Auto aziendale: uso personale o concetto “lato” di uso per motivi di lavoro?

La Redazione
02 Febbraio 2018

Illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al dipendente che ai avvale sistematicamente delle auto aziendali per tornare a casa in pausa pranzo e a fine giornata: tale utilizzo non travalica un concetto "lato" di uso del mezzo per motivi di lavoro e, in ogni caso, la sanzione espulsiva non è proporzionata all'intensità dell'elemento soggettivo ed all'assenza di pregiudizio derivatone alla società.

La Corte d'Appello dichiarava illegittimo il licenziamento disciplinare intimato al dipendente che utilizzava sistematicamente le auto aziendali per tornare a casa in pausa pranzo e a fine giornata, non rilevando una vera e propria “distrazione” dai fini lavorativi e professionali (quale ipotizzabile, ad esempio, in occasione di un viaggio, di una visita di piacere o del disbrigo di incombenze personali) ed, anzi, evidenziando che, in ogni caso, anche a voler ritenere la condotta di rilievo disciplinare, la sanzione espulsiva non era proporzionata all'intensità dell'elemento psicologico ed all'assenza di un serio aggravio di spese o altro nocumento per la società.

Il datore ricorreva quindi per la cassazione della sentenza, censurando i parametri utilizzati dai giudici di merito nella valutazione di illegittimità del licenziamento, quali il concetto “lato” di uso aziendale del mezzo per motivi di lavoro, la scarsa valenza trasgressiva della condotta contestata alla luce della comune nozione di “servizio” e l'omessa prova di un pregiudizio economico per l'azienda.

Censure prive di pregio, a parere della Suprema Corte, che sottolinea come “nel contesto argomentativo della decisione di appello, in relazione alla considerazione sub b) [la non proporzionalità del recesso, ndr], da sola idonea a fondare la valutazione di illegittimità del recesso datoriale, l'evocazione di un ‘concetto lato' di uso aziendale dell'autovettura viene in rilievo a connotare in termini di minore gravità la condotta addebitata e non in funzione scriminante della illiceità della condotta, nel senso di rendere la stessa legittima; in questa prospettiva si sottrae, pertanto, alle contestazioni formulate dalla parte ricorrente relative alla congruità di uno dei parametri utilizzati dal giudice di appello nel dare concreta specificazione alla nozione legale di giusta causa”. Sottratti al sindacato di legittimità anche gli ulteriori elementi fondanti la non proporzionalità della condotta, la Corte di Cassazione respinge il ricorso e conferma l'illegittimità del licenziamento.

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