La contestazione disciplinare può essere successiva all’esito del procedimento penale a carico del lavoratore
25 Gennaio 2018
In materia di licenziamento disciplinare, è legittima la condotta del datore di lavoro che attenda gli esiti del procedimento penale a carico del lavoratore prima di procedere alla contestazione disciplinare per i medesimi fatti. Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 1759/18, depositata il 24 gennaio.
Il caso. La Corte d'Appello di Napoli respingeva il gravame proposto da un lavoratore e confermava il rigetto delle domande proposte in primo grado dirette all'accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa comminatogli in seguito a contestazione disciplinare. Al lavoratore veniva addebitato il fatto di aver presentato ad un fondo di solidarietà aziendale delle fatture mediche false, emesse in favore dei familiari, al fine di ottenere un indebito rimborso, nonché il riconoscimento della situazione di disagio familiare, così come previsto dal regolamento del fondo stesso.
L'onera della prova. Il Supremo Collegio ribadisce, innanzitutto, che il ricorrente abbia invocato impropriamente l'art. 2697 c.c., giacché in materia di licenziamento deve ritenersi operante la disciplina delineata dall'art. 5 L. n. 604/1966 (Norme sui licenziamenti individuali) e che diversamente da quanto sostenuto nei precedenti giudizi, il ricorrente non abbia mai disconosciuto le fatture oggetto di contestazione, dalle quali era invece «emersa la riconducibilità della falsificazione» allo stesso.
La tempestività della contestazione. La Suprema Corte rileva, nel caso di specie, che la tempestività della contestazione «non viene meno ove il datore di lavoro avendo denunciato i fatti all'autorità giudiziaria, ritenga di attendere l'esito del procedimento penale prima di formulare detta contestazione», anche nell'ipotesi in cui questi avesse proposto querela e fosse a conoscenza delle indagini penali. |