Nuove prove in appello dopo la riforma del rito
18 Gennaio 2018
Massima
Nel giudizio di appello, la nuova formulazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c. - quale risulta dalla novella di cui al d.l. n. 83/2012, conv. con modif. con l. n. 134/2012, applicabile nel caso in cui la sentenza conclusiva del giudizio di primo grado sia stata pubblicata dal giorno 11 settembre 2012 in poi - pone il divieto assoluto di ammissione di nuovi mezzi di prova e di produzione di nuovi documenti, a prescindere dalla circostanza che abbiano o meno quel carattere di "indispensabilità" che, invece, costituiva criterio selettivo nella versione precedente della medesima norma, fatto comunque salvo che la parte dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile. Il caso
Tizia proponeva innanzi al giudice di pace opposizione avverso cartella di pagamento, relativa ad entrate di natura non tributaria, lamentando la mancata notificazione dei relativi avvisi di accertamento. Nella contumacia del concessionario per la riscossione e dell'ente impositore, il giudizio di primo grado si concludeva con rigetto della domanda per carenza di interesse, avendo il giudicante ritenuto che l'atto impugnato era un mero sollecito di pagamento. Proposto appello da parte dell'intimata, si costituivano dinanzi al tribunale il concessionario per la riscossione e l'ente impositore producendo copia ritualmente notificata degli avvisi di accertamento. Il giudice di secondo grado, qualificata la domanda come opposizione a cartella esattoriale, la respingeva tuttavia nel merito, reputando ammissibile la produzione dei documenti nuovi e ritenendo perciò raggiunta la prova della notificazione degli avvisi di accertamento. Avverso la pronuncia del giudice di merito Tizia proponeva ricorso per cassazione affidando l'impugnazione ad un unico motivo, vale a dire la violazione o falsa applicazione dell'art. 345 c.p.c., come risultante dalla modifica apportata dal d.l. n. 83/2012, conv. con modif. dalla l. n. 134/2012, atteso che la nuova formulazione del terzo comma non consentiva più l'ammissione di documenti nuovi che la parte onerata, per fatto ad essa imputabile, non aveva prodotto in primo grado, pur se “indispensabili ai fini della decisione”. La questione
La questione proposta al Giudice di legittimità è la seguente: la novella dell'art. 345, comma 3, c.p.c., nella parte in cui ha eliminato l'inciso che consentiva in appello l'ammissione di prove e documenti nuovi indispensabili ai fini della decisione della causa, impedisce alla parte, che sia incorsa nelle preclusioni istruttorie per causa a sé imputabile, di avvalersi in secondo grado di produzioni documentali pur quando dotati di “influenza causale decisiva” ai fini della ricostruzione della vicenda processuale? Le soluzioni giuridiche
Il testo dell'art. 345, comma 3, c.p.c. vigente dopo le modifiche apportate dal d.l. n. 83/2012, conv. con modif. in l. n. 134/2012, nel riferirsi ai presupposti di ammissibilità di nuovi mezzi di prova, anche documentali, in appello, ha soppresso le parole «[… salvo] che il collegio non li ritenga indispensabili ai fini della decisione della causa ovvero …». La pronuncia in commento, nel reputare applicabile ratione temporis le restrizioni del nuovo testo normativo, ha evidenziato che erroneamente il giudice di secondo grado aveva dato ingresso alla prova della notifica degli avvisi di accertamento per la prima volta fornita in quella sede dalle parti appellate, atteso che queste ultime, rimaste contumaci in prime cure, non avevano fornito alcuna ragione giustificativa della tardiva produzione. La Corte ha sottolineato la portata innovatrice della riforma, che, in sintonia con l'accentuazione della natura del giudizio d'appello come mera revisio prioris instantiae, anziché come iudicium novum, alla base della coeva riforma dell'art. 342 c.p.c., subordina il vaglio di ammissibilità alla preliminare verifica da parte del giudicante delle ragioni della mancata prova in primo grado, così da consentire l'ingresso di quei soli mezzi probatori, ivi incluse le prove documentali, che la parte non abbia offerto in comunicazione per “causa non imputabile”, ossia per caso fortuito o per forza maggiore. Al riguardo è stato anche sottolineato in motivazione che l'interpretazione restrittiva dei requisiti di ammissibilità, dettata dalla lettera della norma, non contraddice la ricerca della “verità dei fatti” a cui il processo mira naturalmente, atteso che una siffatta finalità va coniugata con il regime delle preclusioni, le quali impongono alla parte di attivarsi tempestivamente al fine di spiegare tutte le possibili difese in ossequio al principio di lealtà processuale. Non constano pronunce di legittimità difformi nell'interpretazione dell'art. 345, comma 3, c.p.c., testo attualmente vigente. Va ricordato peraltro il dibattito che aveva ingenerato la precedente versione della norma, che affermava l'ammissibilità non solo delle prove nuove che la parte non aveva potuto dedurre per causa ad essa non imputabile (fattispecie tuttora prevista), ma anche, ed in via alternativa, di quelle che fossero ritenute “indispensabili” ai fini della decisione (fattispecie espunta). Secondo la tesi della cd. “indispensabilità estensiva” il requisito dell'indispensabilità andava sganciato da quello della incolpevole decadenza dalle preclusioni istruttorie (Cass. civ., n. 16526/2005; Cass. civ., n. 317/2017), mentre secondo la tesi della cd. “indispensabilità restrittiva” i due segmenti della norma allora vigente andavano letti congiuntamente, con ciò dovendo considerarsi inammissibili le prove che, in ragione dello sviluppo del contraddittorio processuale, le parti avevano omesso di produrre per propria negligenza, pur se decisive (Cass. civ., n. 3654/2017; Cass. civ., n. 5013/2016). A dirimere il contrasto è intervenuta la sentenza delle Sezioni Unite n. 10790/2017 che ha aderito alla tesi della indispensabilità estensiva, più coerente con la lettera della norma e con il principio di ricerca della verità materiale, aggiungendo che il filtro della “influenza causale decisiva”, connaturato alla definizione di prova indispensabile, rappresenta un sufficiente deterrente contro tatticismi o slealtà processuali (M. Di Marzio, Le Sezioni Unite si pronunciano sulle prove indispensabili in appello, in www.ilProcessocivile.it). La pronuncia in commento chiarisce senza ombra di dubbio che la riforma del 2012 ha avuto efficacia innovativa restringendo l'ambito applicativo della norma anteriore, così come interpretata dalla richiamata pronuncia delle Sezioni Unite, sicché il concetto di indispensabilità della prova, benché correlato alla primaria esigenza di ricerca della verità materiale, non può dirsi sopravvissuto, nemmeno per via di un'interpretazione costituzionalmente orientata. Osservazioni
Va subito chiarito che l'ambito temporale di applicazione del nuovo comma terzo dell'art. 345 c.p.c. è desunto dal principio tempus regit actum, in specie riferito al momento in cui sorge l'interesse all'impugnazione, sicché vi sono soggetti tutti i gravami avverso sentenze pubblicate in primo grado a partire dal trentesimo giorno successivo all'entrata in vigore della legge di conversione del d.l. n. 83/2012, è cioè dal giorno 11 settembre 2012 in poi (cfr. Cass. civ., 14 marzo 2017, n. 6590). Va considerato, peraltro, che il citato dies a quo è desunto dall'art. 54 comma 2 della novella, nel quale invero, mentre sono menzionate le altre modifiche al giudizio d'appello, non si fa alcun riferimento alla disposizione in commento (contenuta nel comma 1 lett. “0b”). Opportuno dunque segnalare un contrario orientamento espresso dai primi interpreti, secondo cui, in assenza di norma di diritto intertemporale, i nuovi limiti dovrebbero trovare applicazione solo ai giudizi introdotti in primo grado dall'entrata in vigore della legge di conversione (12 agosto 2012), secondo il diverso canone del tempus regit processum, atteso che i limiti all'ammissibilità delle prove in appello si legano e si bilanciano con il regime delle preclusioni cadute in prime cure, contribuendo a disegnare i diritti di difesa e d'azione delle parti nell'equilibrio complessivo del processo (A. Tedoldi, I motivi specifici e le nuove prove in appello dopo la novella “iconoclastica” del 2012, in Riv. Dir. Proc. 2013, 1, 145). Venuto meno il dualismo consentito dall'abrogata figura della prova nuova indispensabile, residua, nel testo vigente, il solo caso della prova nuova non proposta o non prodotta (se documentale) per causa non imputabile alla parte, la cui ammissione richiede un vaglio di scusabilità della decadenza in cui è incorsa la parte congiunto a quello di mera rilevanza, non già di indispensabilità, del mezzo istruttorio. Alla fattispecie in questione, che rinvia, anche per la terminologia utilizzata, all'ipotesi della rimessione in termini prevista dall'art. 153, comma 2, c.p.c. - già applicabile ai sensi dell'art. 359 c.p.c. - deve poi aggiungersi quella della contumacia in primo grado dovuta a nullità della citazione (art. 294, comma 1, c.p.c.), dovendo anche in tal caso il giudice d'appello che rilevi il vizio rimettere la parte in termini e decidere nel merito (Cass. civ. n. 12156/2016). Ad essa estranei sono invece i casi in cui il vizio procedurale comporta addirittura la regressione del processo al primo grado, essendo tale esito assorbente rispetto all'ammissione delle nuove prove; il che si verifica, oltre che nel caso di nullità della notificazione (art. 354 c.p.c.), anche quando sia pronunciata sentenza cd. della terza via (Cass. civ., n. 2340/2017, Cass. civ., n. 14637/2011 e Cass. civ., n. 21108/2005), in cui la prova richiesta verterebbe su un fatto mai sottoposto prima al contraddittorio delle parti ed inaspettatamente introdotto dal giudice nella decisione. Sul concetto di caso fortuito o forza maggiore, su cui non si spende la pronuncia in commento non richiedendolo la fattispecie, occorre riferirsi a principi consolidati che danno rilievo, al contempo, alla sussistenza di un nesso causale fra l'evento impeditivo e la decadenza in cui è incorsa la parte (piano oggettivo) ed alla scusabilità del comportamento da quest'ultima assunto (piano soggettivo), vale a dire la non riferibilità dell'evento impeditivo ad una sua responsabilità commissiva o omissiva. Al riguardo si rileva che non viene considerata scusabile al fine della rimessione nelle facoltà istruttorie né la mancata costituzione della parte in primo grado dovuta ad uno stato di malattia, essendo in ogni caso possibile il rilascio di una procura ad hoc (Cass. civ., n. 7/2014, Cass. civ., n. 5249/1999), né la circostanza che la prova che si intende introdurre per la prima volta in appello doveva essere nota e disponibile anche alla controparte, come giustamente evidenzia la stessa pronuncia in commento; per contro dovrebbe assumere rilievo la mancata conoscenza anteriore del mezzo istruttorio a causa di un evento storico estraneo al processo e indipendente dalla parte, o a causa di un comportamento abusivo dell'avversario, così come, più in generale, l'essere il mezzo diretto a far emergere, sin dall'appello, la falsità delle prove su cui si è basata la sentenza di primo grado. Fin qui l'esame dei limiti intrinseci della fattispecie. Sul piano dei limiti estrinseci, assumono sicura rilevanza alcune riflessioni desumibili dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 10790/2017, la quale ha evidenziato che prova nuova ai sensi dell'art. 345 c.p.c. è solo il “mezzo istruttorio nuovo” volto a provare un fatto allegato per la prima volta in appello, nei limiti in cui ciò sia consentito, ovvero un fatto già allegato, ma che non sia stato reso oggetto di prova, ovvero lo sia stato, ma con mezzi diversi. Ne consegue che non sono prove nuove, e dunque non sono soggette alle limitazioni viste, le prove già chieste in primo grado (in relazione al medesimo fatto) ed ivi dichiarate inammissibili, ovvero quelle già assunte in primo grado di cui è chiesta la rinnovazione (art. 356, comma 1, c.p.c.), essendo in entrambi i casi rimesso al secondo giudice un mero sindacato sostitutivo di ammissibilità e rilevanza, nonché quelle che debbano considerarsi comunque già acquisite al processo, come nel caso di documenti prodotti con il fascicolo monitorio e poi non reintrodotti nel giudizio di opposizione per inerzia o contumacia del creditore opposto (Cass. civ., Sez. Un., n. 14475/2015). Quanto alla prova di fatti nuovi allegabili in appello, essa dovrebbe sfuggire del tutto al vaglio di scusabilità di cui al comma tre; si dibatte però in ordine all'estensione dei limiti ivi previsti alla prova di fatti allegati ex novo ai sensi del comma due, in quanto sostanzianti eccezioni in senso lato, quando già conosciuti e deducibili in primo grado (C. Consolo e F. Godio, Un ambo delle Sezioni Unite sull'art. 345 (commi 2 e 3). Le prove nuove ammissibili perché indispensabili (per la doverosa ricerca della verità materiale) e le eccezioni (già svolte) rilevabili d'ufficio, in Corr. Giur., 2017, 1406). L'errore commesso dal giudice d'appello nel non ammettere la prova nuova o nell'ammetterla oltre i limiti consentiti dal comma tre dell'art. 345 c.p.c. va fatto valere come error in procedendo (art. 360 n. 4), involgendo l'attività stessa del giudice e le norme processuali applicabili, sia pure con effetti estesi alla decisione impugnata, sicché in tal caso il sindacato del Giudice di legittimità si estende direttamente alla cognizione degli atti e fatti processuali che hanno portato al giudizio di ammissibilità/inammissibilità (Cass. civ., n. 1277/2016; Cass. civ., n. 14098/2009). |