L’iniziativa per la dichiarazione di fallimento da parte del creditore postergato

Fabio Signorelli
25 Gennaio 2018

Il socio postergato può legittimamente agire per la dichiarazione di fallimento della società posto che, da un lato, agisce come terzo e, dall'altra, vanta un credito che, sebbene postergato, comunque gli conferisce un diritto patrimoniale legittimante l'esercizio dell'azione de qua sia perché l'art. 6 della l. fall. non fa alcuna distinzione circa la natura del credito sia perché l'ordine di pagamento in una procedura concorsuale individuale o collettiva non appare assumere alcuna valenza giuridica, coerentemente con la giurisprudenza e la dottrina dominanti che estendono la legittimazione ad agire anche ai creditori di diritti illiquidi, inesigibili o sottoposti a condizione.
Massima

Il socio postergato può legittimamente agire per la dichiarazione di fallimento della società posto che, da un lato, agisce come terzo e, dall'altra, vanta un credito che, sebbene postergato, comunque gli conferisce un diritto patrimoniale legittimante l'esercizio dell'azione de qua sia perché l'art. 6 della l.fall. non fa alcuna distinzione circa la natura del credito sia perché l'ordine di pagamento in una procedura concorsuale individuale o collettiva non appare assumere alcuna valenza giuridica, coerentemente con la giurisprudenza e la dottrina dominanti che estendono la legittimazione ad agire anche ai creditori di diritti illiquidi, inesigibili o sottoposti a condizione.

Il caso

Il ricorrente, socio paritetico di una società a responsabilità limitata, ne chiedeva il fallimento affermandosi creditore per alcuni finanziamenti effettuati a favore dell'ente collettivo, stante il suo stato di decozione, come risultante dalla documentazione allegata. Regolarmente costituitosi il contraddittorio, la società debitrice si limitava ad eccepire la carenza di legittimazione attiva del ricorrente perché creditore postergato, ai sensi dell'art. 2467 c.c. e a contestare la sussistenza del proprio stato di decozione. Il Tribunale, all'esito dell'istruttoria prefallimentare, respingeva entrambe le eccezioni della debitrice, dichiarandone il fallimento con la motivazione in epigrafe.

La questione e le soluzioni giuridiche

L'art. 2467 c.c., introdotto dal D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, è la rappresentazione plastica della responsabilità dei soci per il corretto finanziamento dell'impresa, stabilendo la postergazione dei finanziamenti erogati dai soci in favore della società a responsabilità limitata che si trovi in condizioni di sottocapitalizzazione nominale, allorquando tali finanziamenti sopperiscano ad un'esigua entità di conferimento, in quanto finanziamenti sostitutivi di capitale (De Ritis, Art. 2467 – Finanziamenti dei soci, in Gabrielli (diretto da), Commentario del codice civile, Torino, 2015). Si tratta, più sinteticamente, di una normativa concepita al fine di regolamentare il tema dei finanziamenti effettuati dai soci a favore della società, che formalmente si presentano come capitale di credito, ma, nella sostanza economica, costituiscono parte del capitale proprio (Relazione al D. Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, in Riv. soc., 2003, 148). Il legislatore della riforma ha inteso, pertanto, evitare che i soci ottengano la restituzione di quanto finanziato alla società prima che tutti gli altri creditori siano stati soddisfatti.

Ė evidente, infatti, che, soprattutto in società di piccole e piccolissime dimensioni come possono essere le società a responsabilità limitata, i soci siano perfettamente a conoscenza della situazione economico-finanziaria della società ed abbiano a disposizione ogni strumento per evitare di rimanere coinvolti direttamente in eventuali possibili crisi finanziarie della società stessa: per tali motivi la riforma ha stabilito 1) la postergazione dei loro crediti nei confronti della società, concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento e, 2) in caso di restituzione a favore dei soci delle somme erogate alla società poi fallita, l'obbligo di versare (in restituzione) al fallimento quanto ricevuto nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. La ratio della disposizione in esame è sanzionare i soci che, invece di apportare nuova finanza alla società senza obbligo di restituzione (come nel caso di conferimenti), l'abbiano sostenuta in modo eterodosso indebolendola ulteriormente con un maggiore indebitamento. I soci, ça va sans dire, non hanno alcun obbligo di sostenere finanziariamente la società al di là dei conferimenti che hanno promesso al momento della costituzione o, in seguito, per vicende legate ad aumenti di capitale, ma qualora si determinino a farlo, hanno l'obbligo di scegliere lo strumento finanziario più adeguato alla situazione attuale evitando, questo sì, di scaricare il rischio d'impresa sui creditori. Per quanto concerne l'aspetto oggettivo dell'applicazione della norma, l'espressione “finanziamenti … in qualsiasi forma effettuati …” è chiaramente ispirata da finalità antielusive e deve indurre l'interprete a far prevalere la sostanza sulla forma, riferendosi a tutte quelle operazioni che prevedono il trasferimento o la messa a disposizione della società di una somma di denaro con obbligo di rimborso: mutuo, apertura di credito, anticipazioni di vario genere ma anche leasing finanziario, leaseback, riporto, vendita con patto di retrocessione a termine. Lo stesso dicasi anche per vicende quali la mancata riscossione di somme liquide ed esigibili di cui il socio è creditore verso la società, la concessione di dilazioni di pagamento, il pagamento di debiti della società nei confronti di terzi quando l'azione di rivalsa del socio adempiente non venga immediatamente esercitata, o si convenga di non esercitarla per un certo termine. Similmente, quando il socio si renda cessionario di crediti verso la società e nell'ipotesi di assunzione di debiti sociali da parte del socio, in quanto modalità per liberare la società dal debito o degradare la posizione della stessa a mero garante del pagamento (Campobasso, La postergazione dei finanziamenti dei soci, in Dolmetta-Presti (a cura di) s.r.l. – commentario, Milano, 2011, 245). Per quello che qui maggiormente interessa, non v'è alcun dubbio che dal finanziamento anomalo nasca in capo al socio finanziatore un vero e proprio credito verso la società al rimborso delle somme prestate. Al di là delle ovvie considerazioni che precedono, soccorre anche il tessuto delle norme del bilancio, potendosi tranquillamente affermare che al credito da finanziamento anomalo del socio fa riscontro un corrispondente debito della società e che esso debba figurare contabilmente alla voce debiti (art. 2424 c.c., lett. D del passivo, richiamato per la società a responsabilità limitata dall'art. 2478-bis c.c.). Più in particolare, poiché la suddetta voce prevede al proprio interno la sottovoce “debiti verso soci per finanziamenti” (D 3), è in questa voce che il predetto debito andrà appostato (Zanarone, Della società a responsabilità limitata, in Schlesinger (fondato da), Busnelli (diretto da), Il Codice Civile – Commentario, Milano, 2010, t. I, 478).

Come ben noto, la soppressione del fallimento d'ufficio e la costruzione dell'istruttoria prefallimentare come giusto processo di cognizione ordinaria, rappresentano il quadro normativo entro il quale si colloca la domanda di fallimento riconosciuta al creditore (come sopra definito) dall'art. 6 l. fall.. Come è stato molto opportunamente fatto osservare, un'analisi attenta della predetta norma non può non evidenziare la singolarità di un diritto meramente processuale di azione proteso ad ottenere la sola dichiarazione di fallimento, svincolato dalla competenza di un sottostante diritto sostanziale, tanto è vero che il creditore ricorrente, se vuole diventare creditore concorrente deve in ogni caso fare istanza di insinuazione al passivo, potendosi così sinteticamente affermare che il creditore che chiede il fallimento del suo debitore non intende perseguire la condanna al pagamento del credito, ma una tutela di quest'ultimo ritenuta più efficace di ogni azione giudiziaria di recupero, perfino dell'esecuzione individuale (De Santis, La dichiarazione di fallimento, in Trattato di diritto fallimentare, diretto da V. Buonocore e A. Bassi, coordinato da G. Capo, F. De Santis e B. Meoli, Padova, 2010, vol. I, 208). Legittimato a richiedere il fallimento è qualunque creditore che sarebbe legittimato a richiedere l'ammissione al passivo e, per conseguenza, non è necessario che egli sia munito di titolo esecutivo. Parimenti non è nemmeno necessario che il credito sia scaduto, dal momento che l'eventuale accoglimento dell'istanza di fallimento determinerebbe l'immediata scadenza di tutti i crediti non ancora scaduti, ai sensi dell'art. 55, comma 2, l. fall.. Il credito, inoltre, potrebbe essere non liquido, oppure sottoposto a condizione, dato che anche i crediti condizionali partecipano al concorso, ai sensi dell'art. 53, comma 3, l. fall. (D'Arrigo, L'iniziativa per la dichiarazione di fallimento, in Cagnasso-Panzani, Crisi d'impresa e procedure concorsuali, Torino, 2016, t. I, 441. In giurisprudenza: Cass., 17 novembre 2016, n. 23420, in questo portale con nota di Morri che dà atto anche di un diverso orientamento, con specifico riferimento a Trib. Mantova, 26 febbraio 2015; Cass., 15 settembre 2015, n. 18128, in Diritto & Giustizia 2015, 16 settembre, con nota di Tarantino; Cass., SS.UU., 23 gennaio 2013, n. 1521; Cass., ord., 11 febbraio 2011, n. 3472). L'iniziativa del creditore, così come quella dello stesso debitore e del pubblico ministero, sono stati efficacemente definiti come “motore essenziale” del procedimento prefallimentare, e sia dottrina che giurisprudenza concordano sul fatto che il creditore cui fa riferimento l'art. 6 l. fall. non abbia bisogno di alcuna specificazione, necessitando soltanto dell'imprescindibile delibazione incidentale del giudice fallimentare proprio perché non esiste più l'iniziativa d'ufficio, puntualizzandosi che la legittimazione del creditore istante deve persistere fino alla fine del procedimento, non essendo sufficiente che sussista solo al momento della proposizione del ricorso.

Le conclusioni

Il socio finanziatore, benché postergato per legge, era nella specie creditore a tutti gli effetti della società e la sua istanza di fallimento assolutamente legittima, necessitando soltanto della delibazione incidentale del Tribunale fallimentare. Mai, come in questa fattispecie, è possibile affermare che il creditore che chiedeva il fallimento del suo debitore non intendeva perseguire la condanna al pagamento del credito, ma una tutela più “forte” e più efficace di ogni azione giudiziaria di recupero, perché il ricorrente, proprio perché assolutamente consapevole di essere un ultrachirografario (cioè pagato solo dopo la liquidazione dell'ultimo dei chirografari), mirava (così almeno si evince dalla lettura della sentenza) piuttosto all'esperimento da parte del curatore d'un'azione revocatoria fallimentare nei confronti dell'atto di cessione dell'azienda da parte della società debitrice.

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