Le principali modifiche alla disciplina societaria nella legge delega di riforma delle procedure concorsuali

22 Gennaio 2018

La legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza di recente approvazione (l. 19 ottobre 2017, n. 155) presenta ampi profili di rilevanza per il diritto societario, contemplando all'art. 14 alcuni criteri direttivi destinati ad incidere direttamente sull'assetto ordinamentale e, quindi, sull'operatività concreta delle società.
Premessa

La legge delega per la riforma organica delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza di recente approvazione (L. 19 ottobre 2017, n. 155) presenta ampi profili di rilevanza per il diritto societario, contemplando all'art. 14 alcuni criteri direttivi destinati ad incidere direttamente sull'assetto ordinamentale e, quindi, sull'operatività concreta delle società.

Alcune delle direttive di intervento previste nella disposizione citata sono volte a dissipare incertezze emerse nella prassi in merito a questioni che, pur astrattamente rilevanti anche al di fuori della crisi, assumono concreta importanza principalmente in tale contesto (si pensi all'applicabilità dell'art. 2394 c.c. alle società a responsabilità limitata; oppure all'opportunità di individuare i criteri di quantificazione del danno risarcibile nell'azione di responsabilità contro gli organi di gestione per violazione dell'art. 2486 c.c.). Altri criteri direttivi, invece, sono funzionali a perseguire con maggior efficacia l'obiettivo della tempestiva emersione della crisi, posto come noto al centro del complessivo intervento di riforma organica delineato dalla legge (in tale ottica devono essere inquadrate le norme in tema di adeguati assetti organizzativi, in tema di applicabilità dell'art. 2409 c.c. anche alle s.r.l., e di estensione dei casi di obbligatorietà dell'organo di controllo o del revisore nelle medesime società). La disamina che segue avrà ad oggetto proprio tali ultimi aspetti, ritenuti di maggiore rilievo nel percorso di progressiva formazione di quello che è stato denominato il “diritto societario della crisi”.

L'obbligo di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi

Il criterio direttivo incidente sulla materia societaria che più di tutti ha attirato l'attenzione degli osservatori è, probabilmente, quello sancito dalla lett. b) dell'unico comma dell'art. 14 della legge delega in commento, secondo cui il Governo dovrà prevedere “il dovere dell'imprenditore e degli organi sociali di istituire assetti organizzativi adeguati per la rilevazione tempestiva della crisi e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Tale punto delle delega legislativa merita, in effetti, di essere approfondito.

È noto come sin dalla riforma del 2003 il legislatore abbia espressamente introdotto nell'ordinamento societario il principio di “adeguatezza degli assetti organizzativi, amministrativi e contabili della società”, ricomprendendo espressamente tra i doveri degli organi gestori delle s.p.a. quello di curare e valutare l'adeguatezza degli assetti rispetto alla natura ed alla dimensione dell'impresa sociale (art. 2381, commi 3 e 5, c.c.), e tra i compiti dell'organo di controllo del medesimo tipo sociale quello di vigilare sull'adeguatezza medesima (art. 2403, comma 1, c.c.). In sostanza, alla luce della riforma societaria, il principio di adeguatezza degli assetti organizzativi è assurto a componente centrale e non rinunciabile dell'attività gestoria e di controllo nell'ambito della società per azioni, rappresentando un criterio di condotta cui gli organi societari devono attenersi nell'esercizio delle rispettive funzioni.

Rispetto al regime codicistico appena richiamato, taluno ha riconosciuto nel principio direttivo enunciato dalla legge delega un profilo di novità, individuato nel fatto che con esso si intenderebbe aggiungere un ulteriore criterio di valutazione dell'adeguatezza degli assetti organizzativi: non più soltanto parametri di tipo qualitativo e quantitativo (natura e dimensioni dell'impresa, secondo le attuali previsioni codicistiche), bensì anche di tipo teleologico, cioè relativi agli obiettivi al cui raggiungimento gli assetti organizzativi dovrebbero essere funzionali (tempestiva rilevazione e risoluzione della crisi; in tal senso, V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. soc., 2017, 314). Sul punto è però necessario formulare alcune osservazioni.

Sembra evidente a chi scrive che il concetto stesso di adeguatezza implichi di per sé un giudizio di tipo teleologico, nel senso che il giudizio di adeguatezza può essere formulato soltanto con riferimento ad un determinato scopo da raggiungere. In tale contesto, il riferimento alla natura ed alla dimensione dell'impresa devono intendersi alla stregua di parametri utili a calibrare il giudizio di adeguatezza rispetto al contesto nel quale l'assetto organizzativo dovrà concretamente operare, ma ciò non toglie che tale giudizio deve comunque essere condotto avendo come punto di riferimento gli scopi cui devono essere finalizzate le funzioni societarie di amministrazione e controllo. Né si può fondatamente affermare che la prevenzione e la tempestiva rilevazione della crisi oppure il perseguimento della continuità aziendale siano finalità sino ad oggi non comprese tra quelli rispetto alle quali deve essere valutata l'adeguatezza degli assetti (e, più in generale, il corretto esercizio delle funzioni di amministrazione e controllo societario), di modo che il criterio direttivo in esame possa dirsi, sotto tale aspetto, davvero innovativo.

In effetti, come affermato da altra dottrina, il dovere di rendersi conto dello stato e delle prospettive della società (e quindi di predisporre assetti organizzativi idonei al raggiungimento di tale scopo), dovrebbe ritenersi essenziale al corretto espletamento della funzione amministrativa, a prescindere dalla formale elaborazione di simili precetti normativi (in tal senso, tra gli altri, G. Bertolotti, Poteri e responsabilità nella gestione di società in crisi, Torino, 2017, 116); specularmente, dovrebbe ritenersi già compreso nel dovere di vigilanza attribuito all'organo di controllo quello di valutare l'adeguatezza rispetto a tali obiettivi degli assetti istituiti dagli amministratori. Tanto ciò è vero che gli aspetti connessi all'emersione della crisi ed alla perdita della continuità sono oggetto di ampia considerazione da parte della migliore prassi operativa formatasi in tema di adeguatezza degli assetti organizzativi (si vedano, sul punto, le recenti norme di comportamento del collegio sindacale predisposte dal Consiglio nazionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili; per ulteriori riferimenti in materia si veda anche, G. Meruzzi, L'adeguatezza degli assetti, in AA.VV., Assetti adeguati e modelli organizzativi nella corporate governance delle società di capitali, diretto da M. Irrera, Bologna, 2016, 76 e ss.). Sul punto, dunque, sembra che nulla di davvero innovativo potrà scaturire dall'attuazione del criterio direttivo in parola.

Volendo individuare il carattere di novità della norma delegante, invece, ciò consiste essenzialmente nell'ampliamento della sfera soggettiva di applicazione del dovere di istituire assetti organizzativi adeguati alla tempestiva rilevazione della crisi: non già solo agli organi gestori della s.p.a. (e della s.r.l., ai quali anche il principio si ritiene già applicabile), ma a qualunque imprenditore ed agli organi di gestione di qualsiasi società. La reale portata di tale innovazione, anche nell'ambito della crisi dell'impresa, dovrebbe tuttavia limitarsi all'eventuale responsabilità dell'amministratore non socio di società di persone (nella misura in cui si riconoscesse l'ammissibilità di tale figura) per inadeguatezza degli assetti organizzativi istituiti.

L'obbligo di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale

Come visto nel paragrafo precedente, alla prima parte del criterio direttivo sancito dalla lett. b) dell'art. 14 delle legge delega in commento sembra possibile attribuire una portata innovativa assai limitata. Non così, invece, per la seconda parte della medesima disposizione, nella quale si prevede l'obbligo per l'imprenditore e per gli organi sociali “di attivarsi per l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Nella sua apparente laconicità, tale previsione appare infatti densa di implicazioni problematiche, che il legislatore delegato sarà chiamato ad affrontare con attenzione.

In primo luogo, la legge sembra prefigurare l'introduzione di un vero e proprio obbligo per l'imprenditore e per gli organi sociali di “attivarsi” per “l'adozione tempestiva di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento” per il superamento della crisi ed il recupero della continuità aziendale. Il criterio direttivo non fornisce tuttavia alcun riferimento utile all'individuazione degli “strumenti” in questione, e non è chiaro se il riferimento vada inteso come agli “strumenti” contemplati dall'ordinamento concorsuale, oppure a qualunque strumento “previsto dall'ordinamento” ed idoneo ad assicurare il superamento della crisi ed il recupero della continuità (si pensi, nel caso delle società, ad un'operazione sul capitale compiuta senza ricorrere a procedure concordatarie).

Non è tutto. La norma sancisce espressamente il dovere di attivarsi per superare la crisi e recuperare la continuità aziendale. Sull'opportunità e sulla legittimità costituzionale di un simile obbligo, tuttavia, si può quanto meno dubitare. Sul piano dell'opportunità, è chiaro che l'adozione di misure volte al superamento della crisi ed al recupero della continuità aziendale può essere giustificata soltanto nei limiti in cui vi siano serie prospettive di raggiungere tali obiettivi, e sempre nel rispetto dei concorrenti interessi dei creditori. In caso contrario, la cessazione dell'attività e la liquidazione del patrimonio dell'impresa in favore delle pretese dei creditori medesimi dovrebbe ritenersi non soltanto possibile, ma finanche doverosa. Sotto tale profilo, prevedere che gli organi sociali (o l'imprenditore individuale) debbano necessariamente attivarsi per l'adozione tempestiva di uno strumento volto al superamento della crisi ed alla continuità aziendale potrebbe risultare incongruo.

Peraltro, anche ammettendo che nel singolo caso concreto sussista una seria possibilità di ripresa, non è affatto certo che al preteso obbligo di attivarsi per superare la crisi e recuperare la continuità possa essere fornita una base costituzionale, visto che il principio di libertà di iniziativa economica sancito dall'art. 41 Cost. non può che essere inteso nel senso di garantire anche la libertà di porre fine ad un'iniziativa economica.

Non è chiaro, in altri termini, in base a quale principio una società in crisi (e per essa i suoi organi; il discorso comunque non muta nel caso di imprenditore individuale), anche se con prospettive di ripresa, dovrebbe necessariamente “attivarsi” per superare la crisi stessa e per recuperare la continuità aziendale, piuttosto che decidere di porre termine alla propria, eventualmente ricorrendo anche a questo scopo ad uno degli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento concorsuale (ma non già diretti al recupero della continuità, bensì alla liquidazione; si pensi alla procedura di liquidazione giudiziale che si prevede di istituire, oppure ad un concordato di tipo liquidatorio, negli eventuali limiti di ammissibilità previsti dalla riforma).

In definitiva, se la crisi o le prospettive di perdita della continuità aziendale non si sono ancora tramutate in vero e propria insolvenza, gli organi sociali dovrebbero poter liberamente decidere se proseguire l'attività, eventualmente adottando uno degli strumenti predisposti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità, oppure liquidare il patrimonio, soddisfare le pretese dei creditori e porre fine all'iniziativa imprenditoriale (anche in questo caso potendo ricorrere agli strumenti messi a disposizione dall'ordinamento per tali diverse finalità).

In tal senso avrebbe forse maggiore giustificazione una normativa che ponesse gli organi della società (o l'imprenditore) con prospettive di crisi e di perdita della continuità aziendale dinanzi all'alternativa tra “attivarsi per superare la crisi e recuperare la continuità” e porre termine alla propria attività prima che la crisi si tramuti in vera e propria insolvenza, sul paradigma del principio “ricapitalizza o liquida” (ora declinato con l'alternativa “ricapitalizza o trasforma” dall'art. 2447 c.c.) previsto dal codice civile per il caso in cui la diminuzione per perdite di oltre un terzo del capitale sociale ne abbia comportato la riduzione al di sotto del limite legale.

Nella prospettiva appena esposta, il “dovere di attivarsi” sancito dalla disposizione dovrebbe essere inteso (ed attuato, dal legislatore delegato) come obbligo di attivarsi per scongiurare una crisi attuale o prevedibile, ovvero di mitigarne le conseguenze negative; è invece quantomeno dubbio che si possa intendere nel senso di rendere obbligatoria per gli organi societari (o per l'imprenditore) l'adozione di uno degli strumenti predisposti dall'ordinamento per il superamento della crisi ed il recupero della continuità, né è pensabile che il legislatore delegato possa addirittura indicare i criteri in base ai quali effettuare la scelta dello strumento più opportuno per ciascun caso e, conseguentemente, ipotizzare la censurabilità ex post di una eventuale scelta in tal senso (se non nei limiti in cui possono essere sindacate le scelte imprenditoriali).

Infine, sempre in merito alle modalità di attuazione del principio direttivo riguardante il “dovere di attivarsi”, sarebbe opportuno che il legislatore fornisse indicazioni con riguardo al riparto delle relative competenze tra gli organi sociali. Il generico riferimento al dovere di attivarsi riferito agli organi sociali, infatti, potrebbe consentire al legislatore delegato di disciplinare con maggiore dettaglio i poteri di ciascun organo sociale nelle procedure concorsuali di tipo negoziale, risolvendo in tal modo i dubbi emersi nella prassi. Anche in questo caso, sarebbe forse opportuno che il Governo si ispirasse alla disciplina codicistica relativa alla perdita del capitale sociale, con una equilibrata ripartizione di competenza tra organi di gestione e controllo ed organo assembleare, secondo le indicazioni già in parte fornite dalla dottrina interessatasi all'argomento.

Il potenziamento delle funzioni societarie di controllo: l'applicabilità dell'art. 2409 c.c. alle società a responsabilità limitata

Un'altra linea di intervento tracciata dal legislatore delegante, sempre nell'ottica di favorire una quanto più possibile tempestiva emersione delle situazioni di crisi dell'impresa, riguarda il potenziamento delle funzioni di controllo nella società a responsabilità limitata. Su tale aspetto, le linee di intervento prefigurate dalla legge delega sono due, nessuna delle quali contemplata nell'originario schema di disegno di legge delega elaborato dalla “commissione Rordorf”.

La prima, aggiunta in sede di predisposizione del disegno di legge di fonte ministeriale ed enunciata dalla lett. f) dell'art. 14, prevede “l'applicabilità delle disposizioni dell'articolo 2409 alle società a responsabilità limitata, anche prive di organo di controllo”; la seconda, inserita nel corso dell'iter parlamentare, riguarda l'ampliamento dei casi di obbligatorietà dell'organo di controllo o del revisore nelle s.r.l., ed è sancita dalle lett. g), h) ed i) dell'articolo in commento.

In ordine alla prima questione, è noto che la mancata riproposizione nell'ambito dell'assetto normativo delle s.r.l. di un esplicito richiamo al meccanismo di controllo giudiziario disciplinato dall'art. 2409 c.c. (richiamo effettuato, prima della riforma societaria del 2003, dall'art. 2488, ultimo comma, c.c., anche per l'ipotesi di mancanza del collegio sindacale) ha innescato un intenso dibattito in dottrina e nella giurisprudenza (anche costituzionale) circa l'applicabilità o meno di detto strumento nell'ambito delle s.r.l..

In particolare, sul presupposto (già sancito dalla Corte Costituzionale nella sentenza del 29 dicembre 2005, n. 481) della ragionevolezza di un regime differenziato, su tale aspetto, tra società a responsabilità limitata e società per azioni, la Cassazione (sent. n. 403/2010) ha escluso l'applicabilità dello strumento in questione con riferimento alle s.r.l., anche se dotate di organo di controllo. Tale netta presa di posizione dei giudici di legittimità si fondava non solo sul dato del mancato richiamo testuale dell'art. 2409 c.c., ma anche sul “palese intento di privatizzare il controllo societario in favore dei singoli soci” che, nell'ordinamento della s.r.l., avrebbe trovato riscontro nella disciplina dettata dall'art. 2476 c.c..

Detto orientamento non ha tuttavia impedito a parte della dottrina e della giurisprudenza di merito di sostenere l'applicabilità del controllo giudiziario alle s.r.l., quanto meno nelle ipotesi in cui dette società siano obbligate alla nomina dell'organo di controllo (cfr., Trib. Milano, decr. 26 marzo 2010; Trib. Trieste, decr. 21 gennaio 2011). In tal senso, ulteriori spunti di riflessione sono stati forniti dalla modifica apportata dall'art. 35, comma 2, lett. c), del d.l. 9 febbraio 2012, n. 5, conv. con mod.dalla l. 4 aprile 2012, n. 35, al testo dell'art. 2477, comma 4, c.c. il quale attualmente dispone che “nel caso di nomina di un organo di controllo, anche monocratico, si applicano le disposizioni sul collegio sindacale previste per le società per azioni” (sul punto si veda l'ordinanza della Corte Costituzionale n. 116 del 7 maggio 2014, che ha dichiarato manifestamente inammissibile una ulteriore ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale sollevata sul punto dal Tribunale di Tivoli, per non aver preso in sufficiente considerazione la novella del 2012 al fine di verificare l'impossibilità di interpretare secondum constitutionem la disciplina censurata).

Nel contesto appena descritto si inserisce il criterio direttivo sancito dall'art. 14, lett. f), della legge delega in esame, che prevede, come già anticipato, “l'applicabilità delle disposizioni dell'articolo 2409 alle società a responsabilità limitata, anche prive di organo di controllo”.

Si tratta, in sostanza, di un ritorno al regime antecedente alla riforma societaria del 2003, secondo il quale il controllo giudiziario era applicabile a tutte le s.r.l., anche se prive di collegio sindacale. Nella relazione ministeriale di accompagnamento al disegno di legge si afferma che tale opzione normativa muove dalle ineludibili esigenze di monitoraggio di regolarità della gestione delle società a responsabilità limitata e dalla presa d'atto dell'insufficienza, a tale fine, dei poteri di controllo attribuiti ai componenti della compagine sociale, poiché “l'area di operatività dell'art. 2409 cod. civ., rispetto a questi mezzi, è comunque significativamente più ampia”. Più in particolare, la relazione ministeriale osserva come il rimedio risarcitorio, rispetto al quale il potere di chiedere la revoca cautelare dell'amministratore deve ritenersi strumentale, richiede un danno effettivo ed è quindi inadeguato ad operare nelle situazioni in cui il danno è ancora potenziale (situazioni nelle quali lo strumento del controllo giudiziario appare dunque più efficace). Inoltre, sempre secondo la relazione, l'esame dei libri e dei documenti sociali a iniziativa e spese del socio costituisce “rimedio costoso e potenzialmente inappagante, in quanto meno obbiettivo rispetto all'ispezione condotta dall'ausiliario del giudice”.

Si tratta di considerazioni in linea di principio condivisibili. Resta tuttavia ferma la necessità di evitare che l'impiego dell'invasivo strumento dell'ispezione giudiziale si presti agli abusi ai quali, non poche volte, si sono prestati i poteri di ispezione e controllo già riconosciuti ai soci.

Quanto all'attuazione del criterio direttivo in esame, peraltro, non sembrano sussistere particolari spazi di intervento da parte del legislatore delegato; la delega conferita non riguarda, infatti, la conformazione normativa dello strumento previsto dall'art. 2409 c.c., quanto piuttosto la mera estensione dell'ambito di applicabilità di tale strumento (così come disciplinato dal ridetto art. 2409 c.c.) fino a ricomprendervi anche la gestione delle s.r.l.. In tale contesto, spetterà inevitabilmente alla giurisprudenza (di merito, attesa la non impugnabilità in cassazione delle decisioni emesse ex art. 2409 c.c.) arginare le (presumibilmente immancabili) iniziative dei soci che non siano fondate su effettive esigenze di controllo sulla gestione sociale.

(Segue) L'estensione dell'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore nelle società a responsabilità limitata

Sempre nell'ottica di potenziare la funzione di controllo nelle società a responsabilità limitata, l'altro intervento normativo previsto dalla legge delega riguarda l'estensione dell'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore nell'ambito di tale tipo sociale.

Attualmente l'art. 2477, comma 2, c.c. prevede che la nomina dell'organo di controllo o del revisore sia obbligatoria nei casi in cui la società è tenuta alla redazione del bilancio consolidato oppure controlla una società obbligata alla revisione legale dei conti, oppure ancora se per due esercizi consecutivi abbia superato due delle tre soglie dimensionali indicate dall'art. 2435-bis, c.c. (totale dell'attivo dello stato patrimoniale di € 4.400.000,00; totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni di € 8.800.000,00; dipendenti occupati in media durante l'esercizio pari a 50 unità). Il successivo terzo comma del medesimo art. 2477 c.c. dispone, poi, che l'obbligo di nomina cessa se per due esercizi consecutivi non vengono superate le soglie dimensionali in questione; infine, il quinto comma stabilisce che l'assemblea che approva il bilancio in cui vengono superati i limiti dimensionali indicati in precedenza deve provvedere entro 30 giorni alla nomina dell'organo di controllo o del revisore e che, in mancanza, provvede il tribunale su richiesta di qualsiasi soggetto interessato.

La delega prevede di intervenire in primo luogo con una drastica riduzione delle soglie dimensionali al cui superamento sorge l'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore (che dovranno essere fissate in € 2.000.000,00 di totale dell'attivo patrimoniale e di ricavi delle vendite e delle prestazioni, ed in 10 unità di lavoratori dipendenti occupati in media durante l'esercizio), ed inoltre disponendo che l'obbligo di nomina dovrà sorgere in seguito al superamento per due esercizi consecutivi di anche una delle predette soglie (art. 14, lett. g), delle legge delega). Si prevede, in definitiva, un notevole ampliamento della platea delle società obbligate alla nomina. Infine, la delega dispone l'aumento a tre anni del periodo di osservazione durante il quale nessuno dei requisiti dimensionali in parola deve essere superato affinché cessi l'obbligo di nomina (lett. i) dell'art. 14) e prevede che la nomina dell'organo o del revisore possa essere disposta dal tribunale anche su “segnalazione del conservatore del registro delle imprese”, oltre che su richiesta di ogni interessato (lett. h) dell'art. 14).

I criteri direttivi riguardanti le soglie dimensionali e temporali per il sorgere dell'obbligo di nomina, data la loro analiticità, non lasciano dubbi né spazi di intervento in sede di attuazione della delega. Presenta invece alcuni aspetti problematici la previsione riguardante la nomina da parte del tribunale su segnalazione del conservatore del registro delle imprese.

La norma sembra fondarsi sull'implicito presupposto secondo cui il conservatore del registro delle imprese, presso cui deve essere depositato il bilancio della società, dovrebbe essere in grado di verificare se la stessa sia o meno soggetta all'obbligo in questione e se vi abbia o meno adempiuto. Tuttavia, anche ammettendo che il conservatore sia in grado di accertare la sussistenza dell'obbligo di nomina, non sempre potrebbe essere in grado di verificare il concreto assolvimento dello stesso da parte della società. In effetti, mentre la nomina dell'organo di controllo deve essere iscritta nel registro delle imprese (ex art. 2400, comma 3, c.c., applicabile alle s.r.l. in forza del rinvio effettuato dall'art. 2477, comma 4, c.c.), nessuna norma impone attualmente l'iscrizione nel registro delle imprese della nomina del revisore legale dei conti.

Ciò comporta che il conservatore del registro delle imprese, pur potendo in astratto verificare l'esistenza dei presupposti dimensionali e temporali da cui sorge l'obbligo di nomina dell'organo di controllo o del revisore, può accertare soltanto l'avvenuta nomina dell'organo di controllo, ma non anche l'eventuale nomina di un revisore. Pertanto, potrebbe accadere spesso che il conservatore segnali al tribunale l'assenza della nomina dell'organo di controllo con riferimento a società che abbiano invece già provveduto alla nomina del revisore, assolvendo in tal modo all'obbligo di legge gravante su di loro. Per rendere più efficiente il meccanismo delineato dalla norma occorrerebbe perciò introdurre l'obbligo di iscrizione nel registro delle imprese della nomina del revisore legale dei conti.

La problematica appena segnalata induce infine a formulare una riflessione in ordine alla norma riguardante l'obbligo di nomina “dell'organo di controllo o del revisore”. Ancorché non siano mancati tentativi ermeneutici di segno diverso, dal tenore letterale della disposizione citata si desume chiaramente la previsione di un obbligo di tipo alternativo, con attribuzione all'assemblea (o meglio, ai soci) di s.r.l. della facoltà di scegliere tra la nomina dell'organo interno di controllo o del revisore dei conti (la nomina del revisore potrebbe anche essere imposta da altre norme, come nel caso dell'art. 41 D.Lgs. n. 127/1991, in tema di revisione dei bilanci consolidati; in questo caso, ferma l'obbligatorietà della nomina del revisore, i soci sarebbero liberi di non nominare l'organo di controllo).

Tale inopinata scelta normativa non tiene tuttavia conto del fatto che il tipo di controllo esercitabile dall'organo interno non è affatto equivalente, né fungibile, con quello esercitabile dal revisore e che, mentre l'art. 2477, comma 1, c.c., consente all'autonomia statutaria di attribuire all'eventuale organo di controllo anche la competenza sulla revisione dei conti (salvo che si tratti di società obbligata al bilancio consolidato, visto il tenore dell'art. 2409-bis, comma 2, c.c.), non sembra che al revisore esterno possano essere attribuiti poteri sulla gestione della società, né tantomeno l'insieme delle prerogative riconosciute dalla legge al collegio sindacale (la cui disciplina si applica all'organo di controllo, in virtù del rinvio sancito dall'art. 2477, comma 4, c.c.).

In definitiva, atteso l'impianto normativo vigente, vi possono essere (e vi potranno essere, anche dopo l'attuazione della delega legislativa in commento) società a responsabilità limitata anche di grandi dimensioni ma dotate del solo organo di controllo interno (legittimato al controllo contabile soltanto in alcuni casi e soltanto sulla base di una conforme previsione statutaria) o, più verosimilmente, dotate del solo revisore legale dei conti (e, quindi, non assoggettate ad alcun controllo sulla gestione).

È chiaro che nell'ottica di potenziare le funzioni di controllo societario, anche in vista dell'obiettivo primario della tempestiva rilevazione delle situazioni di crisi, sarebbe stato opportuno modificare tale aspetto della disciplina. Il legislatore delegante non ha tuttavia ritenuto di intervenire sulla materia in questione, con ciò in parte contraddicendo le pur lodevoli intenzioni poste alla base delle modifiche previste in tema di controlli societari.

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