 per le abitazioni e mesi 12 per gli usi diversi.

In tale ultimo caso, tuttavia e qualora gli competa per il tipo di attività, egli perderà il diritto alla indennità. Inoltre al conduttore in ambedue le fattispecie è sempre permesso di recedere, con preavviso di 6 mesi, in qualsiasi momento dal contratto per gravi motivi. Si tratta, nel caso, di situazioni sopravvenute ed estranee a scelte o decisioni personali dovendosi, come detto, fare riferimento ai fatti sui quali il conduttore non aveva possibilità di intervento. Anche in tale caso è prevista la disdetta. Invero si tratta di un recesso motivato che il locatore potrà ovviamente contestare. Inoltre, sempre e solo per il conduttore, è prevista la possibilità di recesso semplice privo, quindi, di qualsiasi motivazione ma riferito esclusivamente a sua autonoma scelta. Ciò, tuttavia, esclusivamente, quando detta facoltà sia stata espressamente previsto in contratto. Qualora ciò non fosse al conduttore non è data tale prerogativa.

Un complesso di norme articolato e complicato che si collega a diritti, forme, termini alle volte eguali per le diverse tipologie ed a volte, al contrario, diverse.

Guida all'approfondimento

Gabrielli - Padovini, La locazione di immobili urbani, Padova, 2005, 553;

Lazzaro - Preden, Le locazioni ad uso non abitativo, Milano, 2010, 197;

Cuffaro - Padovini, Codice commentato degli immobili urbani, Torino, 2015, 1179;

Calvi, La disdetta priva di sottoscrizione nel contratto di locazione. nullità sanabile o inesistenza, in Arch. loc. e cond., 2015, 423;

Gennari, L'abuso di disdetta nelle locazioni ad uso diverso, in Altalex, 25 ottobre 2015;

Kowalski, Necessità o intenzione, in Arch. loc. e cond., 1988, 261.

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