La titolarità dell’azione di responsabilità in caso di fallimento della società: legittimazione del curatore

02 Febbraio 2018

La concessione di finanziamento da parte della banca, ove avventata o, comunque, imprudente, se concorre con una parimenti avventata o imprudente richiesta di credito da parte degli amministratori della società ormai decotta, può, in astratto, contribuire al differimento dell'emersione del dissesto e, quindi, al suo aggravamento prima della dichiarazione del suo fallimento.
Massima

La concessione di finanziamento da parte della banca, ove avventata o, comunque, imprudente, se concorre con una parimenti avventata o imprudente richiesta di credito da parte degli amministratori della società ormai decotta, può, in astratto, contribuire al differimento dell'emersione del dissesto e, quindi, al suo aggravamento prima della dichiarazione del suo fallimento. Ne consegue che, sotto questo specifico aspetto, il curatore fallimentare è legittimato ad agire nei confronti della banca, senza peraltro necessità di esperire, simultaneamente, l'azione, nel medesimo processo, nei confronti degli amministratori.

Il caso

La curatela fallimentare di una spa aveva convenuto in giudizio una banca, chiedendone la condanna al risarcimento del danno sofferto dal patrimonio sociale e, dunque, dalla massa dei creditori, in conseguenza dell'abusiva concessione di credito operata a favore della società allora in bonis, nonostante lo stato di decozione di quest'ultima, ovvero in conseguenza della violazione da parte della convenuta dei doveri di buona fede e correttezza nell'esercizio dell'attività creditizia, nonché dei doveri di protezione nei riguardi del beneficiario del credito; ovvero ancora, in conseguenza del concorso della banca nell'inadempimento ascrivibile agli amministratori della società dei doveri loro imposti dalla legge e dallo statuto con riferimento alla richiesta di erogazione del predetto finanziamento.

Le questioni

La questione principale affrontata dal Tribunale di Bologna con la sentenza in commento è quella della legittimazione del curatore fallimentare ad agire per il risarcimento del danno arrecato al patrimonio sociale, e dunque alla massa dei creditori, nei confronti della banca che abbia erogato credito alla società ormai decotta.

Posto che la curatela negli atti introduttivi aveva individuato tre distinti titoli di responsabilità deducendo: 1) la concessione abusiva del credito, 2) la violazione del generale dovere di buona fede e dei doveri di protezione discendenti dal rapporto di finanziamento inter partes, 3) il concorso nell'inadempimento degli amministratori che in violazione dei loro doveri avevano formulato la richiesta di finanziamento; il Tribunale – disattendendo l'eccezione di inammissibilità formulata dalla banca convenuta – ha innanzitutto ritenuto che la richiesta di risarcimento ex artt. 185 c.p., 2043 e 2059 c.c., formulata in comparsa conclusionale in relazione alle ipotesi di reato previste e punite dagli artt. 217 n. 4 e 218 l. fall.,non integra un'inammissibile mutatio libelli atteso che non comporta un ampliamento del thema decidendum, nél'introduzione di una nuova causa petendi, quanto piuttosto un diverso inquadramento normativo delle circostanze di fatto allegate sin dall'inizio.

Il collegio quindi – dopo avere superato l'eccezione di nullità della citazione per indeterminatezza della domanda – ha disatteso pure quella di improcedibilità dell'azione per il mancato esperimento preventivo della procedura di mediazione obbligatoria, ritenuta non operante perché la causa non aveva ad oggetto l'esecuzione di un contratto bancario (nella specie di finanziamento), ma la responsabilità della banca per avere erogato il finanziamento con negligenza, così contribuendo ad aggravare il dissesto della società anche in concorso con gli amministratori, a loro volta rei di avere violato i doveri posti a loro carico dalla legge e dallo statuto.

Successivamente il collegio, ha esaminato il profilo della legittimazione ad agire, pure contestato dalla banca convenuta, negandola in parte in capo al curatore.

Il Tribunale di Bologna, in particolare, ha escluso che rientrino tra le azioni c.d. di massa – “finalizzate cioè alla ricostituzione del patrimonio del debitore nella sua funzione di garanzia generica e aventi carattere indistinto quanto ai possibili beneficiari del loro esito positivo” (Cass., Sez un. 7029-7030-7031 del 2006) – tanto l'azione di responsabilità da abusiva concessione del credito, quanto quella per violazione dei doveri di buona fede e protezione del sovvenzionato discendenti dal contratto di finanziamento.

Con riferimento alla prima, ha infatti osservato (uniformandosi alle conclusioni raggiunte dalle sezioni unite della S.C. con la sentenza n. 7029/2006) che l'azione risarcitoria in questione, al pari di quella ex art. 2395 c.c., costituisce strumento di reintegrazione del patrimonio del singolo creditore, in quanto per un verso il danno derivante dall'attività di sovvenzione abusiva deve essere valutato caso per caso nella sua esistenza ed entità (essendo pure possibile che creditori partecipanti al riparto non abbiano subito un danno dalla continuazione dell'impresa) e, per altro verso, la posizione dei singoli creditori è diversa a seconda che siano antecedenti o successivi all'attività di erogazione abusiva. Ha quindi esteso le stesse considerazioni all'azione di natura contrattuale per violazione dei doveri di buona fede e protezione del sovvenzionato.

Ha invece affermato la legittimazione della curatela ad agire nei confronti della banca quale soggetto subentrato ex art. 43 l.fall. nell'amministrazione del patrimonio del fallito, rigettando tuttavia la domanda nel merito per non essere stata allegata, tanto meno dimostrata, l'esistenza di un danno direttamente collegato all'erogazione del credito, attività che di per sé sola comporta l'immissione in società di nuove risorse finanziarie e che, secondo la prospettazione della curatela attrice, aveva consentito all'impresa decotta [per il tramite dei suoi amministratori infedeli] di proseguire l'attività caratteristica – in violazione degli obblighi di gestione meramente conservativa propri della fase liquidatoria – così producendo ulteriori perdite.

Il Tribunale ha, quindi, affermato, sulla scorta dei principi affermati dalle sentenze nn. 13413/2010 e 11798/2017 della S.C., la legittimazione della curatela ad agire ex art. 146 l. fall. per il risarcimento del danno derivato dall'abusivo ricorso al credito nei confronti della banca - responsabile in solido ex art. 2055 c.c. con l'amministratore infedele (nella specie non convenuto) – osservando che l'avventata o imprudente erogazione del credito può, unitamente alla richiesta di credito da parte degli amministratori di una società decotta, contribuire al differimento dell'emersione del dissesto e quindi al suo aggravamento.

Tuttavia, ha rigettato la domanda ritenendo non assolto l'onere di allegazione, prima ancora che quello probatorio, dei fatti costitutivi della responsabilità dell'organo gestorio rispetto ai quali la banca convenuta si sarebbe resa complice.

Ha rilevato infatti che, con l'atto introduttivo e con le successive memorie ex art. 183 comma 6, c.p.c., la curatela attrice:

  • si era concentrata sulla condotta posta in essere dall'istituto di credito che – in violazione dei principi e delle norme che sovrintendono lo svolgimento del servizio di erogazione del credito – aveva concesso credito alla società senza una preventiva accurata istruttoria, senza una positiva verifica circa le reali condizioni economico patrimoniali della beneficiaria e senza farsi rilasciare idonea garanzia, così contribuendo all'artificiale mantenimento in vita di una società irreversibilmente decotta e all'aggravamento del suo dissesto, con conseguente grave danno per il patrimonio sociale e per i suoi creditori;
  • con riferimento alla condotta degli amministratori si era invece limitata a “sporadici e generici riferimenti” alle anomalie contabili compiute per occultare il dissesto della società, rinviando al contenuto dell'allegata relazione ex art. 33 l. fall. a sua volta generica in ordine alle condotte causative del dissesto, ma soprattutto a quelle che ne avevano provocato l'aggravamento, “nonché circa l'interdipendenza causale tra la condotta asseritamente imprudente della Banca e quella pretesamente inadempiente degli amministratori nel fare ricorso ai finanziamenti e viceversa”.

Il collegio ha ritenuto tali allegazioni inidonee a determinare pure lo svolgimento di una ctu, reputando esplicitamente insufficiente l'avere evidenziato le anomalie e gli artifici contabili che avevano dissimulato la perdita di continuità aziendale in mancanza della indispensabile individuazione, in modo chiaro e preciso, delle operazioni non conservative successivamente poste in essere dagli amministratori grazie alla condotta della banca e di quelle che comunque avrebbero dovuto essere compiute comunque, anche al solo fine di consentire il normale esaurimento di rapporti allora in essere, durante la fase liquidatoria. Ha infine adombrato dubbi in ordine:

  • -alla rilevabilità da parte dell'operatore bancario delle criticità finanziarie della società sulla sola base dei bilanci di esercizio, “(peraltro, per ammissione dell'attore, abilmente occultate ed asseritamente disvelate soltanto attraverso operazioni di analisi e riclassificazione non propriamente esigibili da parte del funzionario dell'istituto erogatore il finanziamento)”;
  • -alla possibilità che la Banca, a fronte di un finanziamento di circa € 6.500.000,00, debba rispondere, per l'intero, sia pur in concorso solidale con altri, di un danno superiore a venti milioni di euro.
Osservazioni

Il Tribunale di Bologna ha sviscerato la complessa questione sottoposta al suo esame affrontandola da ogni angolo prospettico, procedendo (forse) ad una eccessiva parcellizzazione della fattispecie.

Vertendosi in un'ipotesi di azione ex art. 146 l. fall., la sentenza – nel rispetto dei principi costantemente enunciati dalla S.C. in ordine alla duplicità dell'azione in questione e sulla scorta delle allegazioni della curatela attrice – ha distinto il profilo della responsabilità contrattuale da quello della responsabilità extracontrattuale fatto valere dalla curatela nei confronti della banca convenuta.

Ha ricondotto al primo ambito l'azione proposta dalla curatela, subentrata nella legittimazione all'esercizio dei diritti patrimoniali del fallito ex artt. 43, comma 1, e 200 comma 2, l. fall., per far valere la violazione degli obblighi di buona fede e protezione che devono presiedere ex art. 1375 c.c. all'esecuzione del contratto di finanziamento.

Osservato però che il danno lamentato consisteva nell'aggravamento del dissesto derivato dalla prosecuzione dell'attività in violazione degli obblighi derivanti dagli artt. 2446 - 2447 c.c. al verificarsi di una causa di scioglimento (art. 2486 c.c.), ha ritenuto che la violazione degli obblighi di protezione connessi al contratto di finanziamento fosse un elemento accidentale della prospettazione di parte attrice (il cui cuore era costituito invece da illeciti di natura societaria), tale per un verso da escludere l'obbligo di esperire il tentativo di mediazione obbligatoria proprio (ex art. 5 D.L. n. 28/2010 e successive modifiche) delle controversie aventi a oggetto contratti bancari e, per altro verso, da escluderne la natura di “azione di massa”, con conseguente negazione della legittimazione della curatela, conclusione raggiunta sulla scorta delle medesime considerazioni svolte con riferimento all'azione di responsabilità extracontrattuale da abusiva concessione del credito.

Il Tribunale, ritenendo inapplicabile l'obbligo della mediazione preventiva, ha dunque sostanzialmente negato che fosse stata proposta l'azione contrattuale, salvo poi entrare nel merito ed evidenziare – con una sorta di doppia motivazione – la mancanza di un danno direttamente riconducibile all'erogazione del credito. Inoltre si è premurato, anche con riferimento a tale azione, di escludere la legittimazione della curatela ad agire nell'interesse della massa dei creditori, senza considerare che l'azione contrattuale poteva essere esperita solo dalla società e, dopo il suo fallimento, dalla curatela ex art. 43 comma 1 e 200 comma 2 l. fall.

Quanto all'azione risarcitoria di natura extracontrattuale da abusiva concessione del credito, il Tribunale prima ha negato che rientri tra le azioni di massa uniformandosi alla sentenza n. 7029/2006 delle sezioni unite della S.C., poi però ha affermato (recependo gli insegnamenti di più recenti pronunce di legittimità tra le quali; Cass. civ. n. 9983/2017) la legittimazione della curatela ad agire ex art. 146 l. fall., per il risarcimento del danno derivato dall'abusivo ricorso al credito, nei confronti della banca responsabile in solido ex art. 2055 c.c. con l'amministratore infedele, avendo peraltro fin dall'inizio giustamente affermato – nonostante gli amministratori non fossero stati convenuti in giudizio – la sostanziale sussumibilità dei fatti contestati nell'alveo delle fattispecie penali tipizzate dagli artt. 217 n. 4 (bancarotta semplice) e 218 l. fall. (ricorso abusivo al credito).

Ebbene, proprio alla luce della prospettazione dei fatti di causa quali si evincono dalla sentenza in commento, non risulta agevole cogliere la differenza tra le due azioni, che sembrano sostanzialmente coincidere, essendo fondate sulle medesime allegazioni in fatto. Ciò posto, la seconda affermazione supera condivisibilmente la prima, ed è coerente con il principio della “legittimazione unitaria del curatore fallimentare sia in sede penale, sia in sede civile per tutte le azioni esercitabili nei confronti degli amministratori”, principio affermato dalle sezioni unite della S.C. con la sentenza n. 1641/2017 (in ordine alla responsabilità degli amministratori per i fatti di bancarotta preferenziale commessi mediante pagamenti eseguiti in violazione della “par condicio creditorum), che ha altresì ribadito l'irrilevanza, sul piano della legittimazione e dell'interesse ad agire del curatore, dei prevedibili esiti della procedura concorsuale.

Gli argomenti (invero ripresi dalla pronuncia delle sezioni unite del 2006) utilizzati per negare che l'azione risarcitoria da abusiva concessione del credito sia un'azione di massa afferiscono infatti più che al piano della legittimazione, a quello della prova e della quantificazione del danno, peraltro difficilmente negabile per la massa dei creditori ogni qualvolta, a cagione dell'incapienza del patrimonio sociale, abbiano subito una falcidia delle proprie ragioni.

Qualche considerazione va svolta anche con riferimento alle ragioni del rigetto della domanda nel merito.

Rilevato che la sentenza dà atto della specificità delle allegazioni della curatela attrice in ordine alla condotta della banca, che avrebbe concesso il finanziamento senza compiere un'istruttoria accurata in ordine all'effettiva situazione economico patrimoniale della società e senza farsi rilasciare alcuna garanzia; non pare determinante quanto osservato – invero solo in termini dubitativi – in ordine alla impossibilità, per l'operatore bancario, di rilevare le criticità finanziarie della società sulla sola base dei soli bilanci di esercizio, peraltro alterati. Considerata la natura di operatore qualificato della banca, la rilevanza costituzionale (art. 47 Cost.) della disciplina, del coordinamento e del controllo dell'esercizio del credito, nonché l'art. 5 TUB che impone alla bancadi seguire i principi di sana e prudente gestione valutando il merito di credito in base a “informazioni adeguate”;occorre piuttosto chiedersi se l'esame dei soli bilanci di esercizio sia sufficiente a integrare – alla luce delle direttive della Banca d'Italia e, nello specifico, delle Istruzioni di vigilanza per gli enti creditizi (Circolare n. 229 del 21/04/1999 e successivi aggiornamenti) – gli estremi di un'istruttoria e di una verifica sulle condizioni economico patrimoniali del soggetto che richieda un finanziamento, adeguata ai fini della sua erogazione.

Non appare determinante ai fini dell'esclusione della responsabilità della banca, neppure la considerazione svolta con riferimento alla differenza tra l'importo del finanziamento e quello del danno lamentato. Posto infatti che si verte in ipotesi di responsabilità extracontrattuale e che dunque non vale il limite della “prevedibilità del danno” posto dall'art. 1225 c.c., la questione va risolta se mai in sede di esecuzione mediante una compensazione tra l'importo del risarcimento (in ipotesi riconosciuto) e quello che spetterà alla banca, certamente ammessa al passivo, in sede di riparto.

Infine, con riferimento alla condotta degli amministratori, se per un verso va certamente condivisa l'affermazione della necessità imprescindibile di specifiche allegazioni che non possono risolversi in un generico rinvio alla relazione ex art. 33 l. fall., tali allegazioni non devono necessariamente riguardare le condotte non conservative poste in essere dopo l'erogazione del finanziamento.

Quando infatti la tesi è (come nella specie) che la richiesta e l'erogazione del finanziamento siano intervenute allorquando si era già verificata la causa di scioglimento della perdita del capitale, dissimulata mediante false appostazioni in bilancio, l'onere di specifica allegazione (e conseguente prova) dovrà riguardare le anomalie e gli artifici contabili attraverso i quali era stata dissimulata la perdita e il suo insorgere in data anteriore alla richiesta di finanziamento, individuandosi nella stessa richiesta di finanziamento la condotta inadempiente – e dunque rilevante ai fini della responsabilità – dell'amministratore. Attengono invece ancora una volta al piano della quantificazione del danno le allegazioni relative alle operazioni che comunque sarebbero state durante la gestione liquidatoria, le cui conseguenze sono destinate ad abbattere l'entità del risarcimento.