La mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni

13 Febbraio 2018

La precisazione delle conclusioni costituisce il momento di ultima manifestazione della domanda di parte. Cosa succede, dunque, se la parte non ripropone le domande (o eccezioni) precedentemente formulate?

Cosa accade nel caso in cui la parte non reiteri, nell'udienza di precisazione delle conclusioni, le domande (o eccezioni) precedentemente formulate?

Ai sensi dell'art. 189 c.p.c. (applicabile, ex art. 281-quinquies c.p.c., anche ai giudizi di competenza monocratica), il giudice istruttore che rimette la causa al collegio per la decisione invita le parti a precisare davanti a lui, con atto orale destinato alla documentazione nelle forme del verbale di udienza, le conclusioni già formulate negli atti introduttivi o a norma dell'art. 183 c.p.c.. La precisazione delle conclusioni costituisce, quindi, il momento di ultima manifestazione della domanda di parte (petitum immediato, mediato e causa petendi) nei limiti derivanti dalle preclusioni già maturate (art. 183, comma 6, c.p.c.).

Infatti, secondo una parte della giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2013, n. 2093; Cass. civ., sez. trib., 5 luglio 2013, n. 16840), che ha inteso valorizzare il principio dispositivo in forza del quale risulterebbe irragionevole presumere una volontà diversa da quella espressa dalle parti affidando al giudice la ricerca di quella effettiva (o più prossima), la mancata riproposizione della domanda (o eccezione) nella precisazione delle conclusioni comporta la presunzione (iuris et de iure) di abbandono della stessa, assumendo rilievo esclusivamente la volontà espressa dalla parte. In concreto, quindi, in presenza della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, varranno: le conclusioni specificamente richiamate (solo atto introduttivo, solo atto ex art. 183 c.p.c., o entrambi) o specificamente articolate; i generici richiami a tutte le precedenti difese varranno come richiami degli atti tipici (atto introduttivo o atto ex art. 183 c.p.c.). In assenza della parte all'udienza di precisazione delle conclusioni, varranno le precisazioni risultanti dagli atti introduttivi e le modifiche eventuali ex art. 183 c.p.c. (atti tipizzati). Tuttavia, tale orientamento specifica che in un unico caso, i.e. l'esistenza della pregiudizialità tecnico-giuridica ex art. 34 c.p.c., tra le domande proposte, gli effetti del nuovo rilievo attribuito al principio dispositivo non possono ragionevolmente condurre a negare ogni valore alla volontà inespressa. In questa unica ipotesi, il rapporto di stretta connessione tra le domande consente che il giudice (così come la controparte) possa presumere che la mancata riproposizione della domanda pregiudiziale, in sede di precisazione delle conclusioni, non significhi abbandono della stessa, ma mero errore materiale o dimenticanza. In tal caso, ad essere assoluta è la presunzione di persistenza della domanda pregiudiziale non riproposta, a meno che la parte interessata precisi espressamente (nella successiva comparsa conclusionale) che intendeva rinunciare alla domanda pregiudiziale. Secondo tale orientamento l'indagine in ordine alla permanenza o meno di una domanda nel thema decidendum non può essere affidata all'interpretazione della volontà della parte, effettuata dal giudice, peraltro quando già la causa è oramai fuori dalla disponibilità delle parti, essendo passata in decisione. Né a tale grave difetto possono ovviare le memorie conclusionali (dalle quali spesso il giudice ha tratto conferma della volontà della parte di non intendere rinunciata la domanda non riproposta con la precisazione delle conclusioni) poiché, così facendo, si determinerebbe un rovesciamento rispetto alla funzione meramente esplicativa ad esse assegnata dall'ordinamento processuale nonché una confusione tra momenti processuali che il codice distingue. Quindi, ritiene il Collegio che l'interpretazione restrittiva è maggiormente rispondente al valore costituzionale del contraddittorio tra le parti e dello svolgimento dello stesso nel pieno dispiegamento del diritto di difesa, coordinato con la lealtà necessaria per l'esplicazione della difesa della controparte (art. 111 Cost.).

Tuttavia giova segnalare che tale soluzione non è unanime poiché si registrano decisioni contrastanti della giurisprudenza di legittimità successiva (cfr. Cass. civ., sez. II, 14 luglio 2017, n. 17582; Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 2014, n. 25725) che, nel richiamare l'orientamento meno restrittivo superato con le pronunce del 2013 suindicate, hanno ritenuto invece che la mancata riproposizione, nelle conclusioni definitive di cui all'art. 189 c.p.c., di domande o eccezioni o istanze in precedenza formulate non sia, di per sé, sufficiente a farne presumere la rinuncia o l'abbandono, essendo necessario che, dalla valutazione complessiva della condotta processuale della parte, possa desumersi inequivocabilmente il venir meno del relativo interesse (presunzione iuris tantum). Con tale tesi la Suprema Corte dimostra di volere recuperare e conservare la ricostruzione della volontà effettiva, ritenendola maggiormente garantista dell'interesse delle parti e non incompatibile con le esigenze di accelerazione del giudizio.

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