La tassazione dei proventi peer to peer lending

Saverio Capolupo
22 Gennaio 2018

Con la Legge di bilancio per il 2018 i proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di Peer to Peer Lending) sono stati qualificati come redditi di capitale e soggetti ad un prelievo del 26% a titolo di imposta sostituiva.Detta aliquota si pone in linea con la tassazione operante su buona parte degli altri redditi di capitale ma attenua ulteriormente il principio della progressività del sistema tributario nel suo complesso.La novella era necessaria in considerazione dell'importante sviluppo dell'economia collaborativa ancorché l'intero settore necessiti di una disciplina soprattutto di carattere civilistico, anche ai fini di una corretta perimetrazione delle responsabilità, ove si consideri anche la mancanza di una regolamentazione comunitaria del settore.
Premessa

L'art. 1, comma 43 della Legge di bilancio per il 2018 ha introdotto una nuova forma di tassazione per i proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali (piattaforme di Peer to Peer Lending).

Si tratta di un'importante innovazione normativa che conclude solo parzialmente un dibattito che, pur essendo oggetto di importanti contributi nell'ultimo decennio, sembra ancora lontano dal raggiungere una conclusione soddisfacente.

E questo uno dei tanti problemi derivanti dallo sviluppo del mondo digitale che, se da un lato, indubbiamente agevola lo sviluppo dell'economia e l'incremento dei rapporti internazionali, dall'altro continua a sollevare delicate questioni riguardanti non solo la tassazione delle effettive capacità contributive ma anche la necessità di pervenire ad una legislazione che sia quanto più possibile omogenea a livello internazionale.

Il settore del credito e della finanza per le imprese e per i privati non è certamente estraneo a tale sviluppo tanto che è di tutta evidenza il profondo cambiamento che sta attraversando ed è ormai consolidata la tendenza degli operatori di integrare le tradizionali forme di finanziamento bancarie con nuovi strumenti e nuovi canali extra-bancari.

La Finanza collaborativa

In tale contesto si è sviluppata la sharing economy, nota anche come economia collaborativa o della condivisione, caratterizzata dal fatto che le attività poste in essere sono facilitate da piattaforme digitali che mettono direttamente in contatto gli individui per fornire, scambiare o condividere beni, servizi, competenze, denaro, spazi e risorse di vario genere che altrimenti resterebbero inutilizzate o sottoutilizzate.

Ai fini di una corretta definizione può soccorre la comunicazione della Commissione 2 giugno 2016 COM(2016) 356 secondo cui l'espressione "economia collaborativa" si riferisce ai modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l'uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati.

L'economia collaborativa coinvolge tre categorie di soggetti:
1. i prestatori di servizi che condividono beni, risorse, tempo e/o competenze e possono essere sia privati che offrono servizi su base occasionale ("pari") sia prestatori di servizi nell'ambito della loro capacità professionale ("prestatori di servizi professionali");
2. gli utenti di tali servizi;
3. gli intermediari che mettono in comunicazione — attraverso una piattaforma online — i prestatori e utenti e che agevolano le transazioni tra di essi ("piattaforme di collaborazione").

Le transazioni dell'economia collaborativa generalmente non comportano un trasferimento di proprietà e possono essere effettuate a scopo di lucro o senza scopo di lucro.

Sebbene questi modelli di business possano interessare differenti settori, alla luce delle prime esperienze, pare di poter affermare che lo scambio di beni e servizi abbia assunto dimensioni davvero significative e tra questi particolare attenzione va posta proprio alla c.d. finanza collaborativa.

Sono numerosi, ormai gli operatori che hanno coniugato perfettamente tecnologia e finanza con lo scopo di offrire beni e servizi su piattaforme on line (marketplace virtuali) onde poter rispondere con immediatezza ed in modo soddisfacente ai fabbisogni finanziari di privati e delle imprese.

Le ragioni dello sviluppo del c.d. peer to peer lending è dovuto al fatto che lo schema operativo delineato non richiede garanzie contro il rischio di default e al superiore livello di rendimento dell'investimento atteso che i tassi sono più favorevoli rispetto a quelli offerti dalle istituzioni finanziarie tradizionali.

Il fenomeno non è ancora noto al grosso pubblico ove si consideri che, stando alle ultime statistiche, il settore della finanza extra bancaria non supera l'8%.

Tale tendenza, tuttavia, è destinata a crescere in quanto i costi di intermediazione sono modesti poiché il prestatore e il richiedente sono messi in relazione diretta senza contare che gli intermediari, proprio a causa dell'elevata automatizzazione dei servizi, sopportano costi contenuti.

Con l'espandersi del fenomeno, però, emergono con sempre maggiore frequenza e criticità talune questioni relative all'applicazione del quadro normativo vigente dal momento che rende meno nette le distinzioni tra consumatore e prestatore di servizi, lavoratore subordinato e autonomo, o la prestazione di servizi a titolo professionale e non professionale.

Ciò può causare incertezza sulle norme applicabili, specie se si unisce alla frammentazione normativa derivante da approcci legislativi divergenti a livello nazionale o locale, ostacola lo sviluppo dell'economia collaborativa in Europa e impedisce la piena realizzazione dei benefici che essa comporta. Allo stesso tempo esiste il rischio che si sfruttino le "zone grigie" normative per aggirare le norme intese a tutelare l'interesse pubblico.

D'altra, sullo specifico punto difetta anche una disciplina da parte dell'UE non avendo stabilito esplicitamente in quale momento un "pari" diventa un prestatore di servizi professionali nell'economia collaborativa, circostanza che non agevola certamente il corretto svolgimento dei rapporti.

Tale carenza trova un preciso riscontro nella disciplina dei singoli Stati membri i quali adottano criteri diversi per distinguere tra i servizi professionali e i servizi tra pari. Ad esempio, alcuni Stati membri definiscono come servizi professionali i servizi forniti dietro retribuzione mentre i servizi tra pari si basano sul semplice rimborso dei costi sostenuti dal prestatore di servizi.

Per contro, altri Paesi comunitari, pur adottando la richiamata distinzione, utilizzano delle soglie determinate su base settoriale, tenendo conto del livello di reddito generato o della regolarità con cui si fornisce il servizio. Al di sotto di tali soglie, i prestatori di servizi sono di solito soggetti a requisiti meno restrittivi.

Tale criterio è raccomandato dalla stessa Commissione in quanto, se stabilite in modo ragionevole, possono rappresentare un criterio utile e contribuire a creare un quadro normativo chiaro a beneficio dei prestatori di servizi non professionali.

Piattaforme di collaborazione

Un ulteriore profilo per comprendere l'importanza dell'innovazione fiscale riguarda la corretta individuazione delle piattaforme di collaborazione.

Esse forniscono un servizio della società dell'informazione poiché offrono un servizio prestato normalmente dietro retribuzione, a distanza, per via elettronica e a richiesta individuale di un destinatario di servizi.

Sul piano generale, anche secondo le indicazione della Commissione, non possono essere soggette ad autorizzazione preventiva o a qualsiasi requisito equivalente che riguardi specificamente ed esclusivamente tali servizi ma gli Stati membri possono imporre requisiti normativi che prestano tali servizi a livello transfrontaliero da un altro Stato membro solo in circostanze limitate e a norma di una procedura specifica.

In via generale le piattaforme di collaborazione, oltre ai servizi della società dell'informazione che esse offrono in qualità di intermediario tra i prestatori dei servizi sottostanti e i loro utenti possono essere considerate come prestatrici di altri servizi, in aggiunta ai primi.

Ai fini della verifica di tali situazioni la Commissione suggerisce tre criteri che devono concorrere congiuntamente:

  • prezzo,
  • altre condizioni contrattuali fondamentali,
  • proprietà dei beni essenziali.

Nel valutare se i requisiti di accesso al mercato applicati all'economia collaborativa sono necessari, giustificati e proporzionati per soddisfare legittimi obiettivi di interesse generale, è stato raccomandato agli Stati membri di tenere in considerazione le specificità dei modelli imprenditoriali di economia collaborativa.

Ai fini della regolamentazione delle attività in questione, i privati che offrono servizi attraverso piattaforme di collaborazione su base occasionale e tra pari (peer-to-peer) non dovrebbero essere automaticamente considerati come prestatori di servizi professionali.

La definizione di soglie (eventualmente settoriali) al di sotto delle quali un'attività economica si qualifica come non professionale e tra pari può rappresentare un approccio adeguato.

Il regime fiscale

Sotto l'aspetto sostanziale, con la Legge di bilancio, a decorrere dal primo gennaio 2018, le operazioni peer to peer lending sono state assoggettate ad una ritenuta a titolo d'imposta, in misura pari al 26%, sui proventi derivanti da prestiti erogati mediante piattaforme dedicate a soggetti finanziatori non professionali. Il ruolo di sostituto d'imposta è assolto direttamente dai gestori delle predette piattaforme.

D'altra parte, trattandosi di persone fisiche, il ricorso alla ritenuta a titolo di imposta nella misura del 26% presenta un evidente vantaggio ove si consideri sia la maggiore aliquota marginale - che, per i soggetti che effettuano tali operazioni non è difficile da ipotizzare in misura superiore (si ricorda che il secondo scaglione è tassato con un'aliquota del 27%) – sia che la medesima aliquota, sempre a titolo di imposta sostitutiva, si applica, ad esempio, sugli interessi dei conti correnti postali, sulle obbligazioni e titoli non pubblici, sulle cambiali finanziarie, sui titoli atipici, sui fondi mobiliari ed immobiliari, ecc.

È indubbio che l'introduzione di aliquote al di sotto del 30% a titolo di imposta sostituiva riducono fortemente il principio della progressività del sistema fiscale in contrasto con quanto previsto dall'art. 53, comma 2, della Costituzione.

È questo un tema che, nell'attuale momento socio politico del Paese, difficilmente troverebbe consensi, ma è di tutta evidenza che, laddove permanga l'attuale quadro costituzionale di riferimento, la problematica meriti un approfondimento, soprattutto laddove si ipotizza l'introduzione di un'aliquota unica in materia di imposte sui redditi, ipotesi che non trova certamente una corrispondenza in tutti gli Stati, europei e non, ad democrazia avanzata.

In ogni caso, non tutti i proventi realizzati da tali operazioni possano essere qualificati come redditi di capitale ai fini delle imposte dirette.

Dall'esame della lett. d-bis dell'art. 44, comma 1 TUIR, introdotta dalla Legge n. 205/2017, come presupposto oggettivo emerge che che le predette piattaforme debbano essere gestite da intermediari finanziari autorizzati ed iscritti nell'apposito albo di cui all'art. 106 Testo Unico Bancario ovvero dagli istituti di pagamento autorizzati ex art. 114 del predetto T.U.B.

Per effetto del primo richiamo è confermato che anche il credito collaborativo è inquadrabile nell'ambito dell'esercizio nei confronti del pubblico dell'attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma.

La destinazione al pubblico dell'attività finanziaria infatti ricorre, anche se in concreto utilizzata da una cerchia ristretta di persone, qualora sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato di soggetti.

In tal senso, la giurisprudenza della Corte di Cassazione è pacifica avendo configurato il reato di esercizio abusivo di attività finanziaria, a norma dell'art. 132 de D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, chi pone in essere le condotte previste dall'art. 106 del medesimo TUB inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di legge, purchè l'attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia ristretta di soggetti, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato.

È appena il caso di ricordare che per attività di finanziamento sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma. La richiamata condizione è necessaria non solo per assicurare la correttezza delle operazioni sotto il profilo finanziario e civilistico ma anche per garantire che tutti i ricavi siano assoggettati a tassazione.

La seconda categoria di soggetti ammessi al finanziamento in esame è costituito da coloro che hanno sede legale all'estero per i quali, però, il Ministro dell'economia e delle finanze ha disciplinato l'esercizio della loro attività nel territorio della Repubblica fatta eccezioni per quelli, anch'essi individuati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze sentita la Banca d'Italia, già sottoposti, in base alla legge, a forme di vigilanza sull'attività finanziaria svolta.

Conclusioni

La Legge di bilancio per il 2018, nell'integrare l'art. 44 del TUIR si limita a qualificare come redditi di capitale i proventi derivanti da prestiti erogati per il tramite di piattaforme di prestiti per soggetti finanziatori non professionali. Non introduce, per contro, alcuna innovazione per quanto concerne la determinazione della base imponibile.

Conseguentemente, trovano applicazione i principi di carattere generale dettati dall'art. 45 TUIR per cui la ritenuta deve essere operata sull'ammontare dei proventi percepiti senza alcuna deduzione.

Tralasciando le critiche, piuttosto note, sulla condivisone di tale criterio, va evidenziato che la materia, anche ai fini del corretto esercizio dei poteri di accertamento, merita di essere oggetto di una disciplina compiuta ed armonizzata dal punto di vista civilistico con riferimento sia alla responsabilità contrattuale che a quella extracontrattuale soprattutto laddove di consideri che, secondo il diritto dell'UE, le piattaforme online, in qualità di fornitori intermediari di servizi della società dell'informazione, sono, a determinate condizioni, esonerate dalla responsabilità per i dati memorizzati.

Tale circostanza non esclude, ovviamente, che possa configurarsi una responsabilità ma tale previsione andrà verificata in funzione delle circostanze di diritto e di fatto relative all'attività svolta dalla piattaforma di collaborazione, quando le attività in questione si configurano come servizi di hosting ai sensi della direttiva sul commercio elettronico.

D'altra parte, secondo le indicazioni comunitarie il ruolo della piattaforma deve essere di ordine meramente tecnico, automatico e passivo ritenendo che la configurazione della responsabilità sussiste solo se la piattaforma di collaborazione non svolga un ruolo attivo che le conferirebbe la conoscenza, il controllo o la consapevolezza delle informazioni illecite e, laddove ottenga comunque tale conoscenza o consapevolezza, non agisca immediatamente per cancellarle o per disabilitare l'accesso alle stesse.

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