Redazione di atti e provvedimenti con modalità telematiche: linee guida

Michele Nardelli
15 Febbraio 2018

L'autore analizza le linee guida predisposte dagli Osservatori della Giustizia Civile, in ordine alla redazione degli atti e dei provvedimenti. Si esaminano anche le fonti normative che disciplinano la materia, e le conseguenze processuali per il caso di violazione sia delle linee guida che delle norme.
La redazione degli atti in generale

Per diversi motivi (l'enorme mole dei procedimenti giudiziari pendenti, il passaggio al processo telematico), il tema della redazione degli atti è divenuto centrale nel dibattito processuale.

Possono registrarsi due diverse disposizioni che si occupano della modalità di redazione degli atti.

L'art. 16-bis, comma 9-octies, d.l. n. 179/2012, stabilisce che «gli atti di parte e i provvedimenti del Giudice depositati con modalità telematiche sono redatti in maniera sintetica».

L'art. 3, comma 2, allegato 1, d.lgs. n. 104/2010 (Codice del processo amministrativo), prevede che «il Giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica, secondo quanto disposto dalle norme di attuazione» (e l'art. 13-ter, allegato 2, d.lgs. n. 104/2010 stabilisce poi i «criteri per la sinteticità e la chiarezza degli atti di parte», demandando la concreta regolamentazione ad un decreto del Presidente del Consiglio di Stato, poi emanato il 22 dicembre 2016, da ultimo modificato con Decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 127 del 16 ottobre 2017).

Nel quadro normativo così delineato si inseriscono le linee guida predisposte dalla Assemblea Nazionale degli Osservatori sulla Giustizia Civile, tenutasi a Roma il 21 maggio 2017.

Appare preliminare chiarire, come si legge nella home page del sito degli Osservatori, che questi ultimi «sono aggregazioni nate spontaneamente in molti distretti giudiziari d'Italia allo scopo di favorire il confronto e la collaborazione tra i soggetti coinvolti nella gestione del processo – magistrati, avvocati, personale dell'amministrazione giudiziaria – e di elaborare e sostenere, nel quadro di un movimento di opinione creato e coltivato al di fuori di ogni logica di appartenenza, determinate scelte operative, pratiche e concrete, ritenute idonee a migliorare la qualità e l'efficienza della giustizia civile».

Le elaborazioni predisposte non rappresentano pertanto per definizione atti aventi valore vincolante, ma tuttavia questo non esclude che la concreta pratica dei soggetti aventi un ruolo nelle dinamiche processuali (magistrati, avvocati e personale dell'amministrazione giudiziaria) sia ispirata in maniera spontanea a una condotta condivisa, nel rispetto delle reciproche esigenze, e nell'ottica di una pratica funzionale all'obiettivo comune della migliore gestione delle controversie.

Non a caso la premessa delle linee guida è che il loro mancato rispetto non sia motivo di inammissibilità e/o di improcedibilità degli atti. D'altra parte esse sono riferite anche agli atti del Giudice, sicché anche sotto questo profilo il loro mancato rispetto non potrebbe comportare alcun vizio suscettibile di essere fatto valere in sede di impugnazione.

Lo sviluppo delle linee guida è articolato su alcuni capisaldi.

In primo luogo esse si preoccupano di stabilire gli obiettivi generali (chiarezza e sinteticità), intesi come modalità di redazione in vista sia della agevole comprensione del testo, sia della corretta proporzione tra le questioni da esaminare e la consistenza dell'atto.

Stabiliscono quindi i principi ai quali attenersi in sede di redazione degli atti.

Tra questi la formulazione in paragrafi separati, con una esposizione ispirata al criterio cronologico; la predisposizione di un paragrafo di sintesi; la predisposizione di un indice degli argomenti, la numerazione delle pagine e la denominazione e numerazione degli allegati; la predisposizione di collegamenti ipertestuali, utili a consentire la navigazione dell'atto tra le sue varie parti, nonché la visualizzazione di altri documenti a loro volta depositati nel processo. Ancora sono richiamati i caratteri grafici dell'atto, le modalità di inserimento di dottrina e giurisprudenza, le modalità di verbalizzazione delle udienze. Sotto altro profilo si afferma la necessità di rispettare i criteri di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., nella redazione delle memorie, e la possibilità di depositare un foglio di precisazione delle conclusioni. Quanto agli atti del Giudice, in maniera specifica si segnala la necessità che gli stessi seguano lo schema degli atti di parte, e si evidenzia la necessità che il dispositivo sia rispondente a principi di liquidità ed eseguibilità. Infine, e quanto alle spese, si prevede che le stesse siano regolate in un apposito punto della motivazione, e soprattutto che si tenga conto non solo di quanto indicato dai difensori negli atti conclusivi, ma anche della sinteticità e chiarezza degli atti.

Approfondimenti specifici

Dei vari punti delle linee guida, appaiono meritevoli di approfondimento alcuni aspetti particolari.

Oltre alla generale necessità di collegare le repliche a punti ben indicati degli atti delle controparti, appare di rilievo il richiamo ai collegamenti ipertestuali.

A questo scopo è utile richiamare l'art. 12 del provvedimento del 16 aprile 2014, secondo il quale l'atto del processo in forma di documento informatico, da depositare telematicamente all'ufficio giudiziario, deve rispettare, tra gli altri, il requisito della mancanza di elementi attivi (il successivo art. 13 è riferito agli allegati).

Secondo un orientamento registratosi in giurisprudenza, a seguito della introduzione del processo telematico, tale norma andrebbe interpretata nel senso che la presenza di collegamenti ipertestuali in un atto non consentirebbe di ritenerne la ritualità (Trib. Roma, sez. II, 20 aprile 2015, la cui massima recita che «è inammissibile il ricorso per decreto ingiuntivo corredato di allegati che presentano “elementi attivi” -nella specie collegamenti ipertestuali- la cui presenza è inibita a mente delle previsioni del Provv. Resp. SIA 16 aprile 2014»).

In realtà, e come chiarito nel Portale dei Servizi Telematici, «“privo di elementi attivi” significa che non è ammessa la presenza di macro o di campi che possano pregiudicare la sicurezza (es. veicolare virus) e alterare valori quando il file viene aperto» (si veda altresì il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 22 febbraio 2013, il cui art. 4, comma 3, prevede che «Il documento informatico, sottoscritto con firma elettronica qualificata o firma digitale, non soddisfa il requisito di immodificabilità del documento previsto dall'art. 21, comma 2, del Codice, se contiene macroistruzioni, codici eseguibili o altri elementi, tali da attivare funzionalità che possano modificare gli atti, i fatti o i dati nello stesso rappresentati»).

Deve pertanto ritenersi che non sia impedita la creazione di collegamenti ipertestuali (che non possono essere intesi alla stregua di elementi attivi) tra varie parti dello stesso documento, ovvero tra una memoria e altri documenti depositati con la medesima busta telematica. Si tratta anzi, come emerge anche dalle linee guida, di una modalità di redazione degli atti che potrebbe consentire la navigazione degli stessi, facilitandone la lettura. In tal modo si consente anche l'immediata visualizzazione dei singoli atti richiamati nella memoria. Ovviamente, i collegamenti ipertestuali non possono che riguardare i soli atti depositati nel rispetto delle preclusioni processuali, e non potrebbero consentire tardive produzioni, che rimarrebbero comunque inammissibili (salve le eccezioni consentite). Ed inoltre vi è la necessità, per motivi tecnici, di produrre nuovamente atti già depositati in precedenza, quando richiamati in una memoria successiva (ad esempio nelle comparse conclusionali), dal momento che i collegamenti sono possibili solo rispetto a documenti contenuti nella stessa busta telematica (cartella), ma questo non toglie che ne sarebbero comunque agevolate tanto la lettura quanto la verifica del contenuto degli atti.

Il secondo punto che merita di essere evidenziato è quello che tratta della necessità di numerare e nominare i file allegati. È suggerita una numerazione del tipo “001” (fino a 100 allegati), o del tipo “0001” (oltre cento allegati), ed è altresì suggerita l'attribuzione di un nome al documento, in base al suo contenuto. Si tratta in entrambi i casi di soluzioni del tutto congrue con l'esigenza di rendere agevole la ricerca degli atti.

Le dimensioni degli atti

Le linee guida richiamano la necessità di sintesi degli atti, intesa come corretta proporzione tra la mole delle questioni da esaminare e la consistenza dell'atto chiamato ad esaminarle. Il riferimento è a Cons. Stato, sez. III, 12 giugno 2015, n. 2900 (punti 14.4 e 14.5 della motivazione), ove per l'appunto è sostenuto che «L'essenza della sinteticità, prescritta dal codice di rito, non risiede nel numero delle pagine o delle righe in ogni pagina, ma nella proporzione tra la molteplicità e la complessità delle questioni dibattute e l'ampiezza dell'atto che le veicola», ed è affermato che «La sinteticità è, cioè, un concetto di relazione, che esprime una corretta proporzione tra due grandezze, la mole, da un lato, delle questioni da esaminare e, dall'altro, la consistenza dell'atto – ricorso, memoria o, infine, sentenza – chiamato ad esaminarle».

Non vi sono pertanto limiti rigidi, nelle linee guida, né indicazioni quantitative specifiche.

Diversamente, nel Protocollo d'intesa tra la Corte di Cassazione e il Consiglio Nazionale Forense in merito alle regole redazionali dei motivi di ricorso in materia civile e tributaria (redatto a Roma, il 17 dicembre 2015), è stabilito che l'esposizione del fatto sia contenuta nel limite massimo di cinque pagine, e l'esposizione delle argomentazioni a sostegno delle censure, rispondenti al criterio di specificità e di concentrazione dei motivi, sia a sua volta contenuta nel limite massimo di 30 pagine. Va aggiunto, in proposito, che il Protocollo prevede che il mancato rispetto dei limiti dimensionali indicati nel modulo non comporta l'inammissibilità o l'improcedibilità del ricorso, salvo che ciò non sia espressamente previsto dalla legge; per contro, è specificato che il mancato rispetto dei limiti dimensionali è valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.

Giova evidenziare che la giurisprudenza di legittimità (da ultimo, Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2017, n. 9570) ha ritenuto principio generale del diritto processuale, destinato ad operare anche nel processo civile, quello stabilito nell'art. 3, comma 2, c.p.a. (secondo cui «il Giudice e le parti redigono gli atti in maniera chiara e sintetica»), con il conseguente rischio di una declaratoria di inammissibilità dell'intera impugnazione o del singolo motivo di ricorso. È stato chiarito che tale conseguenza preclusiva non deriverebbe dalla irragionevole «estensione dell'atto o del motivo (la quale non è normativa sanzionata)», ma dal pregiudizio che potrebbe derivare alla «intelligibilità delle questioni, rendendo oscura l'esposizione dei fatti di causa e confuse le censure mosse alla sentenza gravata, ridondando nella violazione delle prescrizioni di cui ai numeri 3 ("esposizione sommaria dei fatti della causa") e 4 ("motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano") dell'art. 366 c.p.c., assistite queste sì - da una sanzione testuale di inammissibilità (Cass. civ., 20 ottobre 2016, n. 21297)». Ed è stato altresì chiarito che «Il mancato rispetto del dovere processuale della chiarezza e della sinteticità espositiva collide, invero, con l'obiettivo di attribuire maggiore rilevanza allo scopo del processo, tendente ad una decisione di merito, al duplice fine di assicurare un'effettiva tutela del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost., nell'ambito del rispetto dei principi del giusto processo di cui all'art. 111, comma 2, Cost. e in coerenza con l'art. 6 CEDU, nonché di evitare di gravare sia lo Stato che le parti di oneri processuali superflui (Cass. civ., 6 agosto 2014, n. 17698)».

Ancora diversamente, l'art. 3 del decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 167/2016 (come modificato con decreto n. 127 del 16 ottobre 2017) prevede specifici limiti dimensionali per ciascuna tipologia di procedimento, riferiti al numero dei caratteri. Quest'ultimo decreto prevede poi specifiche modalità sia per richiedere preventivamente l'autorizzazione al superamento dei predetti limiti, sia per richiedere una autorizzazione successiva. La violazione dei limiti dimensionali, in questo caso, in assenza della necessaria autorizzazione, è direttamente sanzionata dalla legge (art. 13-ter, comma 5, allegato 2, d.lgs. n. 104/2010), essendo previsto che «Il Giudice è tenuto a esaminare tutte le questioni trattate nelle pagine rientranti nei suddetti limiti. L'omesso esame delle questioni contenute nelle pagine successive al limite massimo non è motivo di impugnazione» (e la giurisprudenza amministrativa ha sostenuto «che le questioni trattate nella parte dell'atto introduttivo del giudizio eccedente il limite fissato dal decreto citato non devono essere esaminate dal Collegio», Tar Toscana, 11 dicembre 2015, n. 1688).

Le spese del giudizio

Un'ultima notazione merita il collegamento, effettuato anche nelle linee guida, tra sinteticità e chiarezza degli atti, e regime delle spese. È infatti previsto che la motivazione in ordine alle spese, da esplicitare in apposito punto della motivazione, debba tener conto della sinteticità e chiarezza degli atti.

Il richiamo normativo è al pregio dell'attività difensiva, di cui è espressa menzione nell'art. 4, comma 1, del D.M. 55/2014, nel senso che viene fatto rientrare in tale parametro il rispetto dei principi di chiarezza e sinteticità degli atti. Giova chiarire che le linee guida, e in particolare le note esplicative, richiamano tale profilo non in senso sanzionatorio (aumento delle spese in presenza di atti non rispettosi dei due principi indicati), bensì premiale, quindi nell'ottica di uno scostamento in aumento della liquidazione delle spese, rispetto al valore medio previsto nelle tabelle allegate al decreto.

Non di meno, deve segnalarsi che in giurisprudenza il mancato rispetto dei principi di sinteticità e chiarezza è stato oggetto di valutazione in sede di liquidazione delle spese (ad esempio Tar Lazio, sez. I, 28 novembre 2016, n. 761, secondo cui «Ai fini della liquidazione e dell'imputazione in capo ai resistenti si è considerata la violazione del principi di chiarezza e sinteticità degli atti processuali da parte della -OMISSIS- (i cui atti processuali risultano di difficile comprensibilità a causa di una tecnica redazionale che fa sistematico ricorso al “copia-incolla” di interi documenti e di ampi stralci di precedenti giurisprudenziali)»). D'altra parte lo stesso protocollo tra la Cassazione e il CNF prevede, come detto, che il mancato rispetto dei limiti dimensionali sia valutabile ai fini della liquidazione delle spese del giudizio.

Conclusioni

Il tema della sinteticità, intesa quale giusta ed adeguata misura di trattazione delle questioni, sia da parte del foro, sia da parte della magistratura, deve diventare regola abituale di comportamento, alla quale devono ispirarsi tutte le parti coinvolte nei processi. La limitatezza delle risorse impone di calibrare gli sforzi in relazione alla effettiva necessità di ciascuna procedura, in un'ottica che deve necessariamente essere comparativa. Le linee guida appaiono pertanto un rilevante documento, al quale guardare con spirito costruttivo, nell'interesse delle esigenze di tutti i protagonisti della Giustizia.

Guida all'approfondimento
  • F. De Stefano, La sinteticità degli atti processuali civili di parte nel giudizio di legittimità. Commento a Cassazione, sentenza n. 21297/16, in questionegiustizia.it;
  • D. Cerri, Le linee guida 2017 degli osservatori sulla giustizia civile sulla redazione degli atti in maniera chiara e sintetica, in judicium.it.

*Fonte: ilProcessoTelematico.it

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