Posizionamento delle telecamere e difensività come condizioni di liceità del controllo a distanza non autorizzato

Francesco Pedroni
15 Febbraio 2018

In tema di controllo del lavoratore, non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, co. 2, dello Statuto del Lavoratore l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, né risulti in alcun modo compromessa la dignità e riservatezza dei lavoratori, atteso che non corrisponde ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore, in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con sanzione espulsiva, una tutela maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all'impresa.
Massima

In tema di controllo del lavoratore, non è soggetta alla disciplina dell'art. 4, c. 2, St. Lav., l'installazione di impianti ed apparecchiature di controllo poste a tutela del patrimonio aziendale dalle quali non derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa, nè risulti in alcun modo compromessa la dignità e riservatezza dei lavoratori, atteso che non corrisponde ad alcun criterio logico-sistematico garantire al lavoratore, in presenza di condotte illecite sanzionabili penalmente o con sanzione espulsiva, una tutela maggiore di quella riconosciuta ai terzi estranei all'impresa.

Il caso

Il socio lavoratore di una cooperativa manometteva ripetutamente un distributore di alimenti e bevande installato presso una zona ristoro di un magazzino della società cliente e committente il servizio, sottraendone le monete contenute con l'ausilio di un pezzo di cartone e tramite alcune manovre manuali. La condotta veniva ripresa da una telecamera, che inquadrava i soli distributori, che la società appaltatrice, proprietaria dei distributori, aveva installato a seguito delle manomissioni riscontrate.

Le immagini, in cui si vedeva il lavoratore manomettere il distributore, venivano consegnate alla società appaltatrice che, dopo regolare procedimento disciplinare, licenziava il dipendente per giusta causa.

La questione

Si tratta di stabilire se l'installazione di telecamere, effettuata con le predette modalità e a seguito di episodi di aggressione ai beni aziendali, sia soggetta alla procedura autorizzativa prevista dall'art. 4 Stat. Lav. e se, in assenza del relativo accordo sindacale o autorizzazione dell'Ispettorato del Lavoro, il licenziamento di un lavoratore irrogato a seguito di regolare procedimento disciplinare che si fondi sulle riprese effettuate dalle predette telecamere sia illegittimo.

La soluzione giuridica

La Corte di Appello di Milano, dopo aver esaminato le risultanze istruttorie (tra cui i filmati registrati dalla telecamera in questione), ritiene che la fattispecie non verta in tema di controllo a distanza dell'attività lavorativa rientrante e soggetto alle cautele dell'art. 4 Stat. Lav.

Ciò sia tenuto conto delle specifiche modalità con cui le riprese sono state effettuate (telecamera con inquadratura fissa sui distributori), che non comportavano la possibilità di controllo a distanza dell'attività lavorativa o la compromissione della dignità e riservatezza dei lavoratori, sia considerata la condotta specifica del lavoratore costituente illecito sanzionabile penalmente o con sanzione espulsiva.

Osservazioni

Si tratta di una delle prime decisioni sull'argomento nel vigore del nuovo art. 4 Stat. Lav., come modificato dal D.Lgs. 151/2015. La Corte d'Appello di Milano, nell'esaminare la fattispecie, ha utilizzato principi di matrice dottrinale e giurisprudenziale ribaditi, anche recentemente, dalla Suprema Corte, confermando così che, anche in relazione al nuovo dettato normativo, vale, ai fini della liceità del controllo a distanza tramite telecamere non autorizzato ai sensi dall'art. 4, c. 1, Stat. Lav., la duplice condizione simultanea del pericolo attuale di aggressione al patrimonio aziendale tramite condotta penalmente rilevante e il posizionamento dei dispositivi in modo tale che non ne derivi un controllo (diretto o indiretto) dell'attività lavorativa (c.d. “controllo difensivo successivo”).

Dottrina e giurisprudenza italiana hanno identificato come ipotesi di liceità dei controlli a distanza mediante videosorveglianza senza necessità di accordo sindacale o autorizzazione amministrativa situazioni in cui i controlli siano effettuati tramite dispositivi installati per finalità diverse dalla valutazione dell'attività lavorativa, c.d. controlli preterintenzionali, (si veda R. Del Punta, La nuova disciplina dei controlli a distanza sul lavoro, in Riv. giur. lav., 2010, II, 465), o siano stati adottati al fine di protezione della proprietà aziendale per prevenire o identificare atti di aggressione da parte di terzi (non necessariamente lavoratori) rilevanti penalmente, c.d. controlli difensivi, (si veda M. Marazza, I controlli a distanza del lavoratore di natura difensiva, in P. Tullini (a cura di), Controlli a distanza e tutale dei dati personale del lavoratore, Torino, 2017) e/o non siano stati predisposti direttamente dal datore di lavoro, ma da soggetti terzi.

Esaminando la più recente giurisprudenza di legittimità sul tema, sono state quindi ritenute legittime le riprese effettuate senza le garanzie procedurali statutarie che documentavano che una lavoratrice aveva sottratto una busta contenente denaro dalla cassaforte aziendale sfilandola dalla fessura con un tagliacarte. In questo caso la telecamera, analogamente alla fattispecie oggetto della sentenza in commento, non controllava la prestazione lavorativa, ma inquadrava esclusivamente la cassaforte aziendale (Cass., 8 novembre 2016, n. 22662).

In un altro caso è stata ritenuta legittima la registrazione di un dipendente di un ipermercato che aveva sottratto prodotti dolciari da un locale adibito a magazzino il cui accesso non aveva attinenza con le sue mansioni, ma alle attività di merchandiser esterni, e che era stato ripreso da una telecamera che inquadrava lo scaffale su cui erano collocati i prodotti le cui operazioni di movimentazione erano affidate ai merchandiser stessi (Cass., 2 maggio 2017, n. 10636).

In relazione, invece, ad ipotesi in cui le apparecchiature di videosorveglianza non siano state installate dal datore di lavoro, ma da terzi, la giurisprudenza ha ritenuto leciti i controlli e utilizzabili i dati raccolti, ai fini della contestazione disciplinare e del successivo licenziamento di tre lavoratori addetti al carico carburante che erano stati ripresi a sottrarre carburante alla società datrice di lavoro tramite filmati registrati dalla Guardia di Finanza (Cass., 17 febbraio 2015, n. 3122) o nel caso di alcune guardie giurate introdottesi all'interno degli uffici del personale dell'azienda cliente presso cui stavano svolgendo il turno di servizio notturno senza autorizzazione o necessità che erano state riprese da una telecamera istallata dalla società cliente a tutela delle informazioni personali e della documentazione aziendale ivi conservata (Cass., 28 gennaio 2011, n. 2117).

I principi applicati dalla giurisprudenza sopra esaminata, che trovano le proprie fonti nella normativa internazionale (art. 8 CEDU e GDPR) e nazionale (art. 4 Stat. Lav, artt. 3, 7, 8, 11 e 13 Codice Privacy), sono finalizzati - in relazione alla fattispecie – a individuare il necessario bilanciamento tra diritto alla privacy del cittadino lavoratore e il diritto del datore di lavoro alla tutela della produzione e organizzazione dell'impresa, nel senso di limitare il potere direttivo e organizzativo del datore di lavoro in relazione a quelle manifestazioni che, per le modalità di attuazione incidenti nella sfera della persona, possano essere lesive della dignità e riservatezza del lavoratore (Cass., 17 giugno 2000, n. 8250). Ciò sul presupposto che la vigilanza sul lavoro, ancorché necessaria per l'organizzazione produttiva, vada mantenuta in una dimensione umana e cioè non esasperata dall'uso di tecnologie che possano rendere la vigilanza stessa continua e anelastica, eliminando ogni zona di riservatezza e di autonomia nello svolgimento del lavoro (così Cass. 2 maggio 2017, n. 10636 che richiama Cass., 27 maggio 2015, n. 10955 e Cass., 23 febbraio 2012, n. 2722).

Sono i medesimi principi enunciati dall'art. 8 della CEDU in base alla quale nell'uso degli strumenti di controllo, deve individuarsi un giusto equilibrio fra i predetti contrapposti diritti sulla base dei principi della “ragionevolezza” e della “proporzionalità” (cfr. CEDU, 12 gennaio 2016 Barbulescu c. Romania), principi, peraltro, comuni alla normativa europea e italiana in tema di Data Privacy e oggi indissolubilmente legati al tema dei controlli a distanza ad opera del richiamo espresso contenuto dell'ultimo comma dell'attuale formulazione dell'art. 4 Stat. Lav..

La decisione di procedere con controlli difensivi se, quindi, permette al datore di lavoro di agire al di fuori dell'art. 4 Stat. Lav., necessita comunque di un'applicazione operativa rispettosa dei principi di Data Privacy.

Il tema è di attualità considerata la ormai prossima efficacia del Regolamento UE n. 2016/679 (25 maggio 2018) e la recente sentenza della CEDU, 9 gennaio 2018 (Ribalda e altri c. Spagna) che si è occupata di un caso in cui alcuni lavoratori addetti ad un supermercato spagnolo erano stati ripresi, tramite telecamere nascoste orientate sui registratori di cassa del supermercato, a sottrarre e aiutare clienti a sottrarre merce esposta in vendita.

Con la predetta decisione la CEDU ha ritenuto che l'installazione occulta e l'utilizzo di telecamere avesse violato il diritto alla privacy dei lavoratori previsto dall'art. 8 della CEDU in quanto eccedente i principi di trasparenza (necessaria informazione preventiva anche non specifica per il caso de quo), gradualità (necessità di fondati sospetti di illeciti anche in relazione agli autori che nella fattispecie non erano stati preventivamente identificati nemmeno in via indiziaria) e proporzionalità (in quanto le riprese erano durate settimane, avevano riguardato tutti i cassieri indistintamente e senza limiti di orario divenendo quindi di carattere esplorativo).

Conseguentemente la CEDU seppur non all'unanimità (con l'interessante dissenting opinion del Giudice Dedov che si esprime in termini non difformi dalla decisione della Corte d'Appello in commento) ha ritenuto che i Giudici del Lavoro spagnoli pronunciatisi sulla legittimità del licenziamento dei lavoratori non avessero effettuato un corretto bilanciamento tra il diritto alla privacy dei lavoratori e il diritto alla protezione dei beni aziendali del datore di lavoro, condannando la Spagna a risarcire ai lavoratori i danni non patrimoniali.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.