La contribuzione figurativa durante l'astensione obbligatoria e raggiungimento dei 12 mesi di contribuzione
20 Febbraio 2018
Massima
I periodi corrispondenti a quelli per i quali sia prevista l'astensione obbligatoria dal lavoro in relazione all'evento maternità, ma che si collochino al di fuori del rapporto di lavoro, seppure riconosciuti come periodi contributivi attraverso la contribuzione figurativa, non sono utili ai fini del riconoscimento del diritto all'indennità di disoccupazione. Il caso
Con ricorso per cassazione l'INPS impugnava la sentenza emessa dalla Corte d'Appello di Firenze, con la quale l'organo di secondo grado aveva accolto il gravame presentato da una lavoratrice e dichiarato il suo diritto a fruire dell'indennità di disoccupazione. Il giudice di seconde cure aveva, infatti ritenuto validi ai fini del raggiungimento del requisito contributivo di 12 mesi i contributi figurati maturati durante per le settimane di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità al di fuori del rapporto di lavoro, contrariamente a quanto sostenuto dall'istituto previdenziale. A tale conclusione la Corte territoriale giungeva sulla base del fatto che il rapporto lavorativo si era interrotto per congedo obbligatorio per maternità prima del termine dello stesso.
Sosteneva di contro l'INPS, nel giudizio di legittimità, come su tale punto la normativa nazionale, ovvero gli artt. 12 e 37, D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818 e art. 56, R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, in riferimento all'art. 19 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636, nel disciplinare i casi di rilevanza della contribuzione figurativa fosse da interpretarsi in via tassativa. La stessa infatti prevede esplicitamente la computabilità di quest'ultimi ai fini del raggiungimento del requisito di un anno di contribuzione per il conseguimento dell'indennità di disoccupazione solo nel caso in cui l'obbligo di astensione dal lavoro per maternità sia racchiuso in un rapporto di lavoro in essere e pertanto i contributi figurati siano versati in costanza ed in corrispondenza di esso. La questione
La problematica giuridica sottesa al presente giudizio si esplicita nella rilevanza o meno dei contributi figurativi correlati all'astensione obbligatoria per maternità, iniziata in corso di rapporto di lavoro a tempo determinato e protrattasi per il restante periodo al di fuori dello stesso, in quanto cessato per raggiungimento del termine, ai fini del raggiungimento del requisito di un anno di contribuzione prescritto dall'art. 19, R.D.L. n. 636/1939 per l'ammissione alla percezione dell'indennità di disoccupazione. Le soluzioni giuridiche
Al fine di giungere alla corretta soluzione giuridica della vicenda oggetto di giudizio la Corte di legittimità parte da una ricostruzione normativa delle disposizioni che regolano l'istituto dell'indennità di disoccupazione e quello della rilevanza a tal fine della contribuzione figurata durante il periodo di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità. Il riferimento è infatti, per quanto riguarda il primo istituto all'art. 19, R.D.L. n. 636/1939, che prescrive il requisito di un anno contributivo per l'accesso all'indennità di disoccupazione, mentre per il secondo agli artt. 56, co. 1, lett. a), R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, attraverso il quale il legislatore sancisce la validità della contribuzione figurativa ed effettiva non solo per i fini pensionistici ma anche in relazione alla tutela contro la disoccupazione, e all'art. 12, D.P.R. 26 aprile 1957, n. 818. Proprio tale ultima norma pur premettendo che i periodi di interruzione obbligatoria del lavoro durante lo stato di gravidanza e puerperio sono riconosciuti utili per il calco dell'indennità di disoccupazione, al terzo comma pone quale condicio sine qua non la necessità che il periodo di interruzione obbligatoria dal lavoro si verifichi nel corso della prestazione d'opera determinante l'obbligo dell'assicurazione.
Pertanto, sulla base di un interpretazione letterale della citata norma la Suprema Corte giunge ad escludere la possibilità per la contribuzione figurativa maturata durante il periodo di astensione obbligatoria per maternità di ripercuotersi sul diritto alla disoccupazione, laddove tale evento si iscriva fuori dal rapporto lavorativo.
La Corte, inoltre, respinge anche la possibilità di un'interpretazione estensiva della fattispecie regolata dall'art. 12. Tale conclusione del resto si pone in linea di continuità con l'orientamento giurisprudenziale maggioritario che postula la tassatività delle ipotesi in cui la contribuzione figurata rilevi a fini previdenziali ed assistenziali. Trattandosi di una disciplina speciale la stessa non è, dunque, soggetta ad una interpretazione analogica.
Conseguentemente posto che finalità della contribuzione figurata è la tutela del lavoratore in casi in cui eventi particolari vadano a pregiudicare la possibilità di usufruire delle presentazioni previdenziali attraverso il finanziamento pubblico, a parere della Corte di Cassazione correttamente la legge può regolarne i limiti di validità.
Infine, per rafforzare la sua tesi la Corte indica ed analizza una serie di norme previdenziali che sancisco l'utilità della contribuzione figurata maturata fuori dal rapporto lavorativo esclusivamente ai fini pensionistici. Osservazioni
Nella sentenza in commento la soluzione adottata dalla Corte di Cassazione si fonda su un'interpretazione letterale della normativa previdenziale la quale, caratterizzandosi per la sua specialità, risulta assoggettata al criterio della tassatività delle fattispecie regolamentate. Del resto il ragionamento logico argomentativo seguito si fonda sulla dualità del sistema previdenziale nel quale la tutela del lavoratore in determinati casi, quali la contribuzione figurativa, passa tramite la partecipazione dello Stato attraverso interventi che andando ad incidere sull'intera collettività necessitano di norme di stretta interpretazione.
Appare certamente chiaro come la fattispecie oggetto del giudizio abbia portato la Corte a prendere una posizione restrittiva su un argomento avvertito dalla collettività come particolarmente sensile. La lavoratrice in gravidanza che si vede inoccupata al termine del rapporto di lavoro innegabilmente, infatti, si viene a trovare in uno stato in cui necessiterebbe, contrariamente da quanto legislativamente previsto, di maggiore tutela sociale, tutela che in un paese nel quale vige un sistema di sicurezza nazionale appare ingiustificabilmente assente.
Pertanto se da un lato la Corte correttamente applica le disposizioni di legge, dall'altro evidenzia un vuoto normativo al quale il legislatore è chiamato a dare adeguata risposta. Tuttavia, come sottolineato dalla Suprema Corte, né l'interpretazione letterale né quella sistematica lasciano adito a dubbi. Il tutto si gioca dunque sull'applicazione delle norme sull'interpretazione della legge per come disciplinate dal codice civile e sapientemente richiamate ed argomentate dalla Corte di legittimità.
La sentenza in questione se da un lato si pone quale scoglio destinato a ridurre sensibilmente la platea di lavoratori in grado di poter accedere allo strumento previdenziale dell'indennità di disoccupazione dall'altro mette a nudo l'assenza di una tutela assistenziale in ipotesi come quella del caso di specie. |