Il rito prescelto e l'applicazione della sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978

Giorgio Grasselli
17 Gennaio 2018

Si vuole chiarire in maniera definitiva, sulla scorta della più recente giurisprudenza, se il conduttore in mora possa avvalersi della sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 nel solo caso in cui il locatore persegua il rito speciale per convalida di sfratto, oppure anche nel caso in cui l'azione per ottenere la risoluzione del contratto sia promossa con il rito ordinario.
Il quadro normativo

Vengono in considerazione, innanzitutto, l'art. 55 l. n. 392/1978, il quale prevede che la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni e degli oneri di cui all'art. 5, possa essere sanata in sede giudiziale per non più di tre volte nel corso di un quadriennio.

In secondo luogo, assume particolare importanza il principio di cui al comma 3 dell'art. 1453 c.c., a norma del quale «alla data della domanda di risoluzione, l'inadempiente non può più adempiere la propria obbligazione».

L'applicazione della sanatoria di cui all'art. 55 della l. n. 392/1978 a seconda del rito prescelto

Nell'interpretazione dell'art. 55, la giurisprudenza della Cassazione in un primo tempo si pose la questione se il ricorso alla sanatoria potesse ammettersi anche nel caso in cui l'azione di risoluzione del contratto di locazione fosse instaurata con il rito ordinario, atteso che, ai sensi del comma 3 dell'art. 1453 c.c., l'adempimento tardivo non era più possibile.

Affrontando una prima volta la questione, Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1985, n. 4057, affermava che la particolare sanatoria della morosità stabilita dall'art. 55 della l. n. 392/1978 trovava applicazione soltanto nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c., e non pure qualora fosse introdotto con citazione un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento. In questo caso non era consentito al conduttore adempiere la propria obbligazione dopo la proposizione della domanda, ai sensi del comma 3 dell'art. 1453 c.c.

Questo orientamento, nonostante la contraria opinione della prevalente dottrina, era confermato da successive decisioni, tra cui si segnalano Cass. civ., sez. III, 23 ottobre 1989, n. 4292, secondo cui l'azione ordinaria, ai sensi dell'art. 1453, comma 3, c.c., determinava il particolare effetto che, dalla data della domanda di risoluzione, il conduttore in mora non poteva più utilmente adempiere alla propria obbligazione al fine di scongiurare gli effetti dell'inadempimento (in senso conforme Cass. civ., sez. III, 12 febbraio 1991, n. 1451).

A confermare questo indirizzo, interveniva anche la Corte Costituzionale 22 gennaio 1992, n. 2, affermando che non era fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 55, interpretato nel senso della sua inapplicabilità all'ordinario giudizio di risoluzione del contratto di locazione.

Il mutamento di indirizzo della Cassazione a seguito di un nuovo intervento della Corte Costituzionale

Questo orientamento è stato decisamente superato dopo un altro intervento della Corte Costituzionale 21 gennaio 1999, n. 3, che ha osservato come la previsione della facoltà di sanare la morosità in giudizio e la regolamentazione del termine per il pagamento dei canoni scaduti non menzionano in alcun modo il procedimento per convalida di sfratto.

Difatti, secondo la Corte Costituzionale, l'art. 55 della l. n. 392/1978 fa testuale riferimento alla sede giudiziale e alla prima udienza: elementi, questi, che non valgono a richiamare esclusivamente il procedimento sommario per convalida di sfratto e ad escludere l'ordinario giudizio di cognizione, nel quale sia chiesta la risoluzione del contratto di locazione, risoluzione che il pagamento all'udienza, nei termini previsti dalla stessa disposizione denunciata, vale ad escludere. È dunque possibile interpretare l'art. 55 della l. n. 392/1978 nel senso che la sanatoria in giudizio della morosità sia ammessa non solo nel procedimento per convalida di sfratto, ma anche nel giudizio ordinario di risoluzione del contratto per inadempimento.

Il principio sancito dalla Corte costituzionale è stato recepito da Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2000, n. 2087, secondo cui l'istituto della sanatoria della morosità del conduttore, previsto e disciplinato dall'art. 55 della l. 27 luglio 1978, n. 392, per le locazioni aventi ad oggetto immobili urbani adibiti ad uso di abitazione, deve trovare applicazione sia nel procedimento di convalida di sfratto per morosità di cui all'art. 658 c.p.c., sia allorché la domanda per conseguire la restituzione dell'immobile sia stata introdotta dal locatore con un ordinario giudizio di risoluzione del contratto per inadempimento.

Conforme la giurisprudenza che è seguita, sia di legittimità che di merito (v., rispettivamente, Cass. civ., sez. I, 15 ottobre 2014, n. 21836, e Trib. Modena 30 gennaio 2001).

In conclusione

La sentenza che diede origine alla controversa applicazione dell'art. 55 della l. n. 392/1978 fu Cass. civ., sez. III, 5 luglio 1985, n. 4057, a detta della quale la sanatoria sarebbe stata applicabile solo nel procedimento sommario di convalida dell'intimazione di sfratto per morosità, e non invece nel giudizio ordinario di cognizione per la risoluzione del contratto per inadempimento, richiamandosi ad una «costante giurisprudenza».

Va precisato che il ricorso era stato proposto nei confronti di una sentenza con la quale il giudice d'appello aveva preliminarmente dichiarato che il richiamo alla sanatoria di cui all'art. 55 era di per sé fondato, anche se, avendo la conduttrice non ottemperato all'offerta nei termini prescritti, la domanda di risoluzione del contratto doveva essere pronunciata.

In effetti, come rilevò la dottrina, non esistevano sul punto precedenti giurisprudenziali, e forse il riferimento era da attribuirsi all'applicazione dell'art. 1453 c.c., sia pure in ipotesi differenti, nelle quali la norma non entrava in conflitto con l'eccezione alla regola di cui al citato art. 55.

Tuttavia, questo orientamento ebbe un seguito e, per confermare una tesi in realtà non motivata, furono addotte alcune teorie tra cui quella che vedeva nella disposizione dell'art. 55 la previsione di un giudice monocratico, qual era all'epoca il pretore competente per le cause locatizie in primo grado.

Dopo la soppressione dell'ufficio del pretore, questa polemica non ha avuto più senso, ma vale quantomeno ricordare come, a volte, l'interpretazione di una norma possa essere condizionata da considerazioni non sempre puntuali. Basterà osservare che la costante giurisprudenza richiamata trovava conferma in ipotesi precedenti al 1978, nel vigore della graduazione e proroga di cui all'art. 4 della l. 26 novembre 1969, n. 833.

In tali fattispecie, infatti, seguendo un consolidato orientamento della Suprema Corte (Cass. civ., sez. III, 5 gennaio 1981, n. 16; Cass. civ., sez. III, 27 marzo 1979, n. 1786), la giurisprudenza aveva affermato che la concessione del termine di grazia per purgare la mora nel pagamento del canone di locazione, si riferiva alla sola ipotesi in cui fosse stata emessa ordinanza non impugnabile di rilascio. Essa pertanto non avrebbe operato nemmeno nel caso in cui il procedimento di convalida si fosse trasformato, a seguito dell'opposizione dell'intimato, in giudizio di cognizione diretto ad accertare la sussistenza delle condizioni per la risoluzione del contratto di locazione.

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