Rito Fornero ed impugnativa del trasferimento del lavoratore

24 Gennaio 2018

La ratio dell'art. 1, comma 48, della L. n. 92/2012 consente la proposizione di domande diverse da quelle relative all'impugnativa di licenziamento solo nell'ipotesi in cui esse trovino il loro fondamento nei medesimi fatti costitutivi, da intendersi quali presupposti di fatto.
Massime

La ratio dell'art. 1, comma 48, della L. n. 92/2012 consente la proposizione di domande diverse da quelle relative all'impugnativa di licenziamento solo nell'ipotesi in cui esse trovino il loro fondamento nei medesimi fatti costitutivi, da intendersi quali presupposti di fatto.

È inammissibile il ricorso al rito Fornero per l'esame della legittimità o meno di un trasferimento quando i presupposti di fatto su cui si fonda sono diversi da quelli su cui si è fondato il licenziamento.

Il lavoratore trasferito presso una diversa sede di lavoro può chiedere in giudizio l'accertamento della legittimità del provvedimento datoriale di trasferimento ma non può rifiutarsi aprioristicamente di prendere servizio presso la nuova sede di destinazione senza aver previamente ottenuto l'avvallo giudiziale delle proprie ragioni.

Il caso

Nella fattispecie il ricorrente impugnava, dinanzi al Tribunale di Roma, con ricorso ex art. 1, comma 47, L. n. 92/2012 (cd. rito Fornero) sia il trasferimento che il successivo licenziamento intimatogli per giusta causa chiedendo, per entrambi i provvedimenti datoriali, declaratoria di nullità e/o inefficacia; chiedeva quindi la propria reintegra sul posto di lavoro con condanna della società ex datrice di lavoro al pagamento, a titolo risarcitorio, delle retribuzioni non percepite dalla risoluzione del rapporto alla reintegra.

Il lavoratore deduceva, in particolare, che il provvedimento di trasferimento presso altra sede di lavoro era stato disposto dalla società esclusivamente a seguito del suo rifiuto di accettare una riduzione di retribuzione e di inquadramento di tre livelli inferiori. Per tale ragione si era rifiutato di prendere servizio, alla data prevista, presso la nuova sede di destinazione.

Seguiva quindi lettera di contestazione disciplinare e successiva lettera di licenziamento per giusta causa fondata sulla assenza ingiustificata del lavoratore nella sede presso la quale era stato destinato con il provvedimento di trasferimento.

La società resistente si costituiva in giudizio contestando le pretese avversarie ed eccependo, in via preliminare, l'inammissibilità della domanda avente ad oggetto l'illegittimità del trasferimento in quanto introdotta con rito riservato alla sola impugnativa di licenziamenti assistiti da stabilità reale.

Le questioni

Le questioni trattate dal Tribunale di Roma possono così essere sintetizzate:

  • 1a questione: la nozione di “identici fatti costitutivi” quale presupposto per l'esperibilità del rito Fornero con riguardo ad istanze diverse da quelle di cui al comma 47, dell'art. 1, L. n. 92/2012;
  • 2a questione: l'impugnativa, tramite rito Fornero, del trasferimento del lavoratore presso altra sede di lavoro;
  • 3a questione: il margine di reattività del dipendente a fronte del disposto trasferimento presso altra sede lavorativa.

Le soluzioni giuridiche

1a soluzione

La prima questione affrontata nel provvedimento in esame attiene l'ambito di applicabilità del “rito Fornero” con riferimento a domande diverse da quelle concernenti l'impugnativa dei licenziamenti assistiti da stabilità reale.

Al riguardo, il Giudice prende innanzitutto le mosse dal dato normativo letterale, ricordando che, ai sensi del comma 48, art. 1, L. n. 92/2012, non possono essere proposte con ricorso ex art.1, comma 47, della suddetta legge, domande diverse da quelle concernenti l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18 L. n. 300/1970 (anche quando devono essere risolte questioni relative alla qualificazione del rapporto di lavoro),salvo che tali domande “siano fondate sugli identici fatti costitutivi”.

Il dibattito, sia dottrinale che giurisprudenziale, sul significato da attribuire alla locuzione “identici fatti costitutivi” risulta a tutt'oggi in corso con esiti spesso contrastanti.

Sul punto, il Tribunale di Roma muove inizialmente dalla condivisibile necessità di individuare un significato “utile” alla conservazione della norma in questione, la quale – se interpretata rigidamente – finirebbe per essere svuotata di significato, risultando inconcepibile una domanda “diversa” fondata tuttavia su fatti costitutivi perfettamente identici.

Giunge quindi a ricomprendere nell'alveo di tale locuzione tutte quelle domande la cui proponibilità attraverso giudizi diversi comporterebbe l'esame, con riti differenti ed in sedi diverse, dei medesimi presupposti di fatto, escludendo tutte quelle pretese i cui fatti costitutivi non coincidano integralmente con quelli posti alla base della domanda di impugnativa del licenziamento.

2a soluzione

Muovendo da quanto sopra illustrato, il Giudice affronta la questione, più specifica, concernente la possibilità di impugnare con rito Fornero anche il provvedimento datoriale di trasferimento presso altra sede di lavoro.

Si rammenta, al riguardo, che nel caso di specie il ricorrente aveva dedotto che il provvedimento di trasferimento era stato disposto dalla datrice di lavoro esclusivamente a seguito del suo diniego ad accettare una rilevante riduzione di retribuzione e di inquadramento. Per tale ragione il dipendente si era rifiutato di prendere servizio, alla data prevista, presso la nuova sede di destinazione e a fronte di tale comportamento si era visto destinatario di una lettera di contestazione disciplinare e della successiva lettera di licenziamento per giusta causa. Con il ricorso ex art. 1, comma 47, L. n. 92/2012, il lavoratore aveva impugnato, quindi, sia il trasferimento, che il licenziamento per sentire dichiarare l'illegittimità di entrambi i provvedimenti datoriali.

Una volta chiarito il quadro della situazione, il Tribunale di Roma assume il principio della non esperibilità del rito Fornero con riferimento all'impugnativa del trasferimento nel caso prospettato, essendo tale provvedimento fondato – per stessa ammissione del ricorrente – su fatti costitutivi diversi rispetto a quelli posti alla base del licenziamento.

Infatti, se il trasferimento avesse trovato fondamento nel rifiuto del dipendente di accettare una riduzione di retribuzione e di inquadramento, il licenziamento sarebbe stato invece conseguenza dell'assenza ingiustificata del dipendente dalla nuova sede di lavoro, sicché effettua una rigida separazione tra la valutazione dei fatti che sottendono entrambi i provvedimenti datoriali, andandone a censurare l'evidente differenza ontologica.

Non essendosi integrato, quindi, il presupposto normativo degli “identici fatti costitutivi, il Tribunale di Roma afferma l'improcedibilità del rito, sostenendo che il lavoratore avrebbe dovuto impugnare il provvedimento datoriale di trasferimento in via autonoma rispetto all'impugnativa del licenziamento, con altro mezzo giuridico messo a disposizione dell'ordinamento diverso dal “rito Fornero”, il che sembrerebbe sottendere, a contrariis, la possibilità di scrutinio, da parte del giudice adito, col rito speciale, anche della legittimità del trasferimento purché fondato sui medesimi presupposti di fatto.

3a soluzione

La terza delle questioni trattate attiene ai rimedi giuridici esperibili dal lavoratore a fronte di un trasferimento imposto dalla datrice di lavoro e ritenuto illegittimo.

Seppur in maniera molto sintetica, nel provvedimento in esame viene, infatti, affrontata la tematica concernente la (il)legittimità del rifiuto del dipendente di eseguire la prestazione richiesta presso la nuova sede lavorativa a fronte di un trasferimento, la cui illegittimità non risulta ancora accertata giudizialmente.

Al riguardo, il Giudicante richiama espressamente una pronuncia della Corte di Cassazione – la sent. n. 18866 del 2016 – nella quale viene dichiarato inadempiente il comportamento del lavoratore che, a fronte del trasferimento presso altra sede di lavoro giustificato da ragioni aziendali di tipo oggettivo ed organizzativo, si rifiuti aprioristicamente di prestare l'attività lavorativa richiesta, in assenza di previo avvallo giudiziale della lamentata illegittimità del trasferimento.

Muovendo da tale pronuncia e ritenendo, dunque, inadempiente il ricorrente per non aver preso servizio presso la nuova sede di lavoro – circostanza da quest'ultimo non contestata – il Giudice dichiara “giustificato” il provvedimento espulsivo datoriale e, per tale ragione, ha ritenuto superata ogni questione di merito concernente l'impugnativa del trasferimento (che, in ogni caso e senza alcuna delucidazione sul punto, viene riconosciuto anch'esso legittimo in quanto giustificato da ragioni oggettive).

Osservazioni

Occorre prendere le mosse dell'art. 1, comma 48, della L. n. 92/2012, disciplinante il qui azionato rito Fornero, che prevede che “la domanda avente ad oggetto l'impugnativa del licenziamento di cui al comma 47 si propone con ricorso al tribunale in funzione di giudice del lavoro. Il ricorso deve avere i requisiti di cui all'articolo 125 del codice di procedura civile. Con il ricorso non possono essere proposte domande diverse da quelle di cui al comma 47 del presente articolo, salvo che siano fondate sugli identici fatti costitutivi […]”.

In altre parole, secondo la norma in commento, le uniche domande proponibili mediante il rito Fornero sono quelle aventi ad oggetto l'impugnativa dei licenziamenti nelle ipotesi regolate dall'art. 18 della L. 20 maggio 1970, n. 300, ovvero quelle che, pur avendo ad oggetto una domanda diversa, siano fondate sui medesimi fatti costitutivi.

Dal momento che la formulazione della norma non è affatto felice, sono emerse numerose difficoltà sull'interpretazione di quali possano essere quelle domande “diverse” che però nel contempo siano fondate sugli “identici fatti costitutivi”.

Crediamo sia opportuno, per cercare di dare un minimo di chiarezza ad una espressione che sembra un ossimoro, prendere le mosse dalla struttura dell'azione, che è composta dal bene della vita oggetto della domanda (petitum sostanziale o mediato) e dai fatti e dagli elementi di diritto su cui si fondano le ragioni (cioè dal titolo: causa petendi) della domanda (petitum immediato): la norma dovrebbe essere interpretata nel senso che appartengono al rito speciale solo quelle azioni che si fondino sulla medesima causa petendi ma che possono avere dei petita diversi.

In tale solco interpretativo sembrerebbe essersi collocata anche la Suprema Corte laddove (confermando la legittimità della proposizione in via subordinata della tutela obbligatoria) ha ritenuto opportuno dover privilegiare una interpretazione “utile” ed economica, in quanto in grado di attribuire un significato alla disposizione che sia più coerente con i principi generali di strumentalità del processo, nonché di economia e di conservazione dell'efficacia degli atti processuali.

In questa prospettiva, non è necessaria un'assoluta identità di tutti i fatti costitutivi delle diverse domande azionate ma è da ritenersi sufficiente una sovrapposizione quanto meno parziale con i fatti costitutivi dell'impugnativa di licenziamento, coincidenza qualificata dalla circostanza che si tratti di pretese che dalla vicenda estintiva del rapporto di lavoro traggano presupposto (Cass. 17 maggio 2013, n. 12094).

Vi è da dire che tale orientamento è comunque conscio che la propria scelta di allargare le maglie interpretative è legata prevalentemente a ragioni di opportunità, finalizzate a realizzare i principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo.

Nella motivazione, la Corte sembra ammettere infatti che la soluzione della inammissibilità o improponibilità della domanda subordinata ex L. n. 604/1966, sarebbe coerente con l'interpretazione logico-sistematica e la ratio della disposizione, che è chiaramente quella di limitare il campo applicativo del rito Fornero ma ritiene, poi, di superare lo sbarramento in rito perché diversamente si innescherebbe inesorabilmente una duplicazione dei giudizi, con effetti perversi di astratta attitudine al giudicato sull'impugnativa di un medesimo licenziamento, ampliando la già eccezionale ipotesi di deroga al principio del simultaneus processus.

Analoghi principi sono stati ripresi successivamente per affermare che l'impugnativa del licenziamento, soggetta alla disciplina dell'art. 18 Stat. lav., e le domande subordinate di condanna al pagamento di somme a titolo di trattamento di fine rapporto e dell'indennità sostitutiva di preavviso possono essere cumulate e proposte con le forme del rito specifico accelerato ex art. 1, comma 48, L. n. 92 del 2012, in quanto fondate su identici fatti costitutivi (Cass. 13 giugno 2016, n. 12094; Cass. 12 agosto 2016, n. 17091; Cass. n. 16 febbraio 2017 n. 4118; contraria Cass. 10 agosto 2015 n. 16662 che, in un caso totalmente analogo, ha invece negato che si configurasse la sussistenza dei medesimi fatti costitutivi).

In tal senso, in un caso del tutto analogo a quello oggetto dell'ordinanza in commento, ancorché in senso ad essa contrario, si è espresso il Tribunale di Catania, con sentenza del 30 dicembre 2014, affermando che “la locuzione “stessi fatti costitutivi non può essere intesa in senso strettamente letterale […] ma va intesa con riferimento all'oggetto del vaglio giudiziale” e che “questo decidente – tanto al fine della chiesta declaratoria di illegittimità del trasferimento quanto al fine della chiesta declaratoria di illegittimità del licenziamento – deve vagliare il medesimo fatto del legittimo (o meno) esercizio del potere datoriale di modifica del luogo della prestazione lavorativa, per desumere non solo le conseguenze in punto alla legittimità o meno del trasferimento, ma anche (attraverso l'ulteriore valutazione giuridica di proporzionalità richiesta in riferimento all'eccezione di cui all'art. 1460 c.c.) le conseguenze in punto alla legittimità o meno del licenziamento”.

Si assiste quindi ad un ampliamento dell'alveo delle domande assoggettabili al “rito Fornero” anche quelle domande che presentino fatti costitutivi ulteriori rispetto a quelli a fondamento della domanda di impugnazione del licenziamento.

In particolare, la giurisprudenza ha chiarito che è ammissibile la proposizione con rito speciale, da parte del lavoratore, delle domande di:

  • impugnativa del licenziamento in cui si controverta sull'esatta “identificazione” del datore di lavoro (Cass., sez. lav., n. 17775/2016; Trib. Roma, sez. lav., ordinanza del 15 gennaio 2016)
  • accertamento della natura discriminatoria del licenziamento, ovvero della (in)sussistenza di giusta causa o giustificatezza del recesso datoriale intimato nei confronti di un dirigente, in quanto fondate sul comune presupposto della vicenda estintiva del rapporto (Cass., sez. lav., n. 17107/2016).

L'altra questione di rilievo trattata riguarda l'ambito di reazione del lavoratore ad un trasferimento che ritiene illegittimo.

In tema, si scontrano due antitetiche posizioni interpretative.

Secondo la prima, prevalente, il trasferimento di un lavoratore disposto in carenza di sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive costituisce inadempimento datoriale, cui il lavoratore può reagire ai sensi dell'art. 1460, comma 1, c.c., rifiutando di prendere servizio nella sede di destinazione e mettendo, però a disposizione le proprie energie lavorative presso l'originaria sede di lavoro.

Per tale motivo, il licenziamento intimato dall'azienda per il rifiuto del lavoratore di prestare servizio nella sede di destinazione è illegittimo poiché non sorretto da giustificato motivo (Cass. 5 dicembre 2017 n. 29054; Cass. 24 luglio 2017 n. 18178; Cass. 10 novembre 2008 n. 26920).

A tale orientamento se ne contrappone un altro, valorizzato dal Tribunale di Roma, secondo cui il trasferimento del lavoratore presso altra sede, giustificato da oggettive esigenze organizzative aziendali, consente al medesimo di chiederne giudizialmente l'accertamento di legittimità, ma non lo autorizza a rifiutarsi aprioristicamente, e senza un eventuale avvallo giudiziario (conseguibile anche in via d'urgenza), di eseguire la prestazione lavorativa richiesta, in quanto egli è tenuto ad osservare le disposizioni impartite dall'imprenditore, ex artt. 2086 e 2104 c.c. e può legittimamente invocare l'eccezione di inadempimento, ex art. 1460 c.c., solo in caso di totale inadempimento dell'altra parte (Cass. 26 settembre 2016 n. 18866).

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