Il comportamento imprudente del danneggiato può interrompere il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso
19 Febbraio 2018
IL CASO Il genitore di una bimba di nove anni agisce in giudizio per ottenere dal Comune il risarcimento dei danni patiti dalla figlia a seguito della caduta in un burrone in prossimità della strada comunale, evento occorso mentre la minore stava giocando vicino all'abitazione del nonno paterno. Il Tribunale di Locri accoglie la domanda e condanna il Comune al pagamento di €234.403,85 a titolo di risarcimento. La decisione viene confermata dalla Corte territoriale, che ribadisce la responsabilità del Comune per l'evento dannoso per non aver adottato le misure necessarie a prevenire cadute in quel tratto di strada attiguo al burrone, escludendo quindi che il fatto fosse ascrivibile a difetto di vigilanza da parte dei genitori, poiché l'evento non era prevedibile né evitabile mediante l'impiego della normale diligenza. La Corte conferma la condanna al pagamento di €50.000,00 liquidato in via equitativa a titolo di “danno per mancato guadagno futuro”. Il Comune ricorre ora in Cassazione, sulla base di tre motivi.
I MOTIVI DI RICORSO Il Comune con il primo motivo lamenta l'erronea esclusione (ex artt. 2043 e 2051 c.c.) della responsabilità dei genitori, ritenendo l'evento addebitabile alla condotta della bambina che, senza vigilanza alcuna, giocava a cinque metri dal burrone, integrando dunque con questo comportamento il caso fortuito per utilizzo anomalo della cosa. Con il secondo motivo di ricorso denuncia poi l'esclusione del concorso colposo della danneggiata e/o dei suoi genitori con efficacia causale circa la determinazione dell'evento dannoso: la condotta tenuta era da considerarsi «anomala e gravemente, oltre che prevedibilmente, pericolosa».
INCOMPLETA SUSSUNZIONE DEL FATTO La Suprema Corte analizza congiuntamente i primi due motivi e li considera fondati. In ragione della fattispecie dell'art. 2043 c.c. ritiene possibile evidenziare una mancata applicazione degli artt. 40, 41 c.p. e 1227, comma 1, c.c. in relazione alla condotta della danneggiata. Il Tribunale, dunque, aveva compiuto «una incompleta e non corretta operazione di sussunzione del fatto nell'alveo della fattispecie legale di riferimento, segnata dal combinato disposto degli art. 2043 c.c. e 40, 41 c.p. e 1227, comma 1, c.c.».
MANCANTE ACCERTAMENTO SULL'INCIDENZA CAUSALE DELLA CONDOTTA La Cassazione ritiene erroneo che il Giudice di merito abbia concentrato il giudizio solo sulla possibile responsabilità concorrente degli adulti tenuti alla vigilanza della minore, tralasciando invece di compiere indagini sulla questione ritenuta ben più rilevante, ossia sull'accertamento e la «valutazione, in rapporto all'acclarata condotta omissiva colposa del Comune convenuto, dell'esistenza di una eventuale incidenza causale della condotta tenuta» dalla bambina nella produzione dell'evento dannoso, sia in termini di concorso colposo, che di elisione del nesso causale.
VIOLAZIONE DELLE REGOLE DI COMUNE PRUDENZA In virtù della previsione dell'art. 1227 c.c., che limita il risarcimento in ragione del concorso di colpa del danneggiato, in capo alla vittima è posto un dovere di cautela, da attuarsi mediante l'adozione di condotte idonee ad evitare il verificarsi dell'evento. La Cassazione ricorda che «la responsabilità civile per omissione si configura non solo a seguito di violazione di un preciso obbligo giuridico, ma anche per violazione delle regole di comune prudenza, che impongono il compimento di una determinata attività a tutela di un diritto altrui»: sia quando si tratti di stabilire se sussiste un concorso di colpa della vittima nella produzione del danno ex art. 1227, comma 1, c.c., sia nel caso in cui la valutazione riguardi invece l'individuazione della colpa dell'autore dell'illecito.
LA POSIZIONE DELLA CORTE EDU La Cassazione ricorda che la Corte EDU ha già precisato che le Pubbliche amministrazioni hanno, da un lato, l'obbligo di scongiurare i pericoli per l'incolumità degli individui, ma che dall'altro, non è possibile far ricadere sulla comunità le conseguenze economiche di un evento lesivo dovuto ad una condotta della vittima che volontariamente si espone al rischio serio o grave per la sua salute.
PRINCIPIO DI DIRITTO CONSOLIDATO La Suprema Corte ricorda il seguente principio di diritto, risalente e consolidato: «allorquando la vittima di un fatto illecito abbia concorso, con la propria condotta, alla produzione del danno, l'obbligo del responsabile di risarcire quest'ultimo si riduce proporzionalmente, ai sensi dell'art. 1227, comma primo, c.c., anche nel caso in cui la vittima fosse incapace di intendere e di volere, in quanto l'espressione "fatto colposo" che compare nel citato art. 1227 non va intesa come riferentesi all'elemento psicologico della colpa, che ha rilevanza esclusivamente ai fini di una affermazione di responsabilità, la quale presuppone l'imputabilità, ma deve intendersi come sinonimo di comportamento oggettivamente in contrasto con una regola di condotta, stabilita da norme positive e/o dettata dalla comune prudenza. L'accertamento in ordine allo stato di capacità naturale della vittima e delle circostanze riguardanti la verificazione dell'evento, anche in ragione del comportamento dalla stessa vittima tenuto, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice del merito» (ex multis, Cass. civ. n. 14548/2009 e Cass. civ., n. 3242/2012).
NUOVO PRINCIPIO DI DIRITTO La Cassazione ritiene che il caso di specie sia riconducibile alla fattispecie di responsabilità ex art. 2043 c.c. poiché ipotesi di danno cagionato dalla condotta omissiva del custode della strada nel predisporre le cautele necessarie al fine di evitare la situazione di pericolo rappresentata dal precipizio posto a 5 metri dalla carreggiata ed enuncia il seguente principio di diritto: «quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere oggettivamente prevista e superata attraverso l'adozione da parte dello stesso danneggiato delle cautele normalmente attese e prevedibili in rapporto alle circostanze (secondo uno standard di comportamento correlato, dunque, al caso concreto), tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del suo comportamento imprudente (in quanto oggettivamente deviato rispetto alla regola di condotta doverosa cui conformarsi) nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso, quando lo stesso comportamento, benché astrattamente prevedibile, sia da escludere come evenienza ragionevole o accettabile secondo un criterio probabilistico di regolarità causale. L'accertamento delle anzidette circostanze materiali, rilevanti ai fini della verifica di sussistenza del nesso causale tra fatto ed evento dannoso, costituisce quaestio facti riservata esclusivamente all'apprezzamento del giudice del merito».
CASSAZIONE DELLA SENTENZA La Corte di merito avrebbe dovuto accertare tale questione; per questo la Suprema Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata, rinviando gli atti alla corte di Appello di Reggio Calabria in diversa composizione, alla quale spetterà la delibazione dell'appello del Comune in punto di an debeatur alla luce dei principi di diritto enunciati.
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