Rinnovo tacito del contratto di locazione ritualmente disdettato
13 Febbraio 2018
È possibile ritenere che un contratto di locazione ad uso abitativo si ritenga tacitamente rinnovato, se il conduttore, a cui è stata inviata rituale disdetta, rimanga nella detenzione dell'immobile per qualche anno dopo la scadenza, senza reazioni da parte del locatore?
La rinnovazione tacita, secondo il comma dell'art. 1597 c.c., è ricollegata ad un comportamento delle parti: del conduttore, che “rimane” nella detenzione della cosa locata, e del locatore che tollera il permanere di tale detenzione. Si deve tuttavia precisare che l'art. 1597 c.c. appena citato, identifica come comportamento concludente un comportamento inerte delle parti senza che sulla cessazione si sia pronunciato esplicitamente - mediante la disdetta -, né il conduttore né il locatore. In presenza di una disdetta, invece, la manifestazione di volontà contraria alla prosecuzione del rapporto c'è stata, ragion per cui, un mero comportamento acquiescente al perdurare dell'occupazione, non può di per sé equipararsi ad una manifestazione di volontà, sia pure implicita, manifestata claris verbis. Per verificarsi il rinnovo tacito di un contratto per il quale è stata inviata rituale disdetta, è pertanto necessario un nuovo comportamento positivo ed inequivoco del locatore che manifesti il consenso alla prosecuzione del contratto. Se dunque, la disdetta è stata tempestivamente inviata, la rinnovazione tacita del contratto di locazione non può desumersi dalla sola circostanza della permanenza del conduttore nell'immobile oltre la scadenza del termine e nemmeno dalla sola accettazione di canoni per il periodo successivo alla scadenza, e ciò anche se il lasso di tempo intercorso tra l'invio della disdetta e l'inizio dell'azione di sfratto, sia considerevole (nella specie, quattro anni) (Cass. civ., sez. III, 22 luglio 2002, n. 10644; Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 1992, n. 11470; Cass. civ., sez. III, 7 febbraio 1989, n. 773; Cass. civ. sez. III, 14 gennaio 1998, n. 269). In tal caso, viene in essere un rapporto di mero fatto (Cass. civ., sez. III, 3 giugno 1998, n. 5460). |