Procedimento di autorizzazione alla fusione in pendenza del giudizio di opposizione dei creditori

Gianmarco Pisapia Cioffi
09 Febbraio 2018

Il provvedimento di autorizzazione alla fusione in pendenza del giudizio di opposizione dei creditori non ha natura cautelare ma di volontaria giurisdizione e deve essere richiesto con ricorso ex artt. 737 ss. c.p.c.
Massima

Il provvedimento di autorizzazione alla fusione in pendenza del giudizio di opposizione dei creditori non ha natura cautelare ma di volontaria giurisdizione e deve essere richiesto con ricorso ex artt. 737 ss. c.p.c.

Il caso

Con reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. veniva chiesta la riforma dell'ordinanza con cui il Tribunale di Roma aveva dichiarato inammissibile l'istanza cautelare di autorizzazione a procedere alla fusione, ritenendo che la stessa dovesse essere proposta in sede di volontaria giurisdizione.

La parte reclamante deduceva, più in particolare, che fosse pacifica la natura giudiziale del procedimento di opposizione alla fusione ai sensi dell'art. 2503 c.c. e che, di conseguenza, l'istanza di autorizzazione alla fusione, per la sua natura squisitamente cautelare, dovesse essere proposta all'interno del giudizio ordinario incardinato dal creditore opponente, data la sua incidentalità e strumentalità con la causa pendente per il merito, stante la funzione anticipatoria rispetto al contenuto della sentenza definitiva. Veniva, altresì, dedotto che l'istanza di autorizzazione alla fusione potesse essere formulata in sede di volontaria giurisdizione solo in caso di opposizione in via stragiudiziale.

Il caso

Il provvedimento in commento, nel rigettare il reclamo perché ritenuto infondato, fornisce una ricostruzione degli istituti rilevanti ai fini della decisione: l'opposizione alla fusione e l'autorizzazione alla stessa in pendenza del giudizio di opposizione. Il legislatore non ha previsto, in via espressa, alcunché in merito alla loro natura ed al conseguente regime processuale; pertanto, come condivisibilmente sostenuto dal Tribunale nel provvedimento in commento, è necessario analizzare le difformi posizioni dottrinali e giurisprudenziali in argomento.

L'art. 2503, comma 2, c.c. consente ai creditori delle società che hanno deliberato la fusione, di proporre opposizione nel termine di sessanta giorni successivi alla iscrizione nel registro delle imprese delle delibere di fusione, purché trattasi di crediti antecedenti alle iscrizioni del progetto di fusione. Il fondamento della opposizione è stato da taluni rinvenuto nel principio di intangibilità della sfera giuridica altrui, con la conseguenza che il creditore potrebbe proporre opposizione alla fusione senza giustificare le ragioni di essa né dimostrare quale pregiudizio potrebbe derivargli dall'operazione (Cabras, Le opposizioni dei creditori nel diritto delle società, Milano, 1978, 112 ss.); da altri (tesi ad oggi dominante, condivisa dal provvedimento analizzato) l'opposizione rappresenterebbe, senza dubbio, un mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, che potrebbe essere lesa dalla unificazione di una pluralità di patrimoni nei loro aspetti attivi e passivi e dal conseguente concorso di più soggetti, con una maggiore probabilità di infruttuoso esperimento della esecuzione forzata (Cagnasso, L'opposizione alla fusione: profili sostanziali e procedurali, in Giur. it., 2012, 1355): il presupposto per l'accoglimento dell'opposizione consisterebbe nella sussistenza del pregiudizio o quantomeno della possibilità di un pregiudizio derivante ai creditori dal compimento dell'operazione.

L'effetto derivante dalla proposizione della opposizione è la sospensione ex lege ed erga omnes della efficacia della decisione di fusione, ovvero una sua paralisi preventiva ed automatica, con inammissibilità della stipulazione dell'atto di fusione.

Controversa è la natura della opposizione. In passato la discussione si fondava sul se l'opposizione consistesse semplicemente nell'esprimere il proprio dissenso rispetto alla fusione oppure se fosse necessario agire in giudizio. La prima tesi si fonda sulla circostanza che il legislatore non richiede forme particolari per l'espressione della volontà del creditore: atteso il principio di libertà delle forme, secondo questa interpretazione, non è necessaria la forma scritta, ancor meno un'azione in giudizio; è stato anche osservato che l'istituto dell'opposizione è previsto nell'interesse dei creditori, cosicché è discutibile ipotizzare l'esistenza in capo agli stessi di un onere tanto gravoso, quale quello di notificare un atto di citazione introduttivo di un giudizio di merito in assenza di qualsivoglia disposizione che lo prescriva. A contrario, i sostenitori della natura giudiziale della opposizione, tra cui il Tribunale che ha emanato il provvedimento in esame ed anche altre pronunce di merito (Trib. Milano, 13 febbraio 2007; Trib. Brescia, 16 gennaio 2006, in Not., 2006, 134 ss.), fondano le proprie ragioni su diversi assunti: la sussistenza di un termine di decadenza di 60 giorni a carico dei creditori, che può essere impedita solo da un atto giudiziale; la circostanza che l'art. 2503, comma 2, c.c., rinvia all'art. 2445, comma 4, c.c., e che questa disposizione fa riferimento a un procedimento giudiziario; l'impossibilità, nel caso di opposizione stragiudiziale, per il notaio rogante l'atto di fusione di verificare con certezza che non siano state proposte opposizioni: se infatti, aderendo alla tesi che l'opposizione debba essere necessariamente proposta per atto giudiziale, si ha come conseguenza che il notaio ha la possibilità di richiedere alla cancelleria del Tribunale (dove hanno sede le società partecipanti alla fusione) l'attestazione che non sono state proposte opposizioni, nel caso in cui questa tesi venga disattesa è, per contro, evidente che al notaio non resterà che attenersi alle dichiarazioni dei rappresentanti delle società che stipuleranno l'atto di fusione (Guidotti, Opposizione dei creditori alla fusione e autorizzazione giudiziale a procedere alla fusione nonostante opposizione, in Giur. comm., 1999, II, 660).

Appare condivisibile tale ultima tesi, con la conseguenza che l'opposizione dovrà essere proposta con atto di citazione, in ossequio alle comuni regole in tema di giudizio ordinario di cognizione.

La questione che, però, più interessa il caso specifico è la natura e la modalità di proposizione dell'istanza di autorizzazione alla fusione in pendenza del giudizio di opposizione, da interpretarsi come rimedio alla assoluta paralisi della fusione conseguente alla opposizione dei creditori. Questo effetto così gravoso si potrebbe infatti prestare a possibili comportamenti ostruzionistici dei creditori. Un creditore anche di una piccola somma potrebbe, sollevando opposizione, bloccare una significativa operazione per un lungo periodo di tempo anche se per un credito di scarso rilievo economico e nei casi in cui l'opposizione appare prima facie infondata, nei quali non vi sarebbe un rapporto di congrua proporzionalità fra la – pur dovuta – tutela dell'interesse del creditore e l'interesse di tutti gli altri soggetti coinvolti al perfezionamento dell'operazione di fusione. La ratio del meccanismo della autorizzazione alla fusione si rinviene proprio nella opportunità di risolvere la situazione di stallo.

Anche per questo istituto si sono formati orientamenti contrastanti in ordine alla sua natura.

Il Tribunale di Roma accoglie la tesi che vede rientrare il procedimento di autorizzazione nell'alveo della giurisdizione volontaria, con applicazione delle norme relative al procedimento in camera di consiglio ex artt. 737 ss c.p.c.

Viene evidenziato che in tale ipotesi il provvedimento non è diretto all'accertamento giurisdizionale di un diritto di cui si richiede tutela, ma mira esclusivamente alla rimozione di un ostacolo alla autonomia privata (espressione di libertà di iniziativa economica), costituito dalla opposizione alla fusione (che, come già espresso, determina una paralisi della operazione di fusione), superandone l'effetto sospensivo. Trattasi, dunque, di un procedimento autonomo azionabile mediante ricorso, destinato all'adozione di un provvedimento privo del carattere tipico di quelli cautelari: la provvisorietà degli effetti, che sarebbe incompatibile con il dettato dell'art. 2504 quater c.c., che sancisce la assoluta impronunciabilità della invalidità dell'atto di fusione, fatta salva la responsabilità per i danni da esso arrecati a soci e terzi danneggiati. Si sostiene, inoltre, che la concessione della autorizzazione subordinata alla prestazione di idonea garanzia non richiede alcuna valutazione giudiziale in ordine al fumus boni iuris della infondatezza della opposizione del creditore ed al periculum in mora derivante dalla sospensione della fusione. Il procedimento de quo appare al Tribunale di Roma privo anche del carattere di strumentalità rispetto al giudizio di merito, dato che il giudice deve subordinare la autorizzazione alla valutazione della congruità del patrimonio della società debitrice, a nulla rilevando l'accertamento della sussistenza del diritto di credito fatto valere dall'opponente.

Questo orientamento non può, però, ritenersi condivisibile.

La maggior parte delle pronunce di merito che hanno preceduto il provvedimento in esame hanno preferito la tesi della natura sommario-cautelare dell'istanza di autorizzazione alla fusione.

Abrogato, infatti, il rito societario per effetto della L. 18 giugno 2009, n. 69, e con esso l'art. 33, D.Lgs., 17 gennaio 2003, n. 5, si è ritenuto che tale istanza dovesse essere proposta dalla società con ricorso in via incidentale al giudice dell'opposizione e non potesse essere trattata col procedimento camerale ex artt. 737 ss. c.p.c. (App. Genova, 4 febbraio 2010, Società, 2010, 6, 751). Anche il Tribunale di Salerno ne ha sostenuto la natura di rimedio cautelare che si inserisce nel procedimento contenzioso di opposizione promosso dai creditori, con la relativa applicabilità, nei limiti della compatibilità, delle disposizioni dettate per i procedimenti cautelari dagli artt. 669 bis ss. c.p.c.. (Trib. Salerno, 17 giugno 2003, ord., in Foro it., 2004, I, 993).

Diverse sono le ragioni poste a fondamento di tale orientamento. Anzitutto, l'istanza di autorizzazione a procedere alla fusione non ha struttura procedurale autonoma: può essere proposta solo in pendenza di opposizione alla fusione, cioè in corso di causa; in secondo luogo, si può facilmente convenire circa la natura sommaria del giudizio che il giudice è chiamato a svolgere ai sensi dell'art. 2445, comma 4, c.c., del quale non si può altresì negare la natura cautelare ed anticipatoria del procedimento e la sua strumentalità rispetto alla tutela offerta dal giudizio di merito. A fronte di un giudizio ordinario di cognizione avente ad oggetto l'opposizione del creditore e che ordinariamente avrà durata considerevole ma al quale è automaticamente connesso l'effetto impeditivo dell'attuazione della fusione, è previsto un subprocedimento cautelare volto a tutelare l'interesse della società a conservare la validità degli atti compiuti - lunghi, complessi e costosi - ed a procedere in base ad essi alla fusione programmata, sul presupposto della ritenuta assenza di pregiudizio per i creditori opponenti o della prestazione di idonea garanzia (Trib. Milano, ord., 14 novembre 2011, in Giur. It., 2012, 6, 1351).

Osservazioni

È il caso di notare che la necessità di bilanciare i contrapposti interessi (dei creditori, da un lato, alla conservazione della garanzia patrimoniale ex art. 2740 c.c.; delle società, dall'altro, a fugare il pericolo di perdita di capitale e redditività, con rivendicazione di libertà di scelta) è stata soddisfatta dal legislatore attraverso tale tutela cautelare, la quale consente alla società di assicurarsi gli effetti di una eventuale sentenza di rigetto dell'opposizione, ma solo a patto che le ragioni dei creditori siano messe al sicuro attraverso una garanzia idonea a soddisfare il credito vantato od un accertamento di non pregiudizialità della operazione di fusione.

Sebbene appaia improbabile che il tribunale autorizzi l'attuazione della fusione, salvo – successivamente – accogliere l'opposizione dei creditori, il verificarsi di tale sequenza di eventi pone il problema di come i creditori possano essere tutelati. In tale ipotesi, infatti, l'opponente e tutti gli altri creditori che, pur legittimati, non hanno fatto opposizione devono essere messi in una posizione il più possibile vicina a quella in cui si sarebbero trovati se l'atto di fusione non fosse stato iscritto: ciò comporta che l'accoglimento dell'opposizione rende l'atto di fusione inefficace ex nunc nei confronti dei creditori suindicati, i quali potranno, perciò, agire sui beni già appartenuti alla società loro debitrice con preferenza rispetto ai creditori delle altre società partecipanti e a quelli della società post-fusione (così Cacchi Pessani, Opposizione dei creditori, in Commentario alla riforma delle società, a cura di L. A. Bianchi, Milano, 2006, 758 s.).

Diversamente, secondo altro orientamento (Valerio Sangiovanni, Fusione di società e opposizione dei creditori, in il nuovo diritto delle società, 2011, 22 s.) poiché il tribunale non è più in grado di bloccare la fusione (ormai già realizzatasi con l'atto di fusione) né d'invalidare l'atto di fusione che è stato nel frattempo stipulato - operando il divieto ex lege di pronunciare l'invalidità (ex art. 2504-quater c.c.), i creditori opponenti hanno la sola possibilità di ottenere il risarcimento del danno, coincidente con il credito vantato. Paradossalmente però l'accoglimento della opposizione significa proprio che il tribunale riconosce che la società non è in grado di onorare completamente il credito vantato dall'opponente, con la conseguenza che il creditore sarà destinato a rimanere - almeno in parte – insoddisfatto, salvo nel caso in cui la società abbia prestato idonea garanzia per il suo soddisfacimento (ai sensi dell'art. 2445, comma 4, c.c.).

Conclusioni

In conclusione, si deve ritenere che il procedimento innescato dall'istanza di autorizzazione non solo ha natura cautelare, ma che tale funzione è talmente evidente dall'essere stata stabilita iuris et de iure, in astratto ed a priori, dal legislatore all'art. 2445 c.c., quale provvedimento cautelare tipico, con esclusione della applicabilità dell'art. 700 c.p.c., quale misura cautelare atipica e residuale.

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