Omesso versamento IVA ed ammissione alla procedura di concordato

Niccolò Bertolini Clerici
31 Gennaio 2018

Solo l'omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo - sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell'imposta -, può escludere il reato di omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000.
Massima

Solo l'omologazione, e non anche la semplice ammissione al concordato preventivo - sia pure intervenuta antecedentemente alla scadenza del termine per il versamento dell'imposta -, può escludere il reato di omesso versamento IVA ex art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000.

Il caso

In ragione della ritenuta sussistenza indiziaria dei reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Catania disponeva il sequestro preventivo finalizzato alla confisca dei beni nella disponibilità dell'indagato, ovvero della società da lui amministrata, fino alla concorrenza della somma matematica delle ritenute operate sulle retribuzioni corrisposte ai lavoratori dipendenti e della non versata imposta sul valore aggiunto relativa all'anno 2014. Tale provvedimento veniva confermato dall'ordinanza del Tribunale del riesame territorialmente competente in data in data 29 luglio 2016.

Avverso tale ordinanza l'indagato promuoveva ricorso per Cassazione affidato a tre principali ordini di motivi: (i) la mancata notificazione dell'avviso di accertamento; (ii) la genericità del decreto di sequestro nella misura in cui non specificava i beni da sottoporre a sequestro e determinava l'aggressione dei beni dell'indagato senza il previo accertamento della capienza patrimoniale della società; (iii) l'impossibilità di adempiere all'obbligazione tributaria senza violare il principio della par condicio creditorum, deducendo al riguardo l'ammissione al concordato preventivo prima della scadenza del termine per il versamento dell'IVA garantendo il 100% degli obblighi tributari.

La questione giuridica

Il caso portato all'attenzione della Corte di Cassazione, ripropone, tra le diverse questioni trattate, la problematica inerente la sussistenza (o meno) di responsabilità penale in capo al legale rappresentante della società che non abbia versato quanto dovuto all'erario ai fini degli obblighi IVA in ragione della pendenza di una procedura concordataria avviata prima della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario.

In altre parole, in via di prima approssimazione, si tratta di comprendere se la semplice ammissione alla procedura concordataria sia sufficiente ad escludere l'integrazione del delitto di omesso versamento IVA di cui all'art. 10-ter d.lgs. n. 74/2000, ovvero sia a tal fine indispensabile che anche l'atto di omologa sia intervenuto prima della scadenza del termine ultimo previsto per il pagamento del tributo.

La questione non è nuova all'esame della Corte di legittimità, e in particolare della Sezione III Penale, in seno alla quale, quantomeno nel corso degli ultimi cinque anni, si sono formati due differenti ordini di pronunce caratterizzati, principalmente, dalla diversa qualificazione giuridica (privatistica ovvero pubblicistica) da attribuire alla scelta di accedere al concordato preventivo. Preferire l'una o l'altra qualificazione, invero, genera evidenti effetti in ordine ai rapporti con gli altri rami dell'ordinamento e, in particolare, chiare conseguenze in campo penalistico.

Il primo ordine di pronunce, che fa capo alla sentenza n. 44283 del 14 maggio 2013, ha chiaramente affermato come l'accesso alla procedura di concordato preventivo sia un atto di autonomia privata, d'iniziativa esclusiva del debitore che, come tale, non può determinare alcuna elisione degli obblighi giuridici di rilievo pubblicistico (sanzionati penalmente) tra cui il versamento dell'IVA alla scadenza di legge.

In ogni caso, a detta dei Giudici di legittimità, la stessa disciplina del concordato preventivo impone il pagamento integrale dell'Iva e, infatti, anche nell'ipotesi di «transazione fiscale» non ne autorizza il pagamento parziale, ma esclusivamente la sua dilazione.

Né, tantomeno, al di fuori degli accordi di transazione fiscale, l'ordinamento offre elementi normativi in grado di porre in dubbio il principio di indisponibilità della pretesa tributaria in riferimento al debito IVA che è per definizione inderogabile anche in considerazione delle ragioni di ordine pubblico economico internazionale e, in particolare, della sua natura di tributo comunitario di cui gli Stati membri sono tenuti a garantire la riscossione (come pure affermato dalla Corte di Giustizia con la nota sentenza 29 marzo 2012, causa C-500/10).

Dalla stessa obbligatorietà del pagamento scaturisce, poi, l'impossibilità stessa di violare la par condicio creditorum.

Secondo il primo indirizzo giurisprudenziale, quindi, in assenza di una dilazione di pagamento autorizzata a seguito di transazione fiscale, il solo fatto che la società sia stata ammessa alla procedura del concordato preventivo non esclude il reato di omesso versamento dell'imposta sul valore aggiunto che, in quanto reato omissivo istantaneo, si consuma alla scadenza del termine entro cui doveva essere effettuato il pagamento.

L'indirizzo minoritario, rappresentato dalla nota pronuncia n. 15853 del 12 marzo 2015, si pone in aperto contrasto con la sentenza appena citata.

Tale pronuncia, adottando ben diversa logica argomentativa, stigmatizza «lo iato logico del tessuto motivazionale» della richiamata sentenza n. 44283/2013 laddove, per sostenere che la dilazione sia ammessa esclusivamente dove menzionata in modo espresso dal legislatore (e cioè in caso di transazione fiscale omologata) «svuota» di incidenza il concordato preventivo di per sé affermando che esso altro non è se non un mero atto di autonomia privata.

Secondo tale secondo orientamento, quindi, il concordato preventivo, sin dalla richiesta di accesso alla procedura, pur originandosi da un impulso del debitore, non è confinato ad un ambito esclusivamente privatistico posto che «si viene a innestare una struttura chiaramente pubblicistica, essendo [tale] istituto una sorta di uscita di sicurezza rispetto alla prospettiva del fallimento e dunque uno di quegli strumenti di tutela non solo dei creditori ma altresì degli interessi economici collettivi che il legislatore ha predisposto per le crisi d'impresa».

A detta della Corte, dunque, data tale natura giuridica pubblicistica da attribuire al concordato, è «più che illogico considerar[lo]tamquam non esset ai fini penali» posto che altrimenti vi sarebbe una inaccettabile coincidenza tra ciò che il concordato preventivo legittima e ciò che la legge penale, se intesa in modo avulso dagli altri settori pubblicistici dell'ordinamento, qualificherebbe come reato.

In altri termini, il connotato di liceità che caratterizza gli effetti prodotti dal concordato in virtù della sua natura pubblicistica deve necessariamente estendersi dall'ambito fallimentare a quello, appunto, penale, dovendosi riconoscere sin dal momento dell'ammissione alla procedura concordataria effetti dirimenti sull'integrazione della fattispecie di omesso versamento IVA.

Diversamente, afferma la sentenza del 2015, si consentirebbe una «evidente e insostenibile frattura ordinamentale» il cui effetto sarebbe quello di svuotare il contenuto delle norme concorsuali.

La soluzione

Dato tale contesto giurisprudenziale, la sentenza in commento intende ricomporre il contrasto riconducendo a unitarietà le due posizioni che, a detta dei Giudici di legittimità, sarebbero solo apparentemente divergenti.

Per affermare, quindi, che «il contrasto è più apparente che reale», la Corte osserva che i due indirizzi giurisprudenziali poc'anzi richiamati muovono in realtà da differenti presupposti: la semplice ammissione al concordato, nel primo caso; l'intervenuta omologa del concordato medesimo prima della scadenza per il pagamento del tributo, nel secondo.

Secondo la pronuncia in esame, a ben vedere, solo l'intervenuta omologazione dell'accordo concordatario prima della scadenza del termine previsto per il pagamento del debito tributario «determinerebbe la modifica di un elemento strutturale della fattispecie penale».

In altri termini, assumendo che l'omologazione costituisca il primo momento giurisdizionale della procedura concordataria, lo stesso sarebbe il solo idoneo a incidere sulla sussistenza del reato sempre che sia espressamente previsto dalla transazione fiscale di cui all'art. 182-ter la dilazione del pagamento del debito erariale ad epoca successiva alla scadenza del termine previsto dall'art. 10-ter, d.lgs. n. 74 del 2000 (id est il 27 dicembre dell'anno successivo a quello in cui il debito è maturato).

In ogni caso, ammonisce la Corte, il pagamento del debito tributario non esporrebbe mai il contribuente al rischio di incriminazione per il reato di bancarotta preferenziale, mancando in tal caso il dolo specifico richiesto dalla fattispecie incriminatrice e costituito dalla la volontà di favorire un creditore a danno di altri.

Osservazioni

La pronuncia in esame valorizzando l'omologazione quale primo atto della procedura caratterizzato da contenuto giurisdizionale - e, pertanto, l'unico idoneo a sollevare profili di «tenuta» tra i vari rami dell'ordinamento - non compie un confronto completo con il secondo degli indirizzi giurisprudenziali succitati.

In particolare, rispetto alla qualificazione (pubblicistica) da attribuire alla scelta di accedere al concordato che la sentenza n. 15853/2015 aveva chiaramente definito affermando che «nel momento stesso in cui accede alla relativa procedura il debitore passa dalla gestione autonoma e quindi "privata" dei suoi debiti a uno strumento il quale, pur dando spazio agli interessi privati per conformarsi in concreto, è qualificabile come pubblico, come emerge chiaramente dalla legge fallimentare che lo disciplina».

Ancor prima di giungere al momento dell'omologazione, infatti, il perseguimento di un accordo transattivo debitore-creditori, ricordava la sentenza n. 15853/2015, «non è confinato in un dispositivo privatistico [...] bensì si snoda in un percorso giurisdizionalmente disegnato e vigilato, per ricevere infine una ratifica di quanto deliberato dai creditori sulla proposta del debitore da parte dell'organo giurisdizionale».

In proposito basti ricordare che, secondo le parole di tale pronuncia «per tutto il periodo che intercorre tra la domanda di concordato pubblicizzata nel registro delle imprese e il conclusivo decreto di omologazione, a dimostrazione ulteriore della natura pubblicistica dell'istituto, di cui gode già prima dell'ammissione operata dall'organo giurisdizionale, la tutela diretta dei singoli creditori per titolo o causa anteriore è in buona parte "congelata"».

Breve: l'omologazione non è il solo atto che, per il sol fatto di essere giurisdizionale, sarebbe connotato da natura pubblicistica; è l'intera procedura ad essere uno strumento «qualificabile come pubblico, come emerge chiaramente dalla legge fallimentare che lo disciplina».

In conclusione

La sentenza, nell'operare il chiaro tentativo di ricondurre a unitarietà le differenti posizioni emerse in seno alla stessa Sezione Terza Penale, si inserisce con piena convinzione nell'alveo dell'orientamento secondo cui solo l'accordo transattivo tempestivamente omologato muta gli elementi costitutivi del reato di cui all'art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 e riconosce lo stesso come l'unico approdo della Corte di legittimità sul tema.

Tale tentativo di composizione del contrasto giurisprudenziale di cui si è detto non convince del tutto. Nonostante, infatti, l'orientamento maggioritario abbia ormai acquisito una significativa stabilità, restano forti i dubbi connessi alle ben strutturate argomentazioni della richiamata pronuncia del 2015.

Tali perplessità risultano ancor più fondate soprattutto in considerazione delle aperture concesse, prima dalla Corte di Giustizia UE con la sentenza 7 aprile 2016, C-546/14 e, poi, dalla riforma del testo dell'art. 182-ter l.fall. introdotta con la Legge di Bilancio 2017 in tema di falcidia dell'IVA, laddove è stato riconosciuto che la transazione fiscale possa riguardare anche il credito Iva la cui soddisfazione può risultare, quindi, anche soltanto parziale (e non solo differita).

Se tali aperture venissero interpretate nel senso del superamento del principio di intangibilità dell'IVA - principio, come sopra ricordato, posto a fondamento della sussistenza stessa del reato tributario - assisteremmo allora a un ulteriore indebolimento delle ragioni a supporto dell'orientamento giurisprudenziale di cui la sentenza in commento è espressione.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.