Revoca senza giusta causa dell’amministratore e risarcimento del danno: il punto della Cassazione

La Redazione
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29 Gennaio 2018

In caso di revoca dell'amministratore di una s.p.a., l'assenza di giusta causa comporta il ristoro per la perdita dei compensi residui ma non anche, in via automatica e diretta, la risarcibilità di altri tipi di danno, quale il pregiudizio all'onore o alla reputazione: il relativo pregiudizio deve essere specificamente allegato e dimostrato, come ulteriore conseguenza immediata e diretta della revoca, da parte dell'amministratore.

In caso di revoca dell'amministratore di una s.p.a., l'assenza di giusta causa comporta il ristoro per la perdita dei compensi residui ma non anche, in via automatica e diretta, la risarcibilità di altri tipi di danno, quale il pregiudizio all'onore o alla reputazione: il relativo pregiudizio deve essere specificamente allegato e dimostrato, come ulteriore conseguenza immediata e diretta della revoca, da parte dell'amministratore.

È questo il principio affermato dalla Cassazione nella sentenza n. 2037 depositata il 26 gennaio.

Il caso. L'amministratore di una s.p.a. veniva revocato dalla carica di presidente del c.d.a. e impugnava la relativa delibera assembleare. Nel corso del giudizio veniva liquidato il risarcimento del danno, ravvisata la mancanza di una giusta causa di revoca, mentre venivano ritenute insussistenti altre voci di danno, in particolare di un danno all'immagine, lamentate dall'amministratore ma non adeguatamente provate. La sentenza veniva, dunque, impugnata dall'amministratore e, in via incidentale, dalla società.

La revoca dell'amministratore di s.p.a. La Cassazione ribadisce, con la pronuncia in esame, alcuni principi in materia di revoca dell'amministratore nelle società per azioni. In primo luogo, ricorda come, ai sensi dell'art. 2383 c.c., all'assemblea è riconosciuto un ampio potere di revocare gli amministratori, in presenza di giusta causa: per tale dovendosi intendere qualunque circostanza sopravvenuta, anche non provocata dall'amministratore e indipendente da un suo inadempimento, che possa pregiudicare il rapporto fiduciario tra le parti. Si tratta, insomma, di un diritto di recesso riconosciuto ex lege alla società, a tutela del pactum fiduciae con l'amministratore.

Il limite della giusta causa quale fonte di tutela obbligatoria: il risarcimento. Tale facoltà di revocare a discrezione gli amministratori trova un limite nel presupposto della giusta causa, con la precisazione che non è prevista in alcun modo la caducazione della delibera di revoca assunta senza giusta causa: è precluso l'annullamento o la declaratoria di nullità della deliberazione, che continua a produrre per intero i suoi effetti. All'amministratore revocato senza giusta causa, insomma, non spetta alcuna tutela reale, ma solo quella obbligatoria costituita, appunto, dal risarcimento dei danni subiti, corrispondenti nei compensi non percepiti.

L'indagine sulle ragioni della revoca. La S.C. precisa che le ragioni della revoca devono essere enunciate espressamente nella deliberazione e che il giudizio di sussistenza della giusta causa è giudizio di diritto. Nel caso di specie, la società ha addotto due esigenze a fondamento della revoca: esigenze di auto-organizzazione della struttura dell'organo gestorio e dissidi disfunzionali emersi nel c.d.a. La prima motivazione è già stata reputata estranea alla nozione di giusta causa (Cass., n. 21342/2013), mentre la seconda non è stata adeguatamente esaminata dalla sentenza impugnata.

La prova del danno all'immagine. Infine, la Cassazione esamina i motivi di impugnazione proposti dall'amministratore, il quale lamentava ulteriori voci di danno risarcibili per effetto della revoca: il danno all'immagine (i.e. alla reputazione personale), da perdita di chance ed esistenziale. Sul punto, viene precisato che la revoca anticipata senza giusta causa dell'amministratore dalla carica, mentre comporta il ristoro per la perdita dei residui compensi (così: Cass. n. 23557/2008), non necessariamente produce altro tipo di danno. Una responsabilità per danni ulteriori può emergere quando i fatti enunciati nella deliberazione integrino specifica violazione delle regole di buona fede e correttezza, oppure quando le concrete modalità di cessazione del rapporto si rivelino contra ius.

Occorre, dunque, un quid pluris rispetto alla mera mancanza di giusta causa: il preteso pregiudizio per lesioni reputazionali deve essere specificamente allegato e dimostrato dall'amministratore. il danno alla reputazione e all'onore deve essere, insomma, provato di volta in volta quale conseguenza diretta e immediata della revoca.

Il principio di diritto. La Cassazione enuncia, quindi, il seguente principio di diritto: “In caso di revoca dell'amministratore di società azionaria, alla responsabilità contrattuale ex art. 2383 cod. civ. relativa al lucro cessante per i compensi residui non percepiti, derivante dal fatto stesso del recesso senza giusta causa dal rapporto di amministrazione, può aggiungersi la responsabilità, sempre di natura contrattuale, per la violazione delle regole di buona fede e correttezza, oppure una responsabilità extracontrattuale della società, o di soggetti in concorso con essa, solo in presenza di condotte che costituiscano un quid pluris, diverso ed ulteriore, rispetto alla revoca in sé, come allorché le stesse ragioni esternate dalla revoca, in luogo che essere semplicemente insussistenti o inidonee a fondare il potere di recesso, oppure le concrete modalità della cessazione del rapporto, connotate da colpa o dolo, siano tali da ledere un diritto della persona (come onore, reputazione, identità personale, con le eventuali conseguenti ricadute patrimoniali) distinto dal diritto dell'amministratore alla prosecuzione della carica sino alla sua naturale scadenza”.