Ordinanza di estinzione del processo e giudice unico: quale impugnazione?
05 Febbraio 2018
Massima
Il provvedimento con il quale il giudice istruttore in funzione di giudice unico dichiara l'estinzione del processo è impugnabile non con reclamo al collegio ma, anche se ha forma di ordinanza, con appello. Se il provvedimento è pronunciato dopo che le parti hanno precisato le conclusioni, il giudice di appello deve trattenere la causa e decidere nel merito. Il caso
In un procedimento tenutosi davanti al tribunale in composizione monocratica, fu pronunciata, nella fase di trattazione, una ordinanza dichiarativa dell'estinzione del giudizio, ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 181 c.p.c.. Il provvedimento fu impugnato con reclamo al collegio e il gravame fu rigettato con sentenza. Avverso questa decisione fu proposto ricorso per cassazione, assumendo a motivo di doglianza la violazione o falsa applicazione degli artt. 136 e 181 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, stesso codice. La questione
Per i procedimenti nei quali il tribunale giudica in primo grado in composizione collegiale, l'art. 308 c.p.c. indica nel reclamo l'atto con il quale la dichiarazione di estinzione del processo effettuata dal giudice istruttore può essere impugnata. Il reclamo va proposto al collegio ed è dunque un gravame interno al procedimento. La norma citata specifica che esso deve essere proposto nei modi di cui al precedente art. 178, comma 2 e 3. A sua volta, la disposizione dettata dall'art. 178, comma 2, precisa che il reclamo immediato al collegio è consentito soltanto quando l'ordinanza di estinzione è pronunciata dal giudice istruttore che non opera in funzione di giudice unico. Il combinato disposto delle due norme è applicativo del medesimo principio: se il reclamo al collegio è uno strumento di tutela interno al processo, occorre che questo abbia natura di procedimento per il quale un collegio può essere costituito. L'indicata normativa non si applica, dunque, al processo che si svolge presso il giudice monocratico. Essa sfugge al generale disposto di cui all'art. 281-bis nella parte che rende applicabili a siffatto tipo di processo le disposizioni dettate in generale con riferimento ai giudizi collegiali. E questa inapplicabilità pone la questione di reperire per altro verso la regola in base alla quale individuare il mezzo di gravame proponibile avverso l'ordinanza di estinzione proveniente dal giudice istruttore che opera come giudice singolo. Esistono argomenti per ritenere comunque esperibile un reclamo? O la soluzione al quesito va ricercata altrimenti? Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso. L'ordinanza di estinzione, ha affermato, avrebbe dovuto essere gravata di appello, e non di reclamo. Quell'atto, infatti, aveva natura di sentenza, in quanto risolveva una questione pregiudiziale di rito che comportava la definizione del processo davanti al giudice adito. La Corte di cassazione ha seguito un percorso interpretativo che ha condotto ad escludere l'ammissibilità del reclamo. Essa ha osservato che l'ordinanza del giudice istruttore, che opera come giudice unico, dichiarativa dell'estinzione del processo, ne determina la definizione ed assume, per questo aspetto, natura di sentenza. Come tale, il provvedimento è impugnabile con gli ordinari mezzi di gravame e, in specie, con l'appello. La stessa Corte ha poi voluto completare la sua pronuncia con un cenno idoneo a descrivere un altro aspetto della questione propostale. Nel caso in cui il giudice unico dichiari l'estinzione dopo che ha raccolto le conclusioni delle parti, il giudice dell'appello che rilevi l'erroneità di tale dichiarazione non può limitare la sua pronuncia al rito ma deve trattenere la causa e decidere nel merito. Osservazioni
La decisione che si annota risulta conforme ad alcune pronunce che l'hanno preceduta. Per quanto concerne l'affermazione relativa alla natura di sentenza dell'ordinanza emessa dal giudice istruttore in funzione di giudice unico, già Cass. civ., sez. III, n. 18242/2008 aveva affermato: «Quando il giudice istruttore opera come giudice monocratico, il provvedimento, con cui dichiara che il processo si è estinto, non è soggetto a reclamo e, siccome determina la chiusura del processo in base alla decisione di una questione pregiudiziale attinente al processo, ha natura di sentenza, anche se emesso in forma di ordinanza, con la sua conseguente impugnabilità mediante appello». In senso conforme, Cass. civ., n. 22917/2010. Per quanto invece concerne il compito del giudice di appello, la stessa Cass. civ., n. 22917/2010, già aveva specificato che: «La rimessione ex art. 354, comma 2, c.p.c. non va disposta quando il tribunale in composizione monocratica, invitate le parti a precisare le conclusioni e trattenuta la causa per la decisione, abbia erroneamente dichiarato l'estinzione del processo; pertanto il giudice d'appello, riformata tale pronuncia, deve decidere la causa nel merito». Le decisioni ricordate chiariscono aspetti di una normativa carente e che ha dovuto essere ricostruita dall'interprete. Gli artt. 281-bis e seguenti si limitano, infatti, a dettare la regola di principio secondo cui le norme riguardanti il giudizio collegiale si applicano anche al giudizio dinanzi al giudice monocratico. Ma, di fronte all'ostacolo derivante dal disposto dell'art. 178, comma 2, che riserva il reclamo al solo procedimento collegiale, l'operatore ha incontrato un vuoto da colmare in base ai principi desumibili dal diritto positivo. Due sono, allora, le osservazioni possibili. L'una è riferita alla valutazione dell'ordinanza dichiarativa dell'estinzione come avente natura di vera e propria sentenza. L'altra concerne il completamento del quadro normativo, negli aspetti non direttamente presi in considerazione dalla decisione in esame, se di questa decisione deve condividersi il principio affermato. Sul primo punto va ricordato che si era giunti ad affermare la natura di sentenza dell'ordinanza del giudice istruttore in funzione di giudice unico anche in esito ad argomentazioni diverse da quelle esposte nella pronuncia che si annota. Nel silenzio normativo, avverso una siffatta ordinanza era stata tentata la via del ricorso per cassazione. E con pronuncia n. 17522/2015 la Suprema Corte aveva affermato: «È inammissibile il ricorso per cassazione avverso l'ordinanza del giudice di primo grado di estinzione del processo atteso che il provvedimento, ove adottato dal tribunale in composizione monocratica, è assimilabile alla sentenza del tribunale che, in composizione collegiale e ai sensi dell'art. 308, comma 2, c.p.c., respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore, sicché ha natura sostanziale di sentenza e deve essere impugnato con l'appello, mentre, ove sia stato emesso dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, conserva natura di ordinanza reclamabile avanti al collegio». La massima riportata enuncia una differenza che la giurisprudenza della Suprema Corte aveva delineato con alcune decisioni conformi. Se va attribuita natura di sentenza all'ordinanza del giudice istruttore che opera in funzione di giudice unico, si era osservato, conserva la propria natura di ordinanza il provvedimento del giudice istruttore che opera nel giudizio di pertinenza collegiale: ed essa è impugnabile con reclamo (come, del resto, si desume dagli artt. 308 e 178 c.p.c.). Anche Cass. civ., sez. I, n. 20631/2011, si era pronunciata nello stesso senso: «L'ordinanza emanata dal tribunale in composizione monocratica, che dichiara l'estinzione del processo, è assimilabile alla sentenza del tribunale che, in composizione collegiale e ai sensi dell'art. 308, comma 2, c.p.c., respinge il reclamo contro l'ordinanza di estinzione del giudice istruttore; tale provvedimento, pertanto, ha natura sostanziale di sentenza e deve essere impugnato con l'appello. La pronuncia conserva invece la natura di ordinanza reclamabile avanti al collegio se emessa dal giudice istruttore nelle cause in cui il tribunale giudica in composizione collegiale». Per quanto riguarda, più specificamente, l'affermazione tout court secondo la quale l'ordinanza del giudice istruttore monocratico dichiarativa dell'estinzione del processo costituisce una sentenza, va ricordato che, a proposito delle ordinanze conclusive di un procedimento, la giurisprudenza ha applicato in modo tutto particolare il principio noto come “dell'apparenza”. Secondo questo principio, ove attuato in modo coerente e rigoroso, se un atto è stato assunto nella forma dell'ordinanza, nella errata convinzione che essa sia quella corretta per il caso concreto, il gravame deve essere quello che consente di impugnare le ordinanze; e vale la medesima argomentazione per il caso in cui il provvedimento è emanato in forma di sentenza. La regola così affermata si risolve in un criterio interpretativo di facile applicazione: sulla reale natura di un atto (o di una controversia) deve prevalere la forma (o la valutazione) che è stata operata dal giudice precedente, in modo che ne consegua senza alcuna possibilità di dubbio il regime cui rifarsi per il grado successivo. Il principio dell'apparenza nel senso riportato trova un supporto di conferma e di fondamento in una norma di diritto positivo. L'art. 279, comma 4, chiarisce, infatti, che i provvedimenti del collegio, in forma di ordinanza, non possono mai pregiudicare la decisione della causa, sono sempre modificabili e revocabili e non sono soggetti ai mezzi di impugnazione previsti per le sentenze. Ne risulta, pertanto, un sistema normativo limpido e autosufficiente. La giurisprudenza, contro la prevalente dottrina, ha, tuttavia, individuato una regola che integra (e modifica) il mero dato letterale della disposizione citata: le ordinanze collegiali non sono impugnabili con gli ordinari mezzi di gravame a patto che siano ordinanze non solo nella forma ma anche nella sostanza. Ove assumano il carattere decisorio che è proprio delle sentenze giudiziali esse non possono essere ritenute semplici ordinanze ma vanno considerate quali sentenze. Questa diversa regola è affermata soprattutto in presenza di due situazioni: allorchè l'ordinanza (e qualche volta il decreto) assume il carattere di una decisione sul merito incidente su diritti soggettivi o comunque su interessi meritevoli di tutela giudiziaria di una delle parti in causa; e quando essa comporta la definizione del giudizio dinanzi al giudice adito, senza che sia previsto uno specifico mezzo di gravame. Ma chi decide qual è la vera natura di un provvedimento emanato in forma di ordinanza (o di decreto)? Occorre sia disponibile un parametro utilizzabile dalle parti e facilmente applicabile, affinchè non si apprenda soltanto ex post quale avrebbe dovuto essere l'impugnazione correttamente proponibile. La tutela dei diritti e degli interessi della parte ha indotto la Corte di cassazione e i giudici di merito a ritenere risolutiva la considerazione della natura della controversia, quale ritenuta dal giudice. Il principio dell'apparenza è inteso con un temperamento di notevole rilievo. Più che la forma dell'atto in sé, contano la sua sostanza e la natura della controversia nella quale esso si inserisce; valgono, per l'una e per l'altra, le valutazioni del giudice a quo, quanto a tipologia dell'azione esercitata ed al suo contenuto. «L'identificazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale deve essere compiuta in base al principio dell'apparenza, vale a dire, con riferimento esclusivo alla qualificazione dell'azione effettuata dal giudice nello stesso provvedimento, indipendentemente dall'esattezza di essa nonché da quella operata dalla parte» (Cass. civ., sez. VI, n. 24833/2017; nello stesso senso, Cass. civ., n. 5810/2017; Cass. civ., n. 21520/2015, e, a ritroso, sino a Cass. civ., Sez. Un. n. 1914/1992). É stata negata rilevanza alla forma dell'atto ed alla reale natura della controversia, in favore di quanto ritenuto dal giudice a quo, in tema di giurisdizione (Cass. civ., n. 3467/1994); di tipologia dell'impugnazione (opposizione anziché appello: Cass. civ., n. 3712/2011; Cass. civ., n. 2434/2008); di rito del grado successivo del giudizio (Cass. civ., n. 14401/2015; Cass. civ., n. 15897/2014); e di applicazione, oppur no, della sospensione feriale dei termini (Cass. civ., n. 24833/2017). In una visione ugualmente pragmatica, l'esigenza di avere uno strumento di riesame della pronuncia alla quale consegue la chiusura del processo dinanzi al giudice adito, ove non siano previsti appositi mezzi di gravame, ha indotto la giurisprudenza ad attribuire prevalenza, piuttosto che alla forma dell'atto, all'effetto di cessazione delle attività processuali, che lascia insoddisfatta la domanda di giustizia delle parti. Nella vicenda di specie la parte che intendeva dolersi della dichiarata estinzione del processo davanti al giudice unico, nella fase di trattazione, aveva ritenuto applicabile la normativa secondo cui le ordinanze sono, in genere, reclamabili e modificabili: una normativa che appariva desumibile dal disposto degli artt. 308 e 178 c.p.c., anche se conteneva la riserva negativa a sfavore del giudice unico. La Corte di cassazione ha tenuto conto di un dato oggettivo, costituito dalla mancanza di un collegio nel giudizio presso il giudice monocratico. E ha considerato elemento risolutivo l'effetto di preclusione per la prosecuzione del processo derivante dalla decisione di un giudice che pronuncia da solo e che si spoglia dell'azione esercitata dinanzi a lui. La natura di sentenza dell'ordinanza di estinzione pronunciata dal giudice istruttore in funzione di giudice unico può dirsi dunque affermata con decisioni che valgono come jus receptum. Assumendo questo dato come punto di partenza può tentarsi un completamento dell'assetto normativo concernente l'ordinanza di estinzione del processo pronunciata dal giudice unico. Oltre a quanto ha specificato la decisione in commento, può ricordarsi che Cass. civ., sez. VI, n. 7614/2017, Cass. civ., n. 8002/2009 e Cass. civ., n. 18242/2008 avevano chiarito: «Il provvedimento di estinzione del giudizio adottato dal tribunale in composizione monocratica in sede di appello ha il contenuto sostanziale di sentenza anche quando abbia assunto la forma di ordinanza e, pertanto, non essendo soggetto a reclamo, è impugnabile con ricorso per cassazione». Si è anche aggiunto: «… il provvedimento del giudice monocratico che dichiara estinto il giudizio di appello, così definendolo, può essere impugnato solo con ricorso per cassazione, senza che l'eventuale adozione della forma dell'ordinanza valga a modificare il decorso dei termini ordinari di impugnazione» (Cass. civ., sez. III, n. 18242/2008). Più interessante risulta una notazione che l'ordinanza in esame effettua in modo sintetico. Si legge in essa che il giudice di appello, quando l'estinzione è erroneamente dichiarata dal giudice unico che ha raccolto le conclusioni delle parti, non può rimettere la causa al primo giudice perché non ricorre l'ipotesi contemplata dall'art. 308, comma 2, c.p.c. richiamata dal successivo art. 354, comma 2, stesso codice. Quest'ultima disposizione demanda al giudice di secondo grado di rimettere la causa al giudice a quo nel caso di riforma della sentenza che ha pronunciato sull'estinzione del processo: e rinvia alle forme dell'art. 308. L'art. 308 concerne il procedimento di reclamo, che è proprio al solo giudizio davanti al tribunale collegiale. Ne è seguita, per la Corte, la conseguenza cui ha accennato nell'ordinanza. La rimessione è consentita nelle sole fattispecie in cui è esperibile il reclamo al collegio. Fuori da questa ipotesi il giudice di appello deve decidere la causa nel merito. Il disposto dell'art. 354, comma 2, apparentemente ampio nell'ammettere la rimessione quando è riformata in appello la sentenza di estinzione del processo, assume un contenuto notevolmente circoscritto, per effetto della clausola limitativa: «a norma e nelle forme dell'art. 308». Questa clausola esclude i casi nei quali l'ordinanza di estinzione non è impugnabile con il reclamo ma è impugnabile con i mezzi di gravame ordinari. |