Efficacia del giudicato esterno con riferimento al decreto ingiuntivo non opposto

Cesare Trapuzzano
22 Gennaio 2018

La questione affrontata dai Giudici di legittimità nella sentenza in esame concerne i limiti oggettivi di efficacia esterna del giudicato formatosi su un decreto ingiuntivo, ossia se il decreto ingiuntivo non opposto integri una decisione idonea ad esprimere l'autorità di cosa giudicata sostanziale.
Massima

Il principio secondo cui l'autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda. (Nella specie, in applicazione del principio, la Suprema Corte ha confermato la sentenza impugnata che aveva ritenuto precluso dal vincolo del giudicato formatosi, per mancata opposizione avverso il decreto, sull'esistenza e validità della garanzia fideiussoria, il successivo accertamento richiesto dal debitore con il quale era contestato il medesimo titolo negoziale).

Il caso

Una società assicurativa richiedeva al tribunale di Milano l'emissione di provvedimento monitorio in ordine al credito vantato per i premi insoluti relativi a polizza fideiussoria, riferiti ad un determinato periodo storico (recte luglio 2007-luglio 2010). Proposta dall'ingiunto l'opposizione a decreto ingiuntivo, ne era dichiarata l'inammissibilità in ragione della preclusione determinata da precedente giudicato. E ciò perché la società assicurativa aveva in precedenza ottenuto dal giudice di pace di Milano altro decreto ingiuntivo per il pagamento dei premi relativi ad un diverso periodo storico (recte luglio 2005-luglio 2007), ma riguardanti il medesimo rapporto di garanzia, ossia la polizza fideiussoria, prorogabile fino allo svincolo, rilasciata a favore della Regione Piemonte a garanzia dell'adempimento delle obbligazioni cui era tenuto il debitore principale, quale contraente della polizza, con assunzione solidale dell'obbligo di pagamento dei premi da parte di diversi coobbligati, tra i quali l'ingiunto. Siffatto pregresso decreto ingiuntivo era stato notificato e non era stato oggetto di opposizione nei termini di legge. Sicché il tribunale di Milano rilevava che il provvedimento monitorio in precedenza emesso e non opposto copriva, con efficacia di giudicato, ogni questione attinente alla validità ed efficacia del contratto di garanzia, censura che l'opponente aveva dedotto, per la prima volta, con l'atto di opposizione al successivo decreto ingiuntivo, disconoscendo la propria firma apposta in calce all'appendice di polizza. Spiegato il gravame, la Corte d'appello di Milano confermava la decisione di prime cure che aveva dichiarato inammissibile l'opposizione, essendosi formato il giudicato sulla validità ed efficacia del rapporto sottostante alla richiesta dei premi, ossia della polizza fideiussoria anzidetta.

L'intimato ha impugnato per cassazione la sentenza di appello con due motivi; ha resistito con controricorso la società assicurativa. Con il primo motivo il ricorrente ha dedotto la violazione e falsa applicazione dell'art. 2909 c.c., poiché sarebbero stati violati i limiti oggettivi di efficacia del giudicato esterno, essendo diversi i petita posti a fondamento dei due decreti ingiuntivi: nel primo sarebbe venuto in questione un credito di euro 2.267,72, relativo a premi di polizza dovuti nel periodo luglio 2005 - luglio 2007; nel secondo, invece, un credito di euro 6.399,63, concernente premi di polizza relativi al periodo luglio 2007 - luglio 2010. Con il secondo motivo, ha lamentato la violazione e falsa applicazione degli artt. 350 e 356 c.p.c. nonché l'omessa o contraddittoria motivazione, poiché la Corte territoriale avrebbe illegittimamente omesso di pronunciarsi in ordine alle istanze istruttorie rigettate dal giudice di prime cure e riproposte con l'atto di appello.

La questione

La questione affrontata dai Giudici di legittimità concerne i limiti oggettivi di efficacia esterna del giudicato formatosi su un decreto ingiuntivo, ossia se il decreto ingiuntivo non opposto integri una decisione idonea ad esprimere l'autorità di cosa giudicata sostanziale. In tal caso si discute se l'intangibilità della decisione copra il solo dedotto o anche il deducibile e, in particolare, se l'accertamento contenuto nel provvedimento monitorio si estenda al rapporto fondamentale sotteso alla pretesa azionata, quale presupposto logico-giuridico indefettibile della decisione.

Le soluzioni giuridiche

Secondo l'arresto in commento, l'indirizzo estensivo è divenuto preponderante alla stregua della valorizzazione dei seguenti indici: A) la pertinenza degli argomenti sviluppati a confutazione della tesi restrittiva; B) l'evoluzione della teoria del giudicato implicito; C) l'accoglimento della teoria che riconosce l'efficacia espansiva del giudicato inerente a distinti diritti che trovino fondamento nel medesimo rapporto di durata o che siano connotati da un'esecuzione periodica delle prestazioni od, ancora, che siano caratterizzati da taluni elementi costitutivi comuni e tendenzialmente permanenti, integranti presupposti legali o qualificazioni giuridiche invariabili, idonei a completare altre fattispecie; D) da ultimo, l'elaborazione della figura dell'abuso del diritto, con specifico riferimento all'abuso del (diritto di azione nel) processo.

Quanto al primo aspetto, ha assunto un rilievo importante l'approfondimento inteso a ricollegare l'efficacia di giudicato, intesa come stabilità dell'accertamento tra le parti degli effetti del rapporto giuridico, e funzionale pertanto a garantire la certezza del diritto, al presupposto dell'esistenza di un effettivo contraddittorio tra i soggetti, indicati nello stesso art. 2909 c.c., nei cui confronti l'accertamento è connotato da un vincolo di incontestabilità. In proposito, la stessa peculiare struttura del procedimento d'ingiunzione, collocato tra i procedimenti sommari, impone di distinguere, proprio in virtù del principio del contraddittorio, la ratio legis del differente trattamento riservato alle pronunce monitorie di rigetto e di accoglimento. Da un lato, la pronuncia di rigetto del ricorso monitorio, per difetto dei requisiti di ammissibilità o per insufficiente giustificazione probatoria, non impedisce la riproposizione della domanda in sede ordinaria o monitoria ex art. 640, comma 3, c.p.c.. Dall'altro, la pronuncia di accoglimento totale o parziale, con relativa emissione del decreto ingiuntivo ex art. 641 c.p.c., determina, in caso di mancata opposizione, la maturazione dell'effetto preclusivo del giudicato. Infatti, in ragione del contraddittorio differito, assume rilevanza, ai fini della formazione del giudicato, anche la scelta dell'intimato di non proporre opposizione, in quanto per aversi cosa giudicata non è necessario il contraddittorio effettivo, bensì la provocazione a contraddire a una domanda giudiziale, che rappresenta la conditio sine qua non perché il provvedimento di merito acquisti efficacia di cosa giudicata (Cass. civ., Sez. Un., 1 marzo 2006, n. 4510).

Gli altri due aspetti, strettamente connessi, non attengono specificamente alla struttura normativa del procedimento sommario, quanto piuttosto alla problematica di carattere generale circa l'individuazione dell'oggetto del giudizio, sul quale viene a formarsi il giudicato. La teoria del giudicato implicito, affrontata dalle Sezioni Unite nelle note sentenze 9 ottobre 2008, n. 24883 e 30 ottobre 2008, n. 26019, con specifico riferimento all'accertamento implicito della questione pregiudiziale di giurisdizione, ha avuto un seguito con gli arresti di Cass. civ., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26242 e n. 26243 che, riesaminando la materia delle impugnative negoziali, hanno tenuto ferma la nota distinzione tra questioni pregiudiziali in senso logico, che - in quanto oggetto dello stesso accertamento che investe i fatti costitutivi della pretesa - devono quindi essere necessariamente decise incidenter tantum e rimangono coperte dal giudicato, e questioni pregiudiziali in senso tecnico che - in quanto attengono a fatti estranei alla fattispecie costituiva del diritto, ma che ne costituiscono il presupposto giuridico - possono costituire oggetto di autonomo giudizio e, per essere decise con efficacia di giudicato, esigono l'espressa richiesta di parte ex art. 34 c.p.c.. All'esito, le citate pronunce hanno statuito che nelle azioni ex contractu la questione relativa alla validità del contratto è sempre e comunque rilevabile ex officio dal giudice, poiché siffatto accertamento si rende indefettibile, indipendentemente dall'espressa richiesta di uno specifico accertamento in tal senso formulata eventualmente dalle parti in corso di giudizio a seguito della rilevazione officiosa, essendo funzionale alla realizzazione del valore di giustizia sostanziale sotteso alla struttura del processo, come delineata alla stregua dei principi costituzionali ex artt. 24 e 111 Cost., orientata verso una decisione tendenzialmente volta al definitivo consolidamento della situazione sostanziale direttamente o indirettamente dedotta in giudizio. Con la conseguenza che, fatte salve le ipotesi in cui il giudice pervenga al rigetto della domanda contrattuale in base alla ragione più liquida, omettendo quindi deliberatamente l'esame dei presupposti di validità del contratto, ovvero senza fornire in motivazione inequivoche indicazioni sulla validità del contratto, l'accoglimento della domanda ex contractu (ovviamente diversa dall'azione dichiarativa della nullità del contratto) implica, sempre e comunque, l'accertamento, con efficacia di giudicato, della non nullità del contratto.

Ad avviso della sentenza in commento, alla teoria del giudicato implicito sulle questioni pregiudiziali si associa l'affermazione della vis espansiva del giudicato su questioni preliminari di merito, in relazione a cause non sovrapponibili quanto all'oggetto per diversità del petitum. Il principio di diritto statuito da Cass. civ., Sez. Un., 16 giugno 2006, n. 13916, secondo cui, qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe la cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo, è stato, infatti, declinato in relazione anche ai rapporti di durata, con riferimento alle obbligazioni scaturenti dagli stessi e concernenti un determinato periodo, venendo la Corte a distinguere - nella fattispecie normativa del diritto - i fatti che, in quanto dipendenti da fenomeni variabili nel tempo, richiedono per ogni diverso periodo un autonomo accertamento e sono, quindi, privi di efficacia preclusiva nei successivi giudizi (l'intangibilità del loro accertamento si esaurisce nella singola pretesa oggetto del petitum di quel giudizio), e fatti, invece, che vengono ad assumere carattere tendenzialmente permanente (di regola inerenti a qualificazioni giuridiche della fattispecie che non subiscono mutamenti nel corso del rapporto), il cui accertamento, pertanto, assume rilevanza anche oltre il periodo di riferimento del singolo diritto oggetto di causa, espandendo la propria efficacia vincolante anche in altri giudizi, aventi ad oggetto obbligazioni concernenti periodi diversi (Cass. civ., sez. V, 30 ottobre 2013, n. 24433; Cass. civ., sez. V, 1 luglio 2015, n. 13498; Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2015, n. 15493).

Afferma la Corte che sulla questione dei limiti oggettivi del giudicato si innesta anche l'altro filone giurisprudenziale che investe la questione della frazionabilità della pretesa concernente il medesimo credito, ovvero concernente singoli crediti, della stessa o di diversa natura, ma tutti aventi titolo in un unico rapporto. In specie, la recente Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio 2017, n. 4090, ha affermato che la scelta del creditore di azionare, in separati giudizi, distinti diritti di credito che, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo, può giustificarsi soltanto nel caso in cui sussista un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata. Aggiunge la Corte che l'aspetto rilevante ai fini della questione dibattuta circa l'estensione dell'efficacia del giudicato relativo al provvedimento monitorio, posto in luce dalle Sez. Un. n. 4090/2017, è il passaggio implicito concernente il riconoscimento dell'ambito oggettivo di efficacia del giudicato del precedente giudizio relativo ad altro credito nascente dal medesimo rapporto; ciò trova chiara decifrazione nel caso concreto esaminato dalla sentenza, che ha per l'appunto individuato, nell'ambito dell'unitario rapporto di lavoro, la differente sfera di accertamento riservato ai singoli diritti azionati nei separati processi (premio di fedeltà e TFR), in quanto fondati su distinti presupposti e titoli costitutivi (rispettivamente di fonte pattizia e di fonte legale), che ne escludevano la iscrivibilità nel medesimo ambito oggettivo del giudicato, il che comporta, a contrario, che va riconosciuta l'estensione della efficacia di giudicato nei casi in cui il fatto costitutivo sia lo stesso ed abbia costituito oggetto di accertamento esplicito od implicito nel precedente giudizio, rimanendo circoscritto l'accertamento oggetto del successivo giudizio a quei soli elementi del diritto di credito (maturazione - in relazione alla eventuale controprestazione -, scadenza del termine di esigibilità, liquidazione del quantum - in relazione alla applicazione dei criteri di calcolo -) non coincidenti con i fatti costitutivi invarianti che integrano il medesimo presupposto logico-giuridico di entrambi i diritti azionati, in tal senso dovendo condividersi l'affermazione secondo cui l'incontestabilità dell'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo non opposto non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628).

Osservazioni

Orbene, dalla sentenza in commento trae conferma il principio di diritto - cui il Collegio ha aderito - secondo cui l'autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, e che trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda (ex plurimis: Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791, nella parte motiva). All'esito, la Corte ha risolto la questione di diritto enucleata con il primo motivo di ricorso scrutinato, che è stato considerato infondato, avendo riconosciuto conforme a diritto la decisione impugnata che ha ritenuto precluso, dal vincolo del giudicato sostanziale formatosi (per mancata opposizione al primario decreto monitorio emesso dal giudice di pace di Milano, relativo al credito di euro 2.267,72 per pagamento di premi assicurativi relativi al periodo compreso tra il 28 luglio 2005 e il 28 luglio 2007) sull'esistenza e validità del titolo costituivo del rapporto (garanzia fideiussoria prestata), il successivo accertamento richiesto dal debitore - con l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo successivamente emesso dal tribunale di Milano relativo all'importo di euro 6.399,63 e concernente analogo credito per premi assicurativi maturati nel periodo compreso tra il 28 luglio 2007 e il 28 luglio 2010 -, che ha contestato il medesimo titolo negoziale (garanzia fideiussoria), disconoscendo per la prima volta la propria sottoscrizione apposta nell'appendice di coobbligazione alla polizza. In ordine al secondo motivo, la Corte di legittimità, premesso che dagli atti sembrava emergere che il disconoscimento della sottoscrizione a cura dell'opponente fosse avvenuto tardivamente e che la conseguente istanza di verificazione era stata proposta dall'opposto a titolo meramente cautelativo, sicché non avrebbe avuto senso ammettere le prove su tale incidente, ha in ogni caso ritenuto che la preclusione del giudicato rendesse superflua qualsiasi prova sul disconoscimento e, per l'effetto, ha dichiarato l'infondatezza di tale motivo. Al riguardo, la Corte ha precisato che il principio secondo cui il riconoscimento tacito della scrittura perfezionatosi nel corso di un giudizio non spiega effetti in altri giudizi (Cass. civ., sez. III, 17 maggio 2007, n. 11460) opera eminentemente sul piano della efficacia dei mezzi di prova e, quindi, è insuscettibile di riverberarsi sul diverso profilo degli effetti preclusivi del giudicato. Ne discende che, una volta accertati tali fatti - alla stregua della disciplina processuale richiamata - e divenuto intangibile per forza di giudicato detto accertamento, con effetto preclusivo di un nuovo e diverso accertamento nel successivo giudizio tra le stesse parti, è evidente come rimanga inibito alla parte di contestare nel successivo giudizio - attraverso il meccanismo del disconoscimento - quegli stessi fatti sui quali ormai si è formato il giudicato.

In proposito, il decreto ingiuntivo che non sia stato contestato nei termini concessi per la proposizione del giudizio di opposizione costituisce, per un verso, sul piano formale, titolo idoneo per intraprendere l'esecuzione forzata e, per altro verso, sul piano sostanziale, accertamento definitivo del diritto con efficacia di cosa giudicata. Identica conclusione vale per l'ipotesi in cui il giudizio di opposizione si estingua ovvero sia rigettato o dichiarato inammissibile o improcedibile con sentenza passata in giudicato. Che il decreto ingiuntivo divenuto definitivo faccia stato in ordine all'accertamento del diritto in esso incorporato può essere desunto, nonostante il difetto di alcuna specifica ed espressa previsione normativa al riguardo, dai seguenti indici: a) dal riconoscimento della possibilità di spiegare l'opposizione tardiva nei soli casi regolati dall'art. 650 c.p.c.; b) dall'ammissibilità, ai sensi dell'art. 656 c.p.c., dei mezzi di impugnazione della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo revocatoria avverso il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c.; c) dalla possibilità di esperire la revocazione avverso il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per contrasto con una precedente sentenza passata in giudicato. Il fatto che l'accertamento discenda da un provvedimento avente la forma del decreto, emesso a seguito di una cognizione sommaria e senza contraddittorio, non esclude che detto accertamento faccia comunque stato ai sensi dell'art. 2909 c.c., norma che si riferisce espressamente ai provvedimenti aventi forma di sentenza. E ciò perché tale accertamento sommario diviene definitivo solo per effetto della mancata proposizione del giudizio di opposizione a cognizione piena, che il debitore aveva facoltà di instaurare e che di fatto non ha instaurato. D'altro canto, anche le ordinanze conclusive del giudizio sommario di cognizione sono idonee al passaggio in giudicato, ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c., che richiama espressamente l'art. 2909 c.c., benché non abbiano la forma di sentenza. Pertanto, il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità di cosa giudicata sostanziale, sia in relazione al diritto in esso consacrato, sia in ordine ai soggetti, sia in ordine all'oggetto. Per converso, non si può funditus sostenere che l'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo abbia una valenza di grado inferiore rispetto all'accertamento demandato ad una pronuncia avente la forma di sentenza, poiché non è dato ravvisare né la ratio di tale limitazione né il relativo significato.

Guida all'approfondimento
  • Balbi, Ingiunzione (procedimento di), in Enc. Giur. it., XVII, 1997, 15;
  • Garbagnati-Romano, Il procedimento d'ingiunzione, 2^ ed., Milano, 2012, 23;
  • Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2017, 111;
  • Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, III, I procedimenti speciali. L'arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, 14^ ed., Torino, 2015, 54;
  • Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 411;
  • Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 572;
  • Trapuzzano, Limiti oggettivi del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo, in www.ilProcessoCivile, 7 luglio 2016;
  • Valitutti-De Stefano, Il decreto ingiuntivo e l'opposizione, Padova, 2013, 199.

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