La particolare tenuità del fatto nel delitto di omissione di soccorso

13 Febbraio 2018

Il conducente di un autoveicolo, dopo aver urtato contro un motociclo a bordo del quale era trasportata una donna che aveva riportato lesioni giudicate guaribili in 10 giorni, si era allontanato omettendo di prestare soccorso. Veniva, quindi, immediatamente inseguito da un maresciallo dei Carabinieri che lo costringeva ad arrestare la marcia.
Massima

La natura delle minime lesioni riportate dalla persona offesa trasportata sullo scooter, la circostanza che quest'ultimo veicolo si fosse semplicemente inclinato a seguito dell'urto, la mancata costituzione di parte civile, costituiscono elementi che inducono il Collegio a ritenere che il fatto sia sussumibile, senza necessità di ulteriori accertamenti, nella previsione dell'art. 131-bis c.p.

Il caso

Il conducente di un autoveicolo, dopo aver urtato contro un motociclo a bordo del quale era trasportata una donna che aveva riportato lesioni giudicate guaribili in 10 giorni, si era allontanato omettendo di prestare soccorso. Veniva, quindi, immediatamente inseguito da un maresciallo dei Carabinieri che lo costringeva ad arrestare la marcia.

La Corte di Appello ha riformato limitatamente alla misura della sanzione amministrativa la pronuncia di condanna emessa dal tribunale.

La questione

La ratio dell'art. 189, comma 7, cod. strada si identifica nel dovere di solidarietà sociale (nella prospettiva di cui all'art. 2 Cost.) che impone la privata assistenza nei confronti delle persone ferite dal sinistro che, in quanto tali, si trovano in stato di pericolo concernente la vita o l'incolumità, evitando il protrarsi delle conseguenze dannose.

Si tratta di un reato omissivo (non facere quod debetur) di mera condotta, che consiste nel mancato compimento dell'azione comandata – l'obbligo di prestare assistenza – per la sussistenza del quale non occorre il verificarsi di alcun evento materiale.

La condotta può essere punita solo se commessa con dolo, consistente nella volontarietà dell'omissione con la consapevolezza che l'investito aveva bisogno di assistenza.

Secondo consolidata giurisprudenza richiamata in sentenza, l'elemento soggettivo del reato è integrato anche in presenza del dolo eventuale che si configura normalmente in relazione all'evento volitivo ma che può attenere anche all'elemento intellettivo, quando l'agente consapevolmente rifiuti di accertare la sussistenza degli elementi in presenza dei quali il suo comportamento costituisce reato, accettandone per ciò stesso il rischio (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 13 luglio 2007, n. 34134). È quindi sufficiente che, per le modalità di verificazione dell'incidente e per le complessive circostanze della vicenda, l'agente si rappresenti la probabilità – o anche la semplice possibilità – che dall'incidente sia derivato un danno alle persone e che queste necessitino di assistenza e, pur tuttavia, ometta di fermarsi (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 20 novembre 2013, n. 6904).

Ciò premesso si deve procedere a verificare se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia applicabile al delitto de quo.

Il primo comma dell'art. 131-bis c.p. incardina il giudizio di particolare tenuità del fatto su due parametri, uno oggettivo e l'altro soggettivo (non abitualità del comportamento), che si debbono congiuntamente (e non alternativamente) verificare.

Il primo parametro, concernente la particolare tenuità dell'offesaal bene giuridico, risulta rinvenibile tanto nei “reati di danno” produttivi di una deminutio particolarmente lieve, quanto nei “reati di pericolo” caratterizzati da una tenue minaccia. Il secondo comma, introduce una presunzione legale negativa, secondo la quale l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità nei casi ivi tipizzati. Tra queste, merita di essere citata l'ipotesi (oggettiva) ostativa alla qualificazione di particolare tenuità dell'offesa, in caso di morte o lesioni gravissime a una persona.

Prima dell'individuazione dei parametri citati, il comma 1 dell'art. 131-bis c.p. reca un'incidentale che prevede due ulteriori indici-criteri della modalità della condotta e dell'esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi secondo i dati valutativi offerti, per apprezzare la gravità del reato, dall'art. 133, comma 1, c.p.

La nozione di esiguità – che si colloca in quella zona grigia tra l'inoffensività e la rilevanza penale tenue – va valutata in relazione alla effettiva lesione o messa in pericolo dello specifico bene protetto. Il relativo apprezzamento deve essere effettuato tenendo conto, in particolar modo, del parametro di cui al n. 2 del comma 1 dell'art. 133: «gravità del danno o del pericolo – tipico o atipico – cagionato alla persona offesa».

Per la nozione di modalità della condotta, invece, assumono rilievo i parametri di cui ai nn. 1 e 3 del comma 1 dell'art. 133: «la natura, la specie, i mezzi, l'oggetto, il tempo, il luogo e ogni altra modalità dell'azione» (cioè il disvalore della condotta), nonché «l'intensità del dolo o il grado della colpa».

Infine, l'art. 131-bis specifica che l'istituto riguarda i reati (delitti e contravvenzioni) «per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a 5 anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena».

Le soluzioni giuridiche

Nonostante il giudice di appello avesse escluso la particolare tenuità del fatto nel caso de quo facendo riferimento all'agire dell'imputato nel contesto del sinistro come indicativo di intensità del dolo, la Cassazione è di altro avviso.

Facendo leva su quanto chiarito dalle Sezioni unite, la quarta Sezione osserva che «la nuova normativa non si interessa della condotta tipica, bensì ha riguardo alle forme di estrinsecazione del comportamento, al fine di valutarne complessivamente la gravità, l'entità del contrasto rispetto alla legge e conseguentemente il bisogno di pena. Insomma, si è qui entro la distinzione tra fatto legale, tipico, e fatto storico, situazione reale ed irripetibile costituita da tutti gli elementi di fatto concretamente realizzati dall'agente». (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 13681).

In conclusione, ai sensi dell'art. 620, coma 1, lett. l), come sostituita dall'art. 1, comma 67, l. 23 giugno 2017, n. 103, ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato non è punibile per la particolare tenuità del fatto.

Osservazioni

Senza ombra di dubbio la sentenza merita di essere condivisa.

Come già osservato, l'istituto della particolare tenuità del fatto opera anche per i reati di pericolo astratto o presunto, perché, anche per essi, il principio di offensività consente l'individuazione in concreto di un'offesa, anche minima al bene protetto.

D'altronde la giurisprudenza, allorché il reato era di competenza del giudice di pace, aveva già ritenuto applicabile la (analoga ma diversa) disposizione ex art. 34 d.lgs. 274/2000, recante Esclusione della procedibilità nei casi di particolare tenuità del fatto (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 28 settembre 2007, n. 43383)

Guida all'approfondimento

F. PICCIONI, I Reati Stradali. Il diritto penale stradale nella pratica professionale, Giuffrè Editore, 2017;

F. PICCIONI, Tenuità del fatto e non punibilità. Analisi ragionata del D.Lgs. 16/3/2015, n. 28. Depenalizzazione. Modifiche al codice penale e al codice di procedura penale - Exigua iniuria: nulla poena, Rimini, 2015.

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