Tutela del dipendente pubblico in caso di licenziamento illegittimo intimato dopo la Legge Fornero

08 Febbraio 2018

Le modifiche apportate dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012) all'art. 18 dello Statuto del Lavoratore (L. n. 300/1970) non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla sua entrata in vigore, resta quella prevista dall'art. 18 St. Lav. nel testo antecedente la riforma. A tal fine rileva l'inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001, neppure richiamate al co. 6 del nuovo art. 18. Inoltre, la natura fissa e non mobile del rinvio di cui all'art. 51, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001 mostra l'incompatibilità con un automatico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura del dipendente licenziato.
Massima

Le modifiche apportate dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012) all'art. 18 dello Statuto del Lavoratore (L. n. 300/1970) non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, sicché la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva alla sua entrata in vigore, resta quella prevista dall'art. 18 St. Lav. nel testo antecedente la riforma.

A tal fine rileva, da un lato, il fatto che l'art. 1, co. 8, della L. n. 92/2012 rinvia ad un intervento successivo, dall'altro, l'inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001, neppure richiamate al co. 6 del nuovo art. 18.

Inoltre, assume importana in questo senso la natura fissa e non mobile del rinvio di cui all'art. 51, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001, che mostra l'incompatibilità con un automatico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura del dipendente licenziato.

Il caso

La Corte d'appello di Salerno, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, accoglieva la domanda proposta dal lavoratore nei confronti del Ministero dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, dell'Ufficio scolastico regionale per la Campania per la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato al dipendente.

La Corte distrettuale, rilevando l'intervenuta decadenza del Ministero e dell'ufficio scolastico regionale ex art. 55-bis, co. 4, del D.Lgs. n. 165/2001 per superamento del termine perentorio di 120 giorni per l'adozione del provvedimento disciplinare e, in applicazione dell'art. 18, co. 6, della L. n. 300/70, come novellata dalla L. n. 92/12, condannava il datore di lavoro al pagamento di un'indennità risarcitoria pari a sei mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, oltre ad accessori di legge.

Il lavoratore proponeva ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione denunciando la violazione e la falsa applicazione dell'art. 18, L. n. 300/70, come riformulato dalla L. n. 92/12, dell'art. 51, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001, nonché il vizio di motivazione per aver, la Corte distrettuale, fatto discendere dalla ritenuta violazione delle regole procedimentali dettate dall'art. 55-bis, co. 4, del D.Lgs. n. 165/2001 le conseguenze previste dal co. 6 dell'art. 18, L. n. 300/1970 nel testo modificato nel 2012.

La questione

La pronuncia in esame, concernendo la vexata quaestio dell'applicabilità o meno al pubblico impiego delle modifiche apportate dalla L. n. 92/2012, risulta di particolare interesse perché ribadisce un importante principio di diritto enunciato recentemente dalla Suprema Corte.

Si tratta dell'applicabilità in via ultrattiva dell'art. 18, L. n. 300/1970 nella versione anteriore all'intervento normativo operato dalla L. n. 92/2012 e, quindi, della perdurante operatività per il dipendente pubblico della tutela reintegratoria ante riforma in caso di licenziamento illegittimo.

In particolare la Cassazione ha affermato che le modifiche apportate dalla L. n. 92/2012 all'art. 18, L. n. 300/1970 non si applicano ai rapporti di pubblico impiego privatizzato, con la conseguenza che la tutela del dipendente pubblico, in caso di licenziamento illegittimo intimato in data successiva all'entrata in vigore della richiamata L. n. 92/2012, resta quella prevista dall'art. 18 St. Lav., nel testo antecedente la riforma.

A tal fine, precisa la Corte, rilevano il rinvio ad un intervento normativo successivo ad opera dell'art. 1, co. 8, della L. n. 92/2012, l'inconciliabilità della nuova normativa, modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs. n. 165/2001, neppure richiamate al comma 6 dell'art. 18 nuova formulazione, la natura fissa e non mobile del rinvio di cui all'art. 51, co. 2, del D.Lgs. n. 165/2001, incompatibile con un automatico recepimento di ogni modifica successiva che incida sulla natura del dipendente licenziato (Cass. sez. lav., 9 giugno 2016, n. 11868).

Sul punto la dottrina (M. De Luca), sostenendo la perdurante applicabilità della tutela reintegratoria ante riforma al licenziamento illegittimo del dipendente pubblico, ha argomentato nel senso della sussistenza di un'essenziale diversità dei vizi del licenziamento nel lavoro privato e nel pubblico impiego, richiamando la differenza che connota il fondamento dell'annullabilità del licenziamento nel pubblico impiego rispetto al difetto di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo del lavoro privato, nonché la diversificazione anche afferente agli aspetti procedurali ed alla forma di cui all'art. 55-bis del D.lgs. n. 165/2001 rispetto alla procedura prevista per il licenziamento disciplinare nel settore privato.

La conseguenza di questa dicotomia sul versante del regime giuridico sarebbe rinvenibile proprio nell'ultrattività per i dipendenti pubblici dell'intera disciplina organica della tutela reale di cui all'art. 18 St. Lav., nel testo ante riforma del 2012.

In proposito, sembra molto efficace la suggestione proposta da altra dottrina (M. Miscione) la quale evidenzia che, anche prima della riforma operata nel 2012, erano già presenti “due articoli 18”, uno per il lavoro privato, l'altro per quello pubblico, dal momento che risultano differenti sia il campo d'applicazione della norma, sia la procedura per il licenziamento disciplinare, nonché la nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che nel pubblico impiego è regolato dagli artt. 30 e 33 del D.Lgs. n. 165/2001.

Acutamente altra dottrina (F. Carinci) sottolinea che la ratio di una tale impostazione ricostruttiva trova le proprie basi in un argomento di ordine sostanziale perché il sistema di licenziamenti nel pubblico impiego “è del tutto peculiare, auto concluso ed auto-sufficiente, rispetto a cui il richiamo generale e generico dello Statuto dei Lavoratori non avrebbe aggiunto un granché”.

Le soluzioni giuridiche

Merita sottolineare che prima del chiarimento operato dalla Corte di Cassazione con la pronuncia del 2016, supra citata, la quaestio iuris in ordine all'ampiezza della portata operativa dell'art. 18 St. Lav., come modificato dalla L. n. 92/2012, rispetto al pubblico impiego, era fortemente dibattuta.

Invero, si erano formati orientamenti contrastanti che per giungere ad affermare o negare l'applicabilità della nuova disciplina ai rapporti di pubblico impiego contrattualizzato, valorizzavano, da un lato il rinvio mobile alle disposizioni dettate dalla L. n. 300/1970 contenuto nell'art. 51, D.Lgs n. 165/2001, e la necessità di garantire, anche dopo la riforma, l'uniformità di trattamento fra impiego pubblico e privato; dall'altro, i co. 7 e 8, art. 1, L. n. 92/2012, nonché l'inconciliabilità della nuova disciplina con lo specifico regime imperativo di cui agli artt. 54 e ss. delle norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni.

In particolare, parte della dottrina (P. Ichino, U. Romagnoli) sosteneva l'applicabilità dello Statuto dei lavoratori, così come novellato dalla L. n. 92/2012, anche al pubblico impiego contrattualizzato, vale a dire ai dipendenti statali e locali, con esclusione delle categorie dei professori, dei magistrati e dei militari. Tale impostazione, trovando le sue ragioni giustificative nella mancata esclusione esplicita, nel testo riformato, dei lavoratori pubblici dalla nuova disciplina dei licenziamenti, comportava la potenziale assoggettabilità al licenziamento senza possibilità di reintegrazione per tutti i dipendenti pubblici assunti dopo il 7 marzo 2015.

Diversamente, la Suprema Corte di Cassazione, prendendo posizione critica nei confronti di altra precedente pronuncia (Cfr. Cass. sez. lav., 26 novembre 2015, n. 24157), è giunta ad affermare l'esclusione del nuovo regime delle tutele in caso di licenziamento illegittimo rispetto ai rapporti di lavoro disciplinati dall'art. 2, D.Lgs n. 165/2001.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha osservato che l'art. 1, L. n. 92/2012 nulla dice in ordine all'estensione della nuova disciplina del licenziamento all'impiego pubblico, con la conseguenza che, in difetto di una previsione espressa, non può operare il rinvio di cui al comma 8. Pertanto, fino al successivo intervento normativo di armonizzazione, non si estendono ai dipendenti pubblici le modifiche apportate all'art. 18 St. Lav. e la tutela da riconoscere a detti dipendenti in caso di licenziamento illegittimo rimane quella assicurata dalla previgente formulazione normativa (Cass. sez. lav., 9 giugno 2016, n. 11868).

Sembra opportuno osservare che tali conclusioni, avvalorate da plurime ragioni di ordine logico e sistematico, rinvengono le proprie basi nel tenore letterale della disciplina in questione. Si pensi, in primo luogo, alle finalità della L. n. 92/2012, per come formulate dall'art. 1, che risultano afferenti alle esigenze proprie dell'impresa privata, nonché al fatto che la stessa riformulazione dell'art. 18 St. Lav. ad opera della L. n. 92/2012 introduce una modulazione delle sanzioni con riferimento ad ipotesi di illegittimità pensate in relazione al solo lavoro privato, e che, dunque, non si prestano ad un'estensione all'impiego pubblico contrattualizzato per il quale il legislatore, in particolare con il D.Lgs n. 150/2009, ha dettato una disciplina inderogabile, procedendo alla tipizzazione anche di illeciti disciplinari ai quali deve necessariamente seguire la sanzione del licenziamento.

In proposito la Suprema Corte osserva altresì che un'eventuale modulazione delle tutele nell'ambito dell'impiego pubblico contrattualizzato richiederebbe da parte del legislatore una ponderazione di interessi diversa da quella effettuata per l'impiego privato, poiché, come evidenziato dalla Corte Costituzionale, a differenza di quanto accade nel settore privato, nel quale il potere di licenziamento del datore di lavoro è limitato allo scopo di tutelare il dipendente, nel settore pubblico il potere dell'amministrazione di risolvere il relativo rapporto di lavoro, è circondato da garanzie e limiti che sono posti non solo nell'interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi (Corte Cost. 24 ottobre 2008, n. 351).

In tale ipotesi, si tratta quindi di assicurare l'imparzialità ed il buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost., non rilevando invece l'art. 41, co. 1 e 2 Cost.

A queste considerazioni deve aggiungersi l'argomentazione secondo cui il legislatore del T.U., nel rendere applicabili le disposizioni dello Statuto e, quindi, l'art. 18 St. Lav., a tutte le pubbliche amministrazioni, a prescindere dal numero dei dipendenti, ha voluto escludere, anche in un contesto di tendenziale armonizzazione tra impiego pubblico e privato, l'applicabilità di una tutela diversa da quella reale nell'ipotesi del licenziamento illegittimo, anche con riferimento a quelle amministrazioni, pur numerose, rispetto alle quali altrimenti sarebbe risultata operativa la tutela obbligatoria di cui all'art. 8, L. n. 604/1966 (Cass. sez. lav., 9 giugno 2016, n. 11868).

Osservazioni

Le argomentazioni esposte circa l'inconciliabilità della nuova normativa dell'art. 18 St. Lav., modulata sulle esigenze del lavoro privato, con le disposizioni di cui al D.Lgs n. 165/2001, sembrano configurarsi quali evidenti indici sintomatici di una radicale diversità della tipologia di tutela riconosciuta al dipendente licenziato a seconda che quest'ultimo appartenga al settore pubblico o a quello privato.

Proprio in ragione della differente natura dei rapporti giuridici che vengono in rilievo nel caso di specie, non può che discenderne una duplicità di disciplina e, conseguentemente, la cristallizzazione dell'art. 18 St. Lav, nel testo antecedente alle modifiche apportate dalla riforma ex L. n. 92/2012 per il pubblico impiego contrattualizzato.

Attraverso l'applicazione ultrattiva della norma, in virtù della quale la stessa non è stata espunta dall'ordinamento restando in vigore con un'operatività limitata ai rapporti di lavoro di cui all'art. 2, D.Lgs. n. 165/2001, si genera una rilevante differenziazione nel regime delle tutele fra dipendente pubblico e privato in caso di licenziamento illegittimo.

Tuttavia si tratta di una disparità che sembra potersi giustificare alla luce della differente natura del datore di lavoro, e per questo non idonea a determinare un vulnus al principio di ragionevolezza.

Guida all'approfondimento
  • M. De Luca, Riforma della tutela reale contro il licenziamento illegittimo e rapporto di lavoro privatizzato alle dipendenze di amministrazioni pubbliche: problemi e prospettive di coordinamento, in LPA, 2013, 8, ss.;
  • M. Miscione, Il licenziamento ed il rito del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Giur. It., 2014, p. 480;
  • F. Carinci, Art. 18 per il pubblico impiego privatizzato cercasi disperatamente, in LPA, 2012, p. 257;
  • E. Pasqualetto, La questione del pubblico impiego privatizzato, in C. Cester (a cura di), I licenziamenti, p. 55.

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