I rapporti tra emendatio e mutatio libelli nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

14 Febbraio 2018

Con la decisione in commento, la Cassazione conferma il nuovo corso, inaugurato dalla sentenza n. 12310/2015, secondo la quale la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso collegata alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali.
Massima

Il discrimen tra domanda nuova - inammissibile, se non sia «conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni del convenuto» - e domanda modificata, va rinvenuto nel carattere ampliativo del thema decidendum che presentano le domande nuove rispetto invece al carattere sostitutivo della modifica, nel senso che la domanda "nuova" si aggiunge a quella originariamente formulata; la domanda "modificata" implica invece la sostituzione della domanda successiva a quella originaria, non essendo ricavabile dalle norme processuali alcuna differenza quanto alla possibilità di variazione degli elementi identificativi fondamentali (causa petendi, petitum) egualmente consentiti ad entrambe le domande; pertanto, con la modificazione della domanda iniziale l'attore, implicitamente rinunciando alla precedente domanda (o, se si vuole, alla domanda siccome formulata nei termini precedenti alla modificazione), mostra chiaramente di ritenere la domanda come modificata più rispondente ai propri interessi e desiderata rispetto alla vicenda sostanziale ed esistenziale dedotta in giudizio.

Il caso

Proposta opposizione a decreto ingiuntivo, il giudice adito revocava il provvedimento impugnato, rideterminando l'importo del credito spettante al ricorrente. La decisione del giudice di prime cure veniva impugnata, ma la Corte di appello rigettava il gravame proposto, contestualmente dichiarando inammissibili le domande riconvenzionali proposte dal creditore nel giudizio di opposizione relative alla rivalutazione del capitale e alla liquidazione degli interessi, osservando che il ricorso monitorio aveva ad oggetto soltanto la somma capitale e che le domande riconvenzionali, in quanto non derivanti dalle eccezioni formulate dal debitore opponente, non potevano qualificarsi come reconventio reconventionis, incontrando il limite delle nuove domande.

Avverso tale decisione veniva proposto dal creditore ricorrente ricorso per cassazione, in particolare osservandosi che la richiesta avente ad oggetto la rivalutazione del capitale andava considerata quale mera integrazione della pretesa originaria e dunque quale mera emendatio, consentita ai sensi dell'art. 183 c.p.c..

La questione

La questione sottoposta all'attenzione del Supremo Collegio, dunque, riguarda la possibilità o meno per il creditore che abbia chiesto nel ricorso monitorio solo il pagamento del capitale, con riserva di separata azione per il pagamento delle somme dovute a titolo di rivalutazione, di chiedere con la comparsa di costituzione e risposta del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la condanna al pagamento della sorte rivalutata.

Le soluzioni giuridiche

Per la Corte di cassazione, la statuizione del giudice di appello secondo cui il ricorrente, riservandosi di agire separatamente per conseguire la rivalutazione convenzionale del capitale, avrebbe determinato una delimitazione originaria dell'oggetto del giudizio, come tale immodificabile nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non appare corretta, essendo frutto di una cattiva interpretazione dei principi in tema di individuazione degli elementi costitutivi dell'azione.

Per la Suprema Corte, infatti, l'oggetto del giudizio non può essere individuato solo in base alla editio actionis del ricorso per decreto ingiuntivo, ma «deve essere definito, all'esito della fase di trattazione, anche in considerazione delle eccezioni, difese, domande riconvenzionali svolte dall'opponente e delle modifiche e precisazioni delle domande ed eccezioni già proposte, consentite alle parti ai sensi dell'art. 183 c.p.c.».

In particolare, la riserva fatta valere nel ricorso monitorio non riguarda una domanda distinta per causa petendi e petitum rispetto a quella fatta valere con il decreto ingiuntivo, trattandosi di una diversa misura quantitativa della stessa domanda avente ad oggetto il pagamento del capitale che trova titolo nei medesimi fatti costitutivi (i.e. nello stesso contratto). Pertanto, la domanda formulata con la comparsa di risposta di rivalutazione del capitale, basandosi sul medesimo contratto, non si distingue «qualitativamente dalla domanda di condanna all'adempimento del contratto, formulata ex art. 1453 c.c. con la domanda monitoria, in quanto in entrambi i casi rimane ferma la originaria pretesa di pagamento del capitale garantito», variando solo ed unicamente l'ammontare del quantum debeatur.

Osservazioni

La decisione si pone dichiaratamente nel solco del nuovo e rivoluzionario indirizzo inaugurato da Cass. civ., Sez. Un., 15 giugno 2015, n. 12310, a mente della quale la modificazione della domanda ammessa a norma dell'art. 183 c.p.c., può riguardare anche uno o entrambi gli elementi identificativi della medesima sul piano oggettivo (petitum e causa petendi), sempre che la domanda così modificata risulti in ogni caso collegata alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio, e senza che per ciò solo si determini la compromissione delle potenzialità difensive della controparte ovvero l'allungamento dei tempi processuali.

Pertanto, come viene riconosciuta la possibilità per l'attore di modificare la propria domanda originaria ai sensi dell'art. 183, comma 6, c.p.c., parimenti analoga facoltà deve essere riconosciuta anche al creditore del giudizio monitorio che, di fronte alla opposizione del debitore volta a contestare la stessa validità del titolo contrattuale, scelga di ampliare la propria originaria domanda alla rivalutazione del credito vantato, essendo tale obiettivo conforme al principio di economia dei mezzi processuali e di ragionevole durata dei processi; a suffragare tale tesi, inoltre, il Collegio invoca un suo recente precedente (Cass. civ., 16 febbraio 2017, n. 4090), secondo cui non è abusivo il frazionamento delle pretese derivanti dal medesimo rapporto, sempre che sussista e sia dimostrato uno specifico ed oggettivo interesse del creditore.

Viene così ribadita l'idea (già affermata – proprio con riferimento al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo da Cass. civ., 1 marzo 2016, n. 4051) che la domanda modificata, al fine di essere ritenuta ammissibile dal giudice, debba essere definita concorrente con quella originariamente proposta, condividendo con quest'ultima l'identità dell'episodio socio economico di fondo.

Come è evidente, il nuovo corso attuato dalla Corte di cassazione risente dei recenti orientamenti dottrinali in tema di fatto costitutivo: a tal proposito, infatti, è nota la distinzione tra chi (Cerino Canova, La domanda giudiziale e il suo contenuto, in Commentario del c.p.c., diretto da Allorio, II, 1, Torino 1980, 186 ss., 191 ss., 208 s. 208 ss.; Consolo, Domanda giudiziale, in Dig. IV ed., Disc. priv.-sez. civ., Torino 1990, spec. 74 ss., 76 s.,) ha svalutato il ruolo della fattispecie legale al fine dell'individuazione del diritto – permettendo una ricostruzione più ampia di fatto costitutivo e, quindi di oggetto del processo – e chi (v. ex multis Andrioli, Diritto processuale civile, Napoli, 1979, 326-327) tradizionalmente ritiene che il fatto costitutivo vada individuato alla stregua di una fattispecie legale astratta (con la conseguenza che qualunque mutamento della qualificazione giuridica del fatto storico comporta la determinazione di un fatto nuovo e diverso a cui corrisponde un diverso diritto da far valere).

Seguendo la prima impostazione, nel caso in cui si vadano a variare fatti - anche costitutivi del diritto fatto valere in giudizio ossia fatti principali - non sussiste una diversità del diritto, bensì una mera modica della domanda originariamente proposta con l'atto introduttivo in quanto ciò che modificano i nuovi fatti principali introdotti è unicamente il thema probandum, non già quello decidendum, modificando sì la causa petendi, ma non nella sua funzione di elemento identificativo dell'oggetto del giudizio.

Così opinando, si finisce per ammettere che è il diritto sostanziale a stabilire se si è in presenza di una domanda nuova o semplicemente modificata. Ora, il tema è assai complesso e non può certo in questa sede prendersi meditata posizione sul punto. Può però in prima battuta osservarsi che sul piano processuale il diritto sostanziale fatto valere si pone in chiave di mera affermazione, per cui stabilire se dette affermazioni diano luogo ad uno o più temi della decisione non può dipendere dal fatto che, stando al diritto sostanziale, uno solo sia il diritto effettivamente spettante. Facendo proprie le affermazioni di autorevole dottrina, dal punto di vista del processo, quello che invece occorre verificare è se alle distinte affermazioni «corrispondano diritti diversi (anche se non suscettibili di coesistenza per il diritto sostanziale) in ragione della diversità dell'utilità giuridica assicurata dall'applicazione dell'una o dell'altra fattispecie legale e dunque del bene giuridico che la domanda mette in gioco nella lite» (Merlin 816 ss., in part. 823).

La soluzione offerta dal Supremo Consesso, per la sua genericità, poi, se in astratto pare assicurare un più alto tasso di elasticità nella fissazione del thema decidendum, permettendo alle parti di correggere l'impostazione data loro agli introduttivi, lascia un eccessivo spazio di manovra al giudice, rendendo così possibili decisioni difformi.

Se, dunque, in linea astratta il nuovo indirizzo è da condividere giacché permette un più ampio margine di manovra ai giudici ed una maggiore elasticità degli snodi processuali, pare però opportuno un supplemento di riflessione in merito: se non pare dubbio che il dibattito riguardante l'applicazione pratica del binomio mutatio-emendatio libelli sia completamente mutato, è altrettanto certo che la questione non può ritenersi ancora definitivamente risolta.

Guida all'approfondimento
  • Consolo, Le S.U. aprono alle domande «complanari»: ammissibili in primo grado ancorché (chiaramente e irriducibilmente) diverse da quella originaria cui si cumuleranno, in Corr. giur., 2015, 968 ss.;
  • Merlin, Ammissibilità della mutatio libelli da «alternatività sostanziale» nel giudizio di primo grado, in Riv. dir. proc., 2016, 816 ss.;
  • Motto, Le sezioni unite sulla modificazione della domanda giudiziale, in Foro it., 2015, I, 3190 ss.;
  • Motto, Domanda di esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre ex art. 2932 c.c. e domanda di accertamento dell'avvenuto trasferimento della proprietà: mutatio o emendatio libelli?, in Giusto proc. civ., 2014, 1027 ss.;
  • Muroni, A margine di due recenti ordinanze interlocutorie della Cassazione in tema di «mu-mutatio libelli», in Resp. civ. e prev., 2014, 507 ss..

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