Mediazione disposta dal giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo: è l'opponente a doversi attivare

Giampaolo Di Marco
19 Febbraio 2018

Il provvedimento in disamina si occupa della questione inerente l'individuazione della parte che, nel processo di opposizione a decreto ingiuntivo, è chiamata ad introdurre la mediazione, ove disposta dal giudice.
Massima

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, laddove il giudice disponga l'esperimento del procedimento di mediazione civile e commerciale ex art. 5, comma 2, d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, incombe sull'opponente l'onere di presentare l'istanza, pena l'acquisizione di definitività da parte del decreto ingiuntivo opposto, non potendo rinvenirsi profili di irrazionalità o dubbi di legittimità costituzionale in tale soluzione interpretativa.

Il caso

A fronte della disposizione della mediazione ad opera del giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo, l'opposto presenta regolare istanza di mediazione ed invita a partecipare all'incontro preliminare l'opponente il quale, tuttavia, dichiara espressamente di non voler sedersi al tavolo delle conciliazioni, senza invocare alcuna giustificazione a sostegno della propria decisione.

La questione

Il provvedimento in disamina si occupa della vexata quaestio inerente l'individuazione della parte che, nel processo di opposizione a decreto ingiuntivo, è chiamata ad introdurre la mediazione, ove disposta dal giudice.

Le soluzioni giuridiche

Il tribunale di Torino conclude che sia l'opponente a dover presentare l'istanza di mediazione e a coltivare la procedura, motivando che sarebbe scarsamente logico assegnare tale compito all'opposto che, oltre a possedere la qualità di convenuto sotto il profilo formale, ha interesse al consolidamento del decreto ingiuntivo, che già riconosce il credito giudizialmente rivendicato. In ipotesi di mancata instaurazione del procedimento conciliativo ovvero, e a maggior ragione, laddove l'opponente rifiuti di aderire all'invito avanzato dall'opposto, il decreto ingiuntivo acquisisce l'autorità di cosa giudicata formale e sostanziale.

Se, al cospetto di una procedura regolarmente attivata dall'opponente, l'opposto rimasse inerte, invece, non si potrebbe automaticamente farne conseguire la revoca del decreto ingiuntivo, essendo improbabile configurare la sopravvenuta improcedibilità di un'azione (quella monitoria) ormai esperita e consumata.

L'arresto giurisprudenziale, pur conformandosi all'indirizzo ermeneutico nettamente maggioritario, presenta il pregio di aver sviluppato l'insieme degli argomenti interpretativi (letterali, logici e sistematici) che depongono in favore di tale tesi, al contempo contestando le motivazioni addotte a sostegno della teoria antitetica.

Evidenzia, innanzitutto, il giudice torinese che l'art. 5, comma 4, lett. a), del d.lgs. n. 28/2010, escludendo che l'obbligo di mediazione possa operare «nei procedimenti per ingiunzione, inclusa l'opposizione, fino alla pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione», sottrae la procedura monitoria, notoriamente caratterizzata da sommarietà e speditezza, ad ogni intralcio conciliativo, posticipando l'incombente alla fase posteriore alla decisione sulla esecutorietà del decreto ingiuntivo; se la legge emancipa il creditore ingiungente dal dovere di mediare prima di agire in giudizio, allora non può ritenersi, in difetto di un dato normativo che militi incontrovertibilmente in questo senso, che tale obbligo risorga una volta che il creditore ha già conseguito il suo scopo, ovvero ha ottenuto il decreto ingiuntivo.

In secondo luogo, aggiunge la sentenza in commento, qualora le parti non obbediscano all'ordine di mediazione, si verifica una sorta di estinzione del giudizio per inattività delle parti ex art. 309 c.p.c., tale da comportare l'acquisizione di definitività da parte del decreto ingiuntivo opposto; non appare coerente, pertanto, assegnare l'onere di promuovere la mediazione alla parte che dall'estinzione del processo non può che trarne giovamento.

Inoltre, se la sanzione contro la preterizione dell'obbligo di mediazione ad opera di ambo le parti fosse la dichiarazione di sopravvenuta improcedibilità dell'azione monitoria e la conseguente revoca del decreto ingiuntivo, l'opposto potrebbe comunque richiederne uno nuovo, in altro e separato giudizio, a tutto dispetto della funzione di deflazione del contenzioso giudiziale che dovrebbe assolvere il d.lgs. n. 28/2010. Né potrebbe ravvisarsi una disparità di trattamento fra opponente ed opposto, nella misura in cui al primo verrebbe riservato un trattamento doppiamente penalizzante: esso, già destinatario di un provvedimento emesso inaudita altera parte, verrebbe altresì gravato dal compito di attivare una conciliazione sul credito rivendicato dall'antagonista.

Del pari, le spese per il radicamento e la coltivazione della procedura, riducendosi a poche decine di euro, non possono apprezzarsi quale ostacolo intollerabile all'esercizio del diritto di difesa ed all'azione giudiziale.

Si propone, in questa traiettoria interpretativa, un parallelismo fra la posizione dell'opponente e quella dell'appellante: entrambi insorgono contro dei titoli di formazione giudiziale, intrinsecamente idonei al giudicato, di tal ché sono destinatari dell'onere di dare impulso ai giudizi che di quei titoli possono decretarne la soppressione.

Spiega, infatti, il giudice torinese che tale apparente discriminazione è fisiologicamente connessa alla natura del processo di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale, pur senza inversione dell'onere della prova, è il debitore a dover reagire giudizialmente per la soppressione di un titolo giudiziale che il creditore ha conseguito in difetto di contraddittorio. L'unico precedente di legittimità in materia viene evocato soltanto ad colorandum, a corollario di un bagaglio argomentativo che, pur opinabile, si distingue per la sua particolare ampiezza, senz'altro inusuale, specialmente se confrontato a numerose delle sentenze intervenute sul punto, sovente piuttosto acritiche ed apodittiche.

Osservazioni

Alla sentenza in disamina va riconosciuto il merito di aver sviluppato l'apparato di considerazioni che suggeriscono di ascrivere all'opponente l'onere di provocare l'introduzione e l'espletamento della mediazione delegata, senza peraltro arroccarsi dietro il solitario precedente di cassazione che, lungi dall'aver fatto chiarezza sull'argomento, non ha affrontato gli interrogativi sollevati da dottrina e giurisprudenza, fornendo risposte poco appaganti.

Anche le spiegazioni rese dal tribunale di Torino, tuttavia, non appaiono così granitiche e utili a superare le obiezioni a tale interpretazione (e ciò a prescindere dalle peculiarità del caso concreto, nel quale l'opposto, diligente e collaborativo, ha tenuto un comportamento processuale senz'altro preferibile rispetto all'inerte opponente).

In primis, non può dimenticarsi che la mediazione, indipendentemente dal contesto processuale in cui s'innesta, investe le pretese e le contestazioni avanzate dalle parti con riferimento a dei diritti sostanziali controversi; posto che, salvo il caso di domanda riconvenzionale, l'unica parte a professarsi titolare di un diritto è l'opposto, non è così chiaro perché il percorso conciliativo debba essere primariamente attivato dall'opponente, che quel diritto si limita a negare.

Inoltre, il paragone fra il processo di opposizione a decreto ingiuntivo ed il giudizio di appello, ancorché limitato alla tematica di cui si discorre, appare poco preciso, se non altro perché il decreto ingiuntivo, a differenza della sentenza di primo grado, non si forma nel contraddittorio fra le parti.

Trattasi di differenza tutt'altro che marginale, poiché espressiva della situazione penalizzante in cui viene a trovarsi l'opponente rispetto al normale contendente, che si pone in difficile armonia con interpretazioni delle norme ulteriormente afflittive.

Fuorviante appare l'obiezione secondo cui, visto che la ratio sottesa al d.lgs. n. 28/2010 è la riduzione del carico giudiziale, allora, in caso di elusione dell'obbligo di mediazione da parte di tutti i litiganti, la sanzione dovrebbe essere ricercata nell'improcedibilità dell'opposizione, l'unica a definire irreversibilmente la controversia sostanziale (nel senso che, mentre il decreto ingiuntivo diventa irretrattabile a seguito dell'estinzione del processo di opposizione, al contrario, il creditore può esercitare una nuova iniziativa giudiziale, in caso di revoca del decreto ingiuntivo per ragioni di rito).

In verità, la funzione di decongestione del contenzioso giudiziale, a cui senz'altro tende l'attuale tendenza legislativa al rafforzamento degli strumenti di A.D.R., può legittimamente attuarsi favorendo la conciliazione fra le parti, ma non certo inserendo degli ostacoli all'esercizio del diritto all'azione giudiziale.

Si è già chiosato che la mediazione deve servire alla giustizia, non già (o, comunque, non soltanto) al giudice.

Lo scopo che l'ordinamento può perseguire è la risoluzione della vertenza con formule consensuali, piuttosto che tramite l'intervento autoritativo della giurisdizione; di contro, la creazione di limitazioni superflue o defatigatorie al diritto della parte di ottenere una decisione sul merito della causa si risolve in un diniego di giustizia.

Infine, il concetto di improcedibilità postuma, pur singolare, non sembra affatto collidere con l'architettura o la logica dell'ordinamento, tant'è che, pacificamente, le condizioni dell'azione possono venire a mancare successivamente alla sua proposizione.

È ragionevole sospettare, tuttavia, che la descritta divergenza interpretativa sarà risolta da un nuovo intervento di nomofiliachia, essendo piuttosto destinata a dipanarsi grazie ad un'auspicabile riforma legislativa della materia.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.