Il giudizio di legittimità in ambito tributario

Leonardo Margiotta
14 Febbraio 2018

La Corte di Cassazione, quale Giudice di legittimità, è l'organo posto al vertice della giurisdizione ordinaria italiana; la sua principale funzione, come stabilito dall'art. 65 della Legge fondamentale sull'ordinamento giudiziario, è di garantire “l'esatta osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, l'unità del diritto oggettivo nazionale, il rispetto dei limiti delle diverse giurisdizioni; regola i conflitti di competenza e di attribuzioni, ed adempie gli altri compiti ad essa conferiti dalla legge”.Il procedimento per Cassazione in ambito tributario, inoltre, presenta molteplici peculiarità processuali e si articola in varie fasi che qui di seguito andremo ad illustrare.
Il giudizio di Cassazione: profili generali e motivi di impugnazione

La Corte di Cassazione è un giudice di legittimità che giudica sulla corretta applicazione della legge, rinviando (eventualmente) ad altro organo per decidere nel merito. La decisione nel merito (senza rinvio) da parte della Suprema Corte è prevista come eccezione ed in determinati casi ex lege previsti.

Con il ricorso per Cassazione si mira ad invalidare la sentenza di merito per motivi tassativamente previsti dalla Legge.

Tale ricorso, infatti, è considerato un mezzo di impugnazione rescindente a critica vincolata, proponibile solo per i motivi rigorosamente indicati nell'art. 360 c.p.c.

Nel dettaglio, si potrà proporre ricorso in Cassazione per:

  • motivi attinenti alla giurisdizione e translatio iudicii: il ricorso basato su tale motivo è esperibile allorquando il ricorrente ritiene che il diniego o il riconoscimento della giurisdizione operato dal giudice dell'impugnazione sia illegittimo. Nello specifico, possono essere impugnate con ricorso per cassazione, nel termine di cui all'art. 325, comma 2, e 327, comma 1, ed ai sensi dell'art. 360, n. 1, c.p.c., le sentenze che hanno violato i limiti esterni della giurisdizione (tributaria) nei confronti delle altre giurisdizioni ordinarie o nei confronti della pubblica amministrazione. Ad esempio, risulta viziata da difetto di giurisdizione la sentenza resa dalla Commissione Tributaria che ha il contenuto di un provvedimento amministrativo (impositivo o sanzionatorio).

D'altro canto è possibile esperire il regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 c.p.c., giusto il disposto di cui all'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992.

Il regolamento di giurisdizione, tuttavia, è proponibile solo fino a quando non sia già intervenuta una decisione sulla causa da parte del giudice di merito (non è preclusivo del regolamento di giurisdizione il pronunciamento, da parte del giudice del merito, di un provvedimento cautelare).

Se la Corte si è già pronunciata in sede di regolamento preventivo di giurisdizione, però, è inammissibile l'ordinaria proposizione del ricorso per Cassazione sul medesimo motivo.

La Cassazione, se statuisce che le Commissioni Tributarie sono prive di giurisdizione, deve disporre la translatio iudicii dinanzi al giudice dotato di giurisdizione, ai sensi dell'art. 59 della L. 18 giugno 2009, n. 69;

  • violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto regolamento di competenza: il ricorso per violazione delle norme sulla competenza è proponibile quando il giudice (ritenuto incompetente) si pronunci sul merito; diversamente, se la sentenza ha pronunciato in via esclusiva sulla competenza (o sulla litispendenza, continenza o connessione), l'unico rimedio proponibile è il regolamento (necessario) di cui all'art. 42 c.p.c.. Le sentenze della commissione tributaria regionale possono essere impugnate con ricorso per cassazione per il motivo in esame anche quando abbiano per oggetto unicamente questioni di competenza, a condizione che il vizio di incompetenza sia stato tempestivamente eccepito nel grado al quale il vizio si riferisce, come prevede l'art. 5, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992 (“L'incompetenza della commissione tributaria è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce”).

Giusto il disposto del poc'anzi menzionato articolo, giova evidenziare come nel processo tributario non trovano applicazione le norme sul regolamento di competenza che, di contro, nel rito civile comportano l'impugnabilità c.d. “per saltum”, direttamente in Cassazione;

  • violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro (errore in iudicando, ossia errore sulle norme sostanziali): con il motivo di cui all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si denuncia un error in iudicando, ossia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto sostanziale (Costituzione, Leggi, ecc..). Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto significa errore nell'individuazione, interpretazione o applicazione della norma relativa al caso concreto. È da denunciare ai sensi del n. 3 la violazione dell'art. 2697 c.c., che in tema di onere della prova, pone una regola di diritto sostanziale (regola di giudizio), la cui violazione è quindi un error in iudicando. Questo vizio attiene alla norma, non al fatto. L'allegazione di un errore sul fatto appartiene al merito, per cui la censura è ammessa solo ai sensi del n. 5 dell'art. 360, comma 1, c.p.c.

Quanto alla violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, tale motivo può essere proposto quando l'errore riguardi l'individuazione o l'interpretazione della norma applicata oppure l'applicazione di una disposizione ad una fattispecie concreta da essa non regolata. L'errore deve aver influito sulla decisione. All'evidenza, non potranno essere impugnate per il motivo in esame le sentenze pronunciate secondo equità.

Quanto, invece, alla violazione o falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro è concesso alla Cassazione di poter interpretare la normativa utilizzata dal giudice del lavoro, facoltà che in precedenza era riservata esclusivamente al giudice di merito;

  • per nullità della sentenza o del procedimento (Errore in procedendo, ossia vizi riguardanti le norme processuali): questo motivo attiene ad ogni vizio di nullità, assoluta o relativa, che derivi dalla violazione di norme processuali ed abbia influito sulla decisione di merito. Sono errores in procedendo, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c.:
  1. la nullità per la violazione della forma degli atti processuali;
  2. la violazione del principio del contraddittorio, del diritto di difesa e della parità delle armi (artt. 3, 24 e 111 Cost.);
  3. il vizio di ultrapetizione (pronuncia oltre i limiti della domanda) o di extrapetizione (pronuncia sul fondamento di un fatto non allegato dalle parti);
  4. la violazione del giudicato interno;
  5. l'omesso esame di un motivo di appello;
  6. l'omessa pronuncia (tuttavia non vi è omessa pronuncia se vi è pronuncia implicita);
  7. la carenza assoluta di motivazione.

  • omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti: la Corte di Cassazione non è giudice “del fatto”. La motivazione delle sentenze di appello, relativa alle questioni di fatto, può essere censurata solo “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti” (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.). La censura per omesso esame deve presentare tre requisiti: i) deve riguardare un fatto storico che risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali; ii) il fatto dev'essere stato oggetto di discussione tra le parti e, infine, iii) il fatto dev'essere decisivo (cioè dev'essere tale che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Con la sentenza n. 3591 del 24 febbraio 2016 la Corte di Cassazione ribadisce che al ricorso per Cassazione notificato dopo l'11 settembre 2012 deve applicarsi l'art. 360, comma 1, nella nuova formulazione introdotta dall'art. 54, comma 1, lett. b) D.L. n. 83/2012, che ha sostituito il n. 5 del comma 1 dell'art. 360 c.p.c., circoscrivendo il vizio di legittimità alla sola omissione di un fatto controverso (“che è stato oggetto di discussione fra le parti”) ritualmente allegato e dimostrato in giudizio, tale per cui se fosse stato invece tenuto in debito conto dal giudice, avrebbe comportato con certezza un diverso esito della controversia. Le SS.UU. n. 8053/2014 hanno confermato che la nuova norma sul giudizio di Cassazione è applicabile anche alle controversie tributarie, atteso che la disposizione di cui all'art. 54, comma 3-bis D.L. n. 83/12, che sottrae all'applicazione “delle disposizioni del presente articolo” il processo tributario, deve intendersi riferita in via esclusiva al solo giudizio di merito avanti le commissioni tributarie; pertanto, non si estende anche al giudizio avanti la Corte di Cassazione.

La Suprema Corte di Cassazione precisa, altresì, che la riformulazione dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., deve essere interpretata come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in Cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili”, e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (cfr. Cass. civ., 26 febbraio 2016, n. 3852).

Sulla questione se la motivazione possa limitarsi a riprodurre un atto di parte si è ritenuto che la sentenza non è nulla, se le ragioni della decisione siano comunque attribuibili al giudicante e risultino in modo chiaro, univoco ed esaustivo.

In sintesi, il nuovo testo del n. 5) dell'art. 360 c.p.c. non contiene più alcun riferimento alla motivazione della sentenza i cui vizi non sono più sindacabili in relazione a tale norma.

In altri termini, la Corte di Cassazione chiarisce che il controllo previsto dal nuovo n. 5) dell'art. 360 c.p.c. riguarda l'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza (rilevanza del dato testuale) o dagli atti processuali (rilevanza anche del dato extratestuale), che abbia costituito oggetto di discussione e abbia carattere decisivo (tale da determinare un esito diverso della controversia). Viene, inoltre, precisato che l'omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l'omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.

Ai sensi dell'art. 348-ter, comma 5, c.p.c., non può essere proposto ricorso ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, in caso di doppia decisione conforme sulle questioni di fatto, ossia quando la sentenza del giudice di secondae curae abbia confermato sui fatti la decisione di primo grado e le ragioni poste dalla prima decisione non sono diverse da quelle poste alla base della sentenza di appello.

Ricapitolando, i motivi di cui all'art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 4, 5 indicano degli errores in procedendo, e, per tali vizi, la Cassazione è anche giudice del fatto (processuale) e può esaminare direttamente i fatti di causa; tuttavia, in questi casi, il ricorrente ha l'onere di indicare puntualmente il fatto processuale di cui richiede il riesame. Il vizio del n. 3 è un error in iudicando (in jure).

Si precisa che l'erronea indicazione, nella rubrica del motivo, della norma violata non rende inammissibile il ricorso, se la corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato si può desumere dal contenuto della censura.

Infine, per proporre ricorso per Cassazione bisognerà necessariamente tenere in debita considerazione:

  1. legittimazione ed interesse ad agire: la legittimazione attiva e l'interesse ad impugnare spettano al soggetto che ha assunto la qualità di parte nel precedente grado di giudizio. In particolar modo quando si denuncia una violazione della legge, è fondamentale che si tratti di una violazione di una norma che si applichi ai fatti di causa e che l'errore abbia inciso sulla decisione in senso sfavorevole. Tutte queste indicazioni dovranno essere indicate nel ricorso, a pena di inammissibilità;
  2. acquiescenza: può essere espressa (se dichiarata), ovvero tacita (in caso di comportamento incompatibile con la volontà di impugnare);
  3. il rispetto del termine per impugnare: vedi infra, par. 3. Raccomandazioni contenute nel Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense: contenuto del ricorso, termini per impugnare e costituzione in giudizio.
Le sentenze impugnabili

Il ricorso per Cassazione può essere ordinario o straordinario. Il primo, in genere, opera nei confronti di tutte le sentenze pronunciate in grado di appello o in un unico grado; in ambito tributario, tale ricorso è ammesso avverso le sentenze delle Commissione tributarie regionali, non essendo previste sentenze in unico grado. Quanto al secondo, lo stesso è esperibile nei confronti di tutti i provvedimenti aventi contenuto decisorio suscettibile di divenire definitivi; in ambito tributario, il ricorso per cassazione può essere esperito avverso l'ordinanza con cui la Commissione tributaria dichiara chiuso il procedimento di ottemperanza.

In ambito prettamente tributaristico, valga in dettaglio quanto di seguito.

A norma dell'art. 62, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992, e in ossequio dell'art. 111 della Costituzione, “Avverso la sentenza della commissione tributaria regionale può essere proposto ricorso per cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'art. 360, primo comma, del c.p.c.” (comma così modificato dall'art. 9, comma 1, lett. z), n. 1, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156. La disposizione si applica dal 1° gennaio 2016).

Al comma 2 del summenzionato articolo del D.Lgs. n. 546/1992 si sottolinea che “Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal c.p.c. in quanto compatibili con quelle del presente decreto”.

Ed ancora, il D.Lgs. n. 156/2015 ha introdotto, a decorrere dal 1° gennaio 2016, il comma 2-bis all'art. 62 del D.Lgs. n. 546/1992 che prevede che “Sull'accordo delle parti la sentenza della commissione tributaria provinciale può essere impugnata con ricorso per cassazione a norma dell'art. 360, primo comma, n. 3, del codice di procedura civile” (Comma inserito dall'art. 9, comma 1, lett. z), n. 2, D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 156. La disposizione si applica dal 1° gennaio 2016.) (c.d. ricorso per saltum).

Da ultimo, le sentenze emesse in sede di ottemperanza e l'ordinanza con cui viene dichiarato chiuso il procedimento di ottemperanza – lo si ribadisce – possono essere impugnate con ricorso straordinario, ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., oltre che con ricorso ordinario.

Protocollo d'intesa tra la Cassazione e il CNF: contenuto del ricorso, termini per impugnare e costituzione in giudizio

Il cod. proc. civ., individua alcuni requisiti indispensabili (a pena di inammissibilità) per il ricorso per Cassazione. Nella specie, dovrà i) esservi la sottoscrizione di un avvocato iscritto nell'apposito albo dei patrocinanti presso la Corte stessa - munito di procura speciale (ai sensi degli artt. 33-35 del R.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578) - e, inoltre, dovrà obbligatoriamente ii) contenere i seguenti elementi:

a) l'indicazione delle parti;

b) l'indicazione della sentenza o decisione impugnata;

c) l'esposizione sommaria dei fatti di causa;

d) i motivi per i quali si ricorre alla Cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'art. 366-bis c.p.c.;

e) l'indicazione della procura, se conferita con atto separato e, nel caso di ammissione al gratuito patrocinio, del relativo decreto;

f) la specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda.

Oltre alle norme del cod. proc. civ., è opportuno tenere in debita considerazione le raccomandazioni contenute nel Protocollo d'Intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei ricorsi in materia civile e tributaria. Seguendo lo schema del Protocollo, sono da indicare: parte ricorrente e parte intimata, sentenza impugnata, oggetto del giudizio, valore della controversia, sintesi dei motivi. Segue, poi, la parte relativa allo svolgimento del processo, che - secondo quanto stabilito dal Protocollo - deve essere funzionale alla percepibilità delle ragioni poste a fondamento delle censure (massimo 5 pagine). L'esposizione dei motivi deve rispondere al criterio di specificità, di concentrazione (ossia chiarezza e sinteticità) e di autosufficienza (cfr. Cass. civ., n. 11996/2012; Cass. civ., n. 7460/2009; Cass. civ., n. 15808/2008.) e deve essere contenuta nel limite massimo di 30 pagine. Infine sono da indicare le conclusioni e i documenti allegati.

Nel dettaglio, quanto alla specificità l'esposizione delle argomentazioni dovrà essere necessariamente chiara ed esauriente, atta a precisare come abbia avuto luogo la violazione ascritta alla pronuncia di merito; la concentrazione è intesa come chiarezza e sinteticità espositiva; in merito al principio di autosufficienza, si evidenzia come il ricorrente debba indicare nel ricorso, in maniera specifica e puntuale, tutti gli elementi utili affinché il giudice di legittimità possa conoscere in modo completo l'oggetto della controversia, lo svolgimento del processo e le posizioni delle parti, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti del processo, compresa la sentenza impugnata.

Inoltre, il ricorso per cassazione può essere proposto contro più sentenze che presentino questioni identiche. Infatti, il ricorso cumulativo contro una pluralità di sentenze, relative a più annualità, è ammissibile quando la soluzione, per tutte, dipenda da identiche questioni di diritto (cfr. Cass. civ., 3 aprile 2013, n. 8075).

Quanto all'esposizione sommaria dei fatti di causa sub c), il ricorso deve contenere - a pena di inammissibilità - a norma dell'art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c. una sintetica esposizione dei fatti di causa, sostanziali e processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (la giurisprudenza ha elaborato al riguardo un complesso di regole: nel ricorso deve esservi una esposizione, del fatto processuale e del fatto sostanziale, che non sia la riproduzione integrale degli atti del processo, ma la selezione di ciò che è rilevante (sinteticità e completezza). Gli atti del giudizio di merito non possono essere trascritti integralmente, ma devono essere sintetizzati).

Pertanto, deve essere possibile apprendere tutto dalla lettura del ricorso, senza dover ripercorrere a ritroso gli atti dei precedenti gradi di giudizio: la testuale riproduzione (in tutto o in parte) degli stessi è richiesta quando si ritiene che la sentenza di merito sia censurabile per non averne tenuto conto, e che, se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa. Si vuole, insomma, che l'esposizione dei fatti sia frutto di un lavoro di sintesi, proprio del ricorrente, e persino che vi sia contraddittorio tra le parti anche nella esposizione dei fatti.

Anche l'eventuale ricorso incidentale deve contenere un'adeguata esposizione dei fatti di causa.

Con riferimento ai termini per impugnare, invece, il ricorso dovrà essere notificato all'altra parte entro sessanta giorni dalla notificazione della sentenza oppure, se questa non fu notificata, entro sei mesi dalla pubblicazione, e dovrà essere depositato presso la cancelleria della Corte - a pena di inammissibilità - entro venti giorni dall'ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto.

Il ricorso per cassazione è notificato secondo le norme del codice di procedura civile o, ai sensi della L. 21 gennaio 1994, n. 53, nei luoghi indicati dall'art. 330 c.p.c. (cfr. Cass. civ., 28 dicembre 2016, n. 21866; Cass. ss.uu. 26 luglio 2016, n. 14916.). Se il ricorrente non elegge domicilio in Roma, o non indica l'indirizzo PEC, le notificazioni gli sono fatte presso la cancelleria della Corte di Cassazione.

Le comunicazioni della cancelleria e le notificazioni tra i difensori, relative al deposito di documenti ex art. 372 c.p.c. e la rinuncia al ricorso, possono essere fatte al numero di telefax o all'indirizzo PEC indicato nel ricorso del difensore che così dichiara di voler ricevere.

L'art. 369 c.p.c. disciplina lo step successivo alla notificazione del ricorso, ossia il deposito dello stesso. Infatti, a norma del poc'anzi citato articolo, il ricorso - una volta portato in notifica - dovrà essere depositato nella cancelleria della Corte (a pena di improcedibilità rilevabile anche d'ufficio) nel termine di venti giorni dalla ultima notificazione alle parti contro cui è proposto. Qualora il termine per il deposito del ricorso non sia osservato, il vizio non è sanato né dalla notificazione del controricorso, né dalla costituzione in giudizio della controparte con conseguente improcedibilità del ricorso stesso.

Di seguito si elencano gli allegati che bisogna depositare unitamente al ricorso, sempre a pena di improcedibilità:

  1. copia autentica della sentenza impugnata, con la relazione di notifica, se avvenuta;
  2. la procura speciale, se conferita con atto separato;
  3. gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda;
  4. la richiesta di trasmissione del fascicolo d'ufficio alla cancelleria della Corte di Cassazione, munita di visto della segreteria della commissione tributaria regionale (ex art. 369, ultimo comma, c.p.c.), in duplo originale.

Qualora il ricorso sia notificato a mezzo del servizio postale occorre depositare anche l'avviso di ricevimento del piego raccomandato, per provare che si è perfezionata la notificazione; se non è prodotto l'avviso di ricevimento, e non si costituisce la parte intimata, il ricorso è inammissibile perché in giudizio manca la prova della notifica.

Per le cause tributarie non vi è l'obbligo di allegare gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, in quanto le parti non dispongono dei fascicoli. Infatti, nel processo tributario, i fascicoli di parte restano acquisiti al fascicolo d'ufficio sino al passaggio in giudicato della sentenza e vengono trasmessi d'ufficio alla cancelleria della Suprema Corte di Cassazione dalla segreteria del giudice a quo: è quindi sufficiente che venga depositata l'istanza di trasmissione del fascicolo ex art. 369, ultimo comma, c.p.c.

L'art. 372 c.p.c. vieta la produzione di documenti non prodotti nelle fasi di merito. Tuttavia, possono essere prodotti i documenti che riguardano la nullità della sentenza impugnata e l'ammissibilità del ricorso o del controricorso o che concernono questioni rilevabili d'ufficio per la prima volta in Cassazione (ad esempio, documenti che attestano la cessazione della materia del contendere o un giudicato esterno).

Il giudicato è rilevabile d'ufficio, poiché riflette un interesse pubblico, ma è necessaria la presenza in atti della sentenza, munita dell'attestazione del passaggio in giudicato.

Vi è di più. Può essere prodotta per la prima volta in Cassazione la sentenza passata in giudicato, se il giudicato si sia formato dopo l'esaurimento dei gradi di merito; in tal caso, non opera la preclusione prevista dall'art. 372 c.p.c., ed è consentito il deposito, unitamente al ricorso, dei documenti comprovanti il giudicato esterno formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito, mentre il giudicato formatosi dopo il deposito del ricorso può essere provato fino alla udienza di discussione e prima dell'inizio della relazione.

I documenti che concernono l'ammissibilità possono essere prodotti anche dopo il deposito del ricorso, ma occorre notificarne l'elenco alle altre parti, a pena di inutilizzabilità.

Segue: inammissibilità e improcedibilità del ricorso

L'inammissibilità è un vizio degli atti introduttivi del giudizio che ricorre quando manca un elemento essenziale. Nello specifico, l'inammissibilità del ricorso è sancita:

1) dall'art. 365 c.p.c., che prevede la sottoscrizione del ricorso da parte di un avvocato iscritto nell'apposito albo e munito di procura speciale;

2) dall'art. 366 c.p.c., in tema di contenuto del ricorso;

3) dall'art. 366-bis c.p.c. (I ricorsi che l'art. 366bis c.p.c. qualifica inammissibili sono in realtà infondati e non sono estranei alle previsioni dell'art. 375 c.p.c., che ne prevede la decisione in camera di consiglio), che prevede quanto di seguito: i ricorsi sono inammissibili quando i) il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte (e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento) e inoltre quando ii) è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolatori del giusto processo.

Quanto all'improcedibilità, l'art. 369 c.p.c. prevede che il ricorso dev'essere depositato nella cancelleria della Corte di Cassazione entro venti giorni dalla sua notificazione, con i documenti di cui al secondo comma. L'improcedibilità deriva, quindi, da un difetto di attività nella fase successiva all'istaurazione del processo di impugnazione.

I casi di improcedibilità sono tassativi. Pertanto, vanno distinte le ipotesi d'inattività che determinano l'improcedibilità da quelle che, invece, provocano l'estinzione del processo. Gli effetti di entrambe queste sanzioni sono previsti dagli artt. 358 e 387 c.p.c., secondo cui il ricorso dichiarato inammissibile o improcedibile non può essere riproposto, anche se in termini.

Il controricorso e l'eventuale proposizione del ricorso incidentale

Ai sensi dell'art. 370 c.p.c., la parte contro la quale il ricorso è diretto, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso. Le caratteristiche formali e di contenuto del controricorso sono le stesse del ricorso (ex art. 370 c.p.c.).

Secondo quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, l'autosufficienza del controricorso, assolvendo alla sola funzione di contrastare l'impugnazione altrui, è assicurata, ai sensi dell'art. 370, comma 2, c.p.c. che richiama a sua volta l'art. 366, comma 1, c.p.c., quando l'atto non contenga l'autonoma esposizione sommaria dei fatti della causa, anche dal rinvio ai fatti esposti nella sentenza impugnata o nel ricorso (cfr. Cass. civ.., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18483; Cass. civ., sez. III, 10 dicembre 2015, n. 24945).

Il controricorso, però, deve contenere l'esposizione delle ragioni della resistenza senza riserve e non un mero rinvio alle difese precedenti. Non è necessario che il controricorrente riproponga le questioni non esaminate dal giudice di secondo grado perché assorbite.

Non possono essere proposte e non sono esaminabili in Cassazione le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in via pregiudiziale, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l'accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l'esame delle ulteriori questioni oggetto della censura va rimesso al giudice di rinvio.

Il controricorso deve essere sottoscritto da un avvocato iscritto all'albo dei cassazionisti. Il mandato deve essere rilasciato dalla parte personalmente o da un suo procuratore generale o speciale ad negotia, prima o contestualmente alla notificazione del controricorso.

Il controricorso deve essere notificato al ricorrente, a pena di inammissibilità, nel domicilio eletto, entro quaranta giorni dalla notificazione del ricorso (venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso, più venti giorni dall'ultima notificazione); deve essere poi depositato nella cancelleria della Corte unitamente alla procura speciale entro venti giorni dalla notificazione.

La parte nei cui confronti è proposto un ricorso per cassazione, se propone tardivamente il controricorso, non può presentare memorie, ma solo partecipare alla discussione orale.

Quanto alla possibilità di proporre eventualmente ricorso incidentale non trova applicazione l'art. 346 c.p.c., che consente alla parte vittoriosa in primo grado di riproporre in appello le domande ed eccezioni non accolte senza necessità di appello incidentale.

Perciò, il resistente che intenda a sua volta impugnare la medesima sentenza su capi in relazione ai quali sia soccombente, deve proporre ricorso incidentale, nel controricorso (art. 371 c.p.c.) o con un atto a sé stante.

Il ricorrente, al quale è notificato un ricorso incidentale, può a sua volta notificare un controricorso, nel termine previsto dall'art. 370 c.p.c.; il ricorso incidentale è ammissibile anche se tardivo, cioè proposto ai sensi dell'art. 334 c.p.c.*, ed anche contro un capo di sentenza non impugnato con il ricorso principale.

*In evidenza:

Le parti, contro le quali è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell'articolo 331, possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza. In tal caso, se l'impugnazione principale è dichiarata inammissibile, la impugnazione incidentale perde ogni efficacia”.

Al ricorso incidentale si applicano le norme in tema di forma e contenuto dettate dagli artt. 365 e 366 c.p.c. per il ricorso principale.

La parte totalmente vittoriosa può proporre ricorso incidentale, subordinato all'accoglimento del ricorso principale. Tale ricorso è il c.d. “ricorso incidentale condizionato” che può essere proposto dalla parte vittoriosa nel merito - la cui soccombenza, quindi, non è pratica ma solo teorica -, che abbia interesse a sottoporre all'esame della Suprema Corte questioni preliminari di rito o pregiudiziali di merito decise in senso ad essa favorevole (cfr. Cass. civ., sez. VI, 14 aprile 2015, n. 7523).

Il ricorso incidentale condizionato, di regola, deve essere esaminato dopo che è stato accolto il ricorso principale (Le Sezioni Unite nel 2001 hanno fissato il seguente principio: “Qualora la parte, interamente vittoriosa nel merito, abbia proposto ricorso incidentale condizionato avverso ad una situazione a lei sfavorevole, relativa ad una questione pregiudiziale di rito o preliminare di merito, rilevabile d'ufficio, la Corte di Cassazione deve esaminare e decidere con priorità tale ricorso, senza tener conto della sua subordinazione all'accoglimento del ricorso principale”. Cfr. Cass. civ., ss.uu., 23 maggio 2001, n. 212).

L'orientamento adottato dalle SS.UU. nel 2001 non è stato poi seguito con coerenza. Infatti, giova evidenziare che vi sono sentenze in cui si afferma che, nell'ipotesi in cui sia stata affrontata e decisa dal giudice di merito, la questione pregiudiziale o preliminare cessa di essere rilevabile d'ufficio e il suo esame postula la proposizione di una impugnazione, la quale è ammissibile in presenza di un interesse che, con riferimento alla parte totalmente vittoriosa, sorge solo dalla fondatezza del ricorso principale, che perciò deve essere esaminato per primo (cfr. Cass. civ., 24 agosto 2004, n. 16732).

Se il giudice di secondo grado non si è pronunciato su una domanda, un'eccezione o una questione comunque rilevante ai fini del giudizio, per averla ritenuta assorbita, la parte vittoriosa nel merito non ha l'onere di riproporla espressamente avanti la Suprema Corte, né di proporre ricorso incidentale condizionato.

Fase decisionale della Suprema Corte di Cassazione: la “sezione filtro”, le decisioni in camera di consiglio e la pubblica udienza

Di norma la Corte di Cassazione delibera a sezioni semplici; tuttavia, i ricorsi possono essere decisi dalla “sezione filtro” (sesta sezione), dalla sezione semplice (la quinta, per le cause tributarie) o dalle Sezioni Unite.

I ricorsi sono esaminati, in prima facie, ex art. 376 c.p.c., dal Primo Presidente, che separa i ricorsi da mandare alle Sezioni Unite da quelli che vanno alla “sezione filtro” (sezione sesta).

La causa è decisa dalla sezione sesta, in camera di consiglio, se il ricorso principale e il ricorso incidentale o sono da accogliere o da rigettare, rispettivamente, per manifesta fondatezza o infondatezza (art. 376, comma 1, c.p.c.).

Su proposta del relatore, il presidente della sezione fissa con decreto l'adunanza della sezione indicando se è stata ravvisata un'ipotesi di inammissibilità o di manifesta infondatezza o fondatezza del ricorso. Almeno venti giorni prima dell'adunanza il decreto presidenziale è notificato agli avvocati delle parti, i quali hanno facoltà di presentare memorie non oltre cinque giorni prima (art. 380-bis c.p.c.).

La sezione sesta non può condividere la proposta del relatore e rimettere la causa alla sezione semplice.

La controversia, se supera il vaglio della sezione filtro, è decisa dalla sezione semplice con ordinanza in camera di consiglio (art. 375 c.p.c.). La data della camera di consiglio è comunicata agli avvocati delle parti ed al pubblico ministero almeno 40gg prima (art. 380-bis 1 c.p.c.). Il pubblico ministero può depositare in cancelleria le sue conclusioni scritte non oltre venti giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio. Le parti possono depositare le loro memorie non oltre dieci giorni prima dell'adunanza in camera di consiglio.

Quanto, invece, alla pronuncia da parte della Suprema Corte a SS.UU., l'art. 374 c.p.c. prevede due specifiche ipotesi:

  1. la prima ricorre quando si decidono questioni attinenti alla giurisdizione;
  2. la seconda ricorre allorchè vi sono questioni già decise in modo difforme da più sezioni semplici, ovvero quando si tratta di questioni della massima e particolare importanza, quale l'interpretazione di una nuova legge. La sezione semplice, quando non condivide un principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, non deve decidere, ma deve rimettere la decisione alle sezioni unite (art. 374, coma 3, c.p.c.).

Ed ancora, l'art. 375, comma 2, c.p.c. individua due casi di trattazione in pubblica udienza, ossia:

  • quando vi è una particolare rilevanza della questione di diritto sulla quale la Corte deve pronunciare;
  • quando il ricorso sia stato rimesso alla sezione semplice dalla sezione sesta.

L'udienza viene fissata dal primo presidente con un provvedimento che contiene pure la nomina del giudice relatore. Dall'udienza così disposta viene data la notizia agli avvocati almeno venti giorni prima (art. 377 c.p.c.). Prima dell'udienza, possono essere depositate memorie entro cinque giorni, termine questo che è espressamente previsto dall'art. 378 c.p.c. e che deve intendersi non “libero” operando il criterio generale di cui all'art. 155, comma 1, c.p.c. (“Nel computo dei termini a giorni o ad ore, si escludono il giorno o l'ora iniziali. Per il computo dei termini a mesi o ad anni, si osserva il calendario comune (…)”).

All'udienza il relatore riferisce i fatti di causa per la decisione del ricorso, il contenuto del provvedimento impugnato e, in riassunto, se non vi è discussione delle parti, i motivi del ricorso e del controricorso. Dopo la relazione il presidente invita il pubblico ministero a esporre oralmente le sue conclusioni motivate e, quindi, i difensori delle parti a svolgere le loro difese. Non sono ammesse repliche.

L'art. 384 c.p.c., penultimo comma, c.p.c. prevede che la Corte, se rileva d'ufficio una questione, non deve pronunciare “a sorpresa”, ma deve sollecitare il contraddittorio, assegnando al pubblico ministero e alle parti un termine – da 20 a 60 giorni – perché formulino le loro osservazioni. La norma riflette il principio per cui il giudice non può rilevare d'ufficio una questione senza sottoporla al contraddittorio.

Le sentenze della Corte di Cassazione e il giudizio di rinvio

Le sentenze della Corte di Cassazione sono redatte in forma semplificata, quando decidono ricorsi che non richiedono l'esercizio della funzione di nomofilachia o la cui soluzione comporta l'applicazione di principi giuridici già affermati dalla Corte e condivisi dal Collegio.

La Corte cassa senza rinvio quando dichiara inammissibile o improcedibile il ricorso introduttivo e, oltretutto, quando sussistono le seguenti due ipotesi:

  • quando, risolvendo una questione di giurisdizione, riconosce che il giudice del quale è impugnato il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione;
  • quando ritiene per qualsiasi motivo che la causa non poteva essere proposta o il processo proseguito avanti il giudice di merito (ad esempio quando la sentenza abbia deciso su una domanda proposta per la prima volta in grado d'appello).

Come già precedentemente argomentato, la Cassazione, se statuisce il difetto di giurisdizione, dispone la translatio iudicii dinanzi al giudice dotato di giurisdizione.

Di contro, la Cassazione quando cassa con rinvio, si limita al giudizio rescindente e rinvia, per il rescissorio, ad un giudice diverso ma di pari grado rispetto a quello che ha emesso la sentenza impugnata. La Cassazione rinvia dunque alla commissione tributaria regionale, che dovrà decidere attenendosi al principio di diritto enunciato dalla Cassazione.

Inoltre, giova sottolineare che in base all'art. 384, comma 1, c.p.c., la Cassazione ha il potere di decidere nel merito se accoglie il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e non siano necessari ulteriori accertamenti di fatto.

La decisione nel merito è un'eccezione, introdotta per ragioni di economia processuale, ad imitazione di altri ordinamenti giuridici: si evita, quindi, il giudizio di rinvio e sono scoraggianti i ricorsi proposti unicamente per la formazione del giudicato.

Le sentenze di cassazione senza rinvio, con decisione della causa nel merito, possono essere emesse anche nei casi di violazione di norme processuali. In tal modo, si evitano i giudizi di rinvio privi di contenuto contenzioso e ulteriori ricorsi in Cassazione.

Secondo l'art. 363 c.p.c., a scopo nomofilattico, il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione può chiedere che la Corte enunci nell'interesse della legge il principio di diritto al quale il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi. La richiesta è ammessa non solo quando le parti non hanno proposto ricorso nei termini di legge o vi hanno rinunciato ma anche quando il provvedimento non è ricorribile in Cassazione e non è altrimenti impugnabile.

Il principio di diritto può essere enunciato anche d'ufficio, “quando il ricorso proposto dalle parti è dichiarato inammissibile, se la Corte ritiene che la questione decisa è di particolare importanza”. La sentenza non giova alle parti e non ha effetto sul provvedimento del giudice di merito. Se avesse effetto per le parti sarebbero vanificate le regole sulla inammissibilità dei ricorsi.

La Corte provvede anche sulle spese, imputandole al ricorrente se rigetta il ricorso; se, invece, lo accoglie può provvedere direttamente oppure rimettere la decisione al giudice di rinvio (ex art. 385 c.p.c.). Parte della dottrina ritiene che una delle ragioni dell'incremento dei ricorsi per cassazione sia il basso costo. La Cassazione compensa assai spesso le spese, o affida la decisione al giudice di rinvio.

Giova precisare, tuttavia, che anche la Cassazione può condannare, anche d'ufficio, il soccombente al pagamento di una somma a favore della controparte, ex art. 96 c.p.c.

A differenza del (vecchio) deposito per soccombenza, la nuova penale va a beneficio della controparte, non dell'Erario.

Quanto al giudizio di rinvio, questo è promosso con ricorso dinanzi al giudice indicato dalla Suprema Corte, nelle forme previste per il giudizio di primo o secondo grado, nei confronti di tutte le parti personalmente (e non nei confronti del procuratore), entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza della Cassazione (art. 63 D.Lgs. n. 546/1992). Nel caso in cui le parti abbiano, di comune accordo, adìto la Cassazione omettendo l'appello (revisio per saltum), il rinvio potrà essere fatto al giudice che avrebbe dovuto pronunciare sull'appello cui le parti hanno rinunciato.

L'art. 63 D.Lgs. n. 546/1992 disciplina dettagliatamente il summenzionato giudizio di rinvio, adeguando le disposizione contenute negli artt. 392 e ss. del c.p.c. alle peculiarità del processo davanti alle Commissione tributarie. Giova ricordare che, generalmente, mediante il giudizio di rinvio si tende a sostituire la sentenza cassata con una nuova sentenza: per questo la dottrina lo considera come “una prosecuzione del giudizio nel quale la sentenza fu cassata, pure con caratteristiche proprie che lo rendono autonomo rispetto ai precedenti giudizi”.

All'interno di tale giudizio deve essere prodotta copia autentica della sentenza della Cassazione. L'inosservanza di ciò causa l'inammissibilità dell'atto di riassunzione. Subito dopo il deposito dell'atto in esame la segreteria della commissione adìta dovrà necessariamente richiedere alla cancelleria della Corte di Cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.

Il giudizio di rinvio dinanzi la commissione regionale, tuttavia, si caratterizza in modo diverso a seconda del tipo del rinvio. Quando la Cassazione annulla la sentenza impugnata avendo riscontrato in essa vizi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. il giudizio di rinvio rappresenta una prosecuzione del giudizio di Cassazione, che deve essere completato applicando al caso concreto il principio di diritto enunciato dalla Corte.

In questo caso, non è dunque una prosecuzione del precedente giudizio di secondo grado, ma una nuova ed autonoma fase con natura rescissoria funzionale alla emanazione di una sentenza che statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti. Pertanto, il giudice dovrà soltanto uniformarsi, ex art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo.

Negli altri casi, il rinvio ha carattere restitutorio. Quando il rinvio avviene per effetto del rilievo di un error in procedendo, il processo regredisce là dove si è verificato il vizio e riprende senza essere vincolato da principi di diritto enunciati dalla Cassazione. Ne deriva, quindi, che se la sentenza della Cassazione accoglierà il ricorso per vizi motivazionali in ordine a punti decisivi della controversia, il giudice del rinvio potrà liberamente valutare i fatti già accertati.

Inoltre, risulta avere carattere restitutorio anche il rinvio dalla Cassazione alla Commissione tributaria provinciale nel caso in cui la Corte riscontra una nullità della sentenza di primo grado, per la quale il giudice dell'appello avrebbe dovuto rimettere le parti al primo giudice, il rinvio avviene direttamente al primo giudice.

Ai sensi dell'art. 63, comma 2, D.Lgs. n. 546/1992, se la riassunzione non è effettuata tempestivamente, o se, per una qualsiasi causa, si estingue il giudizio di rinvio, “l'intero processo si estingue”.

L'estinzione investe l'intero processo, perché non potrebbe sopravvivere né la sentenza di primo grado, che è stata sostituita da quella di appello, né quella di appello, che è stata annullata dalla Cassazione.

In pendenza del rinvio l'Agenzia non può riscuotere quanto dovuto in base alla sentenza di primo grado, ma quanto previsto dall'art. 15, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602. In caso di mancata riassunzione o di estinzione del giudizio di rinvio, è dovuto l'intero.

Il giudizio di rinvio non è un nuovo giudizio d'appello. Se fosse un nuovo procedimento d'appello, l'estinzione farebbe passare in giudicato la sentenza di primo grado. L'estinzione del processo rende definitivo l'atto impugnato e non è ipotizzabile un nuovo processo. Per tale motivo, solo il Contribuente ha interesse a riassumere.

Nel giudizio di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti al giudice del rinvio. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle presentate in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione. Restano ferme le domande assunte in precedenza e non sono ammesse nuove produzioni probatorie.

Peraltro, il carattere “chiuso” del giudizio di rinvio, nel quale, a norma dell'art. 394 c.p.c., non è ammessa la produzione di nuovi documenti, non impedisce l'acquisizione di nuove prove come conseguenza di fatti sopravvenuti o di quanto disposto dalla sentenza di cassazione.

In conclusione

Si può affermare che il giudizio innanzi alla Corte di Cassazione ha fondamentalmente natura risolutoria. Alternativamente può dichiarare l'inammissibilità di un giudizio, cassarlo con o senza rinvio o, nei casi più rari, decidere nel merito.

Resta in ogni caso ferma la considerazione per cui la funzione di giudice ultimo garantisce non solo la massima espressione del diritto di difesa, ma il diritto stesso ad ottenere giustizia nel senso più ampio del termine.

Sommario