Il dies a quo per l'appello avverso l'ordinanza successiva alla chiusura dell'istruzione
20 Febbraio 2018
Il quadro normativo
L'ordinanza di cui all'art. 186-quater c.p.c., introdotta dall'art. 7 del d.l. 18 ottobre 1995, n. 432, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534, prevede la possibilità che il giudice istruttore, esaurita la fase istruttoria, possa pronunciare, su istanza della parte che abbia proposto domanda di condanna al pagamento di somme di denaro, alla consegna (di cose mobili) o al rilascio (di beni immobili), un'ordinanza esecutiva, nei limiti in cui ritiene già raggiunta la prova. In tal modo, si vuole di consentire alla parte di ottenere, in via anticipata, un titolo esecutivo senza dover attendere i tempi alquanto lunghi che sovente intercorrono tra la fine della fase istruttoria e la decisione della causa con sentenza. Tale ordinanza, secondo la previgente disciplina, acquistava efficacia di sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza in caso di estinzione del giudizio e nell'ipotesi in cui l'intimato rinunciava alla pronuncia della sentenza mediante un atto notificato all'altra parte e depositato in cancelleria. La riforma del 2006 (art. 2, comma 1, lett. m), legge 28 dicembre 2005, n. 263) ha modificato quest'ultima disposizione prevedendo che l'ordinanza acquista efficacia di sentenza (impugnabile sull'oggetto dell'istanza) nell'ipotesi in cui la parte intimata non manifesti, entro trenta giorni dalla pronuncia o dalla comunicazione dell'ordinanza, la volontà che venga emessa la sentenza. Dunque, pur restando la ratio della norma sempre la medesima, permettendo il conseguimento anticipato di un titolo esecutivo, nonché la possibilità di impugnare in via immediata l'ordinanza divenuta sentenza, il legislatore ha invertito l'onere dell'iniziativa processuale. In particolare, mentre nel regime precedente la parte intimata doveva espressamente dichiarare di voler rinunciare alla pronuncia della sentenza, pena la prosecuzione del processo sino all'emanazione della sentenza, nell'attuale regime, invece, la conversione dell'ordinanza in sentenza è automatica, salvo che la parte intimata richieda espressamente la pronuncia della sentenza. Dunque, attualmente, l'inerzia della parte intimata determina la conversione dell'ordinanza in sentenza e il conseguente arresto del giudizio di primo grado. La rinuncia alla sentenza nei processi instaurati prima del 1 marzo 2016
In merito alla disciplina previgente, e tuttora applicabile ai giudizi instaurati prima del 1 marzo 2006, si riteneva che per la dichiarazione di rinuncia (alla pronuncia della sentenza), sebbene la norma non prevedesse una forma specifica, fosse, comunque, necessaria la forma scritta, non potendo manifestarsi implicitamente con la proposizione dell'appello (Cass. 22 giugno 2004, n.11611). Inoltre, non essendo previsto alcun termine entro il quale l'intimato dovesse esercitare tale facoltà, si sosteneva che l'unico era quello ricavabile nella scadenza dei termini per le memorie di replica ex art. 190 c.p.c. Una volta intervenuta la notifica della rinuncia, allo scopo di evitare che il giudice a quo pronunciasse il provvedimento definitivo, era necessario che copia dell'atto notificato andasse depositato nella cancelleria del giudice di merito e si affermava che, sebbene la rinuncia alla sentenza dovesse necessariamente provenire dalla parte intimata, al deposito della stessa potesse provvedere anche l'altra parte che, vistasi notificato il relativo atto, poteva avere, a sua volta, interesse all'impugnazione (Costantino, La lunga agonia del processo civile. Note sul d.l. 21 giugno 1995 n. 238, in Foro it., 1995, V, 336; Cass. 22 dicembre 2005, n. 28419). Per quanto riguarda i termini per appellare l'ordinanza divenuta sentenza, particolarmente discussa è stata la questione della decorrenza del termine breve per l'impugnazione a carico dell'intimato che avesse rinunciato alla pronuncia della sentenza. La Cassazione aveva elaborato, a tal riguardo, due diversi orientamenti. Secondo un primo orientamento (Cass. 30 gennaio 2004, n. 1692; 26 ottobre 2004 n. 20750), dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia alla sentenza (notificato dall'intimato alla controparte), decorreva esclusivamente il termine lungo di cui all'art. 327, mentre, per il decorso del termine breve di cui all'art. 325, era necessario che, alla conclusione del complesso iter procedimentale stabilito dall'art. 186-quater per attribuire all'ordinanza l'efficacia di sentenza (notifica dell'atto di rinuncia alla sentenza e deposito dello stesso), facesse seguito una nuova notificazione, avente ad oggetto l'ordinanza, recante l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia (Califano, Il nuovo art. 186 quater c.p.c., in Giust. civ., 1995, 565 ss.; Sassani-Tiscini, Provvedimenti anticipatori (diritto processuale civile), EdD, Agg., V, Milano, 2001, 893; Cass. 15 luglio 2004, n. 13113; App. Brescia 14 aprile 2000; App. Milano 10 dicembre 1999). Al contrario, secondo un altro orientamento (Cass. 29 settembre 2004, n. 19602; Cass. 20 ottobre 2006, n. 22533), dal deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia, notificato alla controparte dall'intimato, decorreva per quest'ultimo il termine breve per l'impugnazione, dovendosi desumere da tale attività la legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato, nonché della sua volontà di far acquisire all'ordinanza efficacia di sentenza impugnabile, escludendosi, così, per questi l'applicabilità del termine lungo di impugnazione. Per l'altra parte, invece, il termine breve di impugnazione decorreva soltanto dall'ulteriore notifica dell'ordinanza dopo che avesse acquistato valore di sentenza impugnabile, decorrendo, altrimenti, per essa, da tale momento, unicamente il termine lungo di cui all'art. 327 c.p.c. In particolare, la Cassazione riteneva che «se l'attività posta in essere dall'intimato, ex art. 186-quater c.p.c., con la notificazione alla controparte dell'atto di rinunzia alla sentenza e con il deposito in cancelleria dell'atto di rinunzia notificato, cui consegue l'acquisto per l'ordinanza post-istruttoria di condanna dell'efficacia di sentenza, costituisce adeguata dimostrazione della legale conoscenza del provvedimento da parte dell'intimato ed, inoltre, della specifica volontà dello stesso di far acquisire all'ordinanza medesima l'efficacia della sentenza impugnabile, allora nel momento in cui detta attività si perfeziona deve necessariamente ravvisarsi il “dies a quo” per il decorso del termine breve d'impugnazione da parte dell'intimato». Tale contrasto interpretativo è stato risolto dalle Sezioni Unite (Cass. SS. UU. 23 dicembre 2008, n. 30054; Cass. SS. UU. 14 gennaio 2009, n. 557) in favore del primo orientamento. In particolare, sulla premessa che nel sistema posto in essere dagli artt. 325 e 327 c.p.c., sia il termine breve che quello lungo sono finalizzati a limitare nel tempo il diritto di impugnare la sentenza allo scopo di garantire la formazione del giudicato, si è affermato che l'attivazione del termine breve è rimesso alla valutazione e all'interesse delle parti, le quali lo devono manifestare nelle forme tipiche previste dall'art. 326 c.p.c. Nel caso previsto dall'art. 186-quater c.p.c., invece, il deposito in cancelleria dell'atto di rinuncia alla pronuncia della sentenza ha solo l'effetto di far acquistare all'ordinanza l'efficacia di sentenza impugnabile sull'oggetto dell'istanza e non può desumersi l'ulteriore significato di far decorrere da esso il termine breve per proporre l'impugnazione. Effettivamente, la situazione giuridica che l'art. 186-quater c.p.c. ricollega al deposito in cancelleria della rinuncia della parte intimata alla sentenza è analoga a quella che si sarebbe verificata se il giudice in tale data avesse depositato la sentenza. Pertanto, risulta coerente con il sistema attribuire a tale fatto giuridico l'effetto tipico previsto dall'art. 327 c.p.c., che è quello di far decorrere da esso il termine lungo per l'impugnazione, mentre non appare coerente con il sistema attribuirgli l'effetto di far decorrere da esso il termine breve, che l'art. 326 c.p.c., invece, riconnette ad atti giuridici completamente diversi. La soluzione prospettata invece dal secondo orientamento (e ora superata) dà invece luogo a svariate incongruenze sistematiche, che non lo rendono idoneo a determinare quella minore durata del processo che vorrebbe perseguire. Infatti, nel vigente sistema processuale, la notifica della sentenza che, di regola, è richiesta dalla parte vittoriosa, facendo decorrere il termine breve per entrambe le parti, è diretta a provocare l'impugnazione di quella soccombente e il formarsi del giudicato in favore della parte vittoriosa, laddove l'impugnazione non venga proposta. Al contrario, il deposito dell'atto di rinuncia alla sentenza di cui all'art. 186-quater viene ad essere eseguito dalla parte soccombente; ciò avrebbe l'effetto di far decorrere il termine breve solo nei confronti di tale parte, non avendo l'altra parte notizia di tale deposito; in tal modo, per una parte decorrerebbe il termine breve e per l'altra il termine lungo, così venendosi a creare una forte disparità tra i soggetti del processo, senza considerare che così facendo non verrebbe nemmeno realizzata la ratio acceleratoria posta alla base della norma. Pertanto, sembra più che condivisibile l'idea che il “dies a quo” del decorso del termine lungo d'impugnazione previsto dall'art. 327 c.p.c. vada individuato nel deposito dell'atto di rinuncia notificato, a seguito del quale l'ordinanza acquista efficacia di sentenza impugnabile e che per il decorso del termine breve d'impugnazione di cui all'art. 325 c.p.c. si debba, al termine del procedimento previsto dall'ultimo comma dell'art. 186-quater per fare acquistare all'ordinanza efficacia di sentenza, effettuare una nuova notifica di quest'ultima con l'attestazione del deposito in cancelleria della notifica della rinuncia all'emanazione della sentenza. Infatti, poiché il legislatore non ha dettato alcuna disposizione che consenta di applicare all'ordinanza, che abbia acquistato efficacia di sentenza, una disciplina del decorso dei termini d'impugnazione diversa da quella generale, per il decorso del termine breve dovrà necessariamente farsi riferimento alla disciplina generale dell'art. 326 c.p.c., con gli adattamenti resi necessari dalla circostanza che l'atto impugnabile è un'ordinanza con efficacia di sentenza, la quale dovrà essere, pertanto, notificata con le attestazioni necessarie a dimostrare al destinatario della notifica tale sua efficacia acquistata. La conversione in sentenza
La novella n. 263/2005, come si è già detto, ha inciso sul meccanismo di trasformazione dell'ordinanza in sentenza che è diventato automatico, ovvero si realizza per effetto della mera “inattività” dell'intimato, salvo che quest'ultimo manifesti, entro trenta giorni dalla pronuncia o dalla comunicazione dell'ordinanza la volontà che venga pronunciata la sentenza. La manifestazione di volontà diretta ad evitare la conversione dell'ordinanza in sentenza riveste la forma del ricorso che deve essere, dapprima, notificato alla parte e, successivamente, depositato nella cancelleria del giudice che ha emesso l'ordinanza. A tal riguardo, si pone il problema di stabilire se la parte intimata che voglia far proseguire il processo sino alla sentenza, nel termine di trenta giorni dalla pronuncia dell'ordinanza debba compiere entrambe le formalità (notifica e deposito) oppure se allo scopo sia sufficiente solo la prima. I primi commentatori, rilevando la gravità dell'onere che si verrebbe così ad imporre alla parte intimata, si sono orientati nel senso di ritenere la mera notifica del ricorso idonea ad impedire la conversione dell'ordinanza in sentenza (Balena, in Balena - Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006, 108; Cecchella, in Cecchella - Amadei – Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano, 2006, 31). Anzi, si è ritenuto che la volontà di ottenere la sentenza dovrebbe ritenersi manifestata già con l'esaurimento delle formalità che competono alla parte ai fini della notifica, ovvero con la presentazione del ricorso all'ufficiale giudiziario per la notifica, così da non attribuire a quest'ultima eventuali ritardi imputabili, invece, alle attività proprie dell'ufficiale giudiziario (Trisorio Liuzzi, Art. 186 quater, in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani – Monteleone, Padova, 2007, 144; contra Cea, Ordinanza post-istruttoria: la conversione in sentenza alla luce delle modifiche ex l.263/05, in FI, 2006, I, 1447). Pertanto, il deposito del ricorso in cancelleria avrebbe la funzione di rendere edotto il giudice della necessità che il processo prosegua e di condizionare così il sorgere del suo potere-dovere di pronunciare la sentenza. Quanto ai termini per impugnare l'ordinanza che abbia acquisito efficacia di sentenza, l'innovazione legislativa non è tale da mutare i termini della questione. Infatti, in conseguenza del nuovo meccanismo di trasformazione ex lege in sentenza, il dies a quo del termine lungo per l'impugnazione viene a coincidere con l'inutile scadenza del termine di trenta giorni senza che l'intimato abbia chiesto la sentenza. In pratica, nel caso in cui non siano state tempestivamente espletate le formalità della notifica del ricorso, il termine decorre dal trentesimo giorno successivo alla pronuncia dell'ordinanza. Quanto alla decorrenza del termine breve, la nuova disciplina sembra dissipare ogni dubbio in merito al suo decorso dalla successiva notifica dell'ordinanza che abbia già acquistato efficacia di sentenza (Balena, in Balena - Bove, Le riforme più recenti del processo civile, op. cit., 107; Cecchella, in Cecchella - Amadei – Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, op. cit., 32; Consolo, in Consolo - Luiso - Menchini – Salvaneschi, Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006, 61; Cea, Ordinanza post-istruttoria: la conversione in sentenza alla luce delle modifiche ex l.263/05, op. cit., 1447). Estinzione del processo
Come è noto, l'ordinanza può acquisire efficacia di sentenza impugnabile anche in caso di estinzione del processo; ciò pone il problema dell'individuazione del dies a quo per la proposizione dell'impugnazione. Poiché la legge non prevede espressamente il momento dal quale decorrono i termini per proporre appello, una parte della dottrina ritiene che debba applicarsi il principio dettato per le sentenze non definitive dall'art. 129, comma 3, disp. att. c.p.c., per cui i termini per l'impugnazione decorrono dal momento in cui diviene definitivo il provvedimento che dichiara l'estinzione (Luiso, Il d.l. n. 238/1995 sul processo civile, in Giur. it., 1995, IV, 247; Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 587; Carratta, Ordinanze anticipatorie di condanna, (dir. proc. civ.), in EGT, XXII, Roma, 1990, 21; Sassani – Tiscini, Provvedimenti anticipatori (diritto processuale civile), op. cit., 891; Consolo, Attese e problemi sul nuovo art. 186 quater (fra condanna interinale e sentenza abbreviata), in Corr. giur., 1995, 1407; Mandrioli, Diritto Processuale civile, II, Torino, 2012, 131). Al contrario, altra parte della dottrina ritiene che, posto che l'estinzione opera di diritto, il decorso dei termini va calcolato a partire dalla data in cui l'estinzione si è verificata, senza che sia necessaria una espressa pronuncia dichiarativa dell'estinzione (Balena, Ancora “interventi urgenti” sulla riforma del processo civile, in Giur. it., 1995, IV, 332; Bucci, L'art. 186 quater: una norma «grimaldello»?, in Giust. civ., 1995, II, 301; Califano, Il nuovo art. 186 quater c.p.c., op. cit.; Verde, Diritto processuale civile, 2, Bologna, 2012, 56). In realtà, poiché la formula di legge è alquanto equivoca, la giurisprudenza (Cass., sez lav., 12 maggio 2006 n. 11039; Cass. 13 novembre 2014 n. 24185) ritiene che il termine lungo di impugnazione decorra dal momento in cui si perfeziona la fattispecie estintiva e non dal passaggio in giudicato della sentenza dichiarativa dell'estinzione, in quanto la sua decorrenza non può essere rimessa alla mera volontà della parte, consentendogli la proposizione di una tardiva riassunzione finalizzata a provocare la dichiarazione di estinzione al solo scopo di prorogare il termine di impugnazione. Conclusioni
Con la modifica introdotta dalla riforma del 2006, l'ordinanza in esame ha assunto maggiore snellezza e praticità. Tuttavia, resta un istituto processuale di scarsa applicazione pratica, date le numerose problematiche che implica non solo sul piano dei presupposti in fase di emissione (aspetto in questa sede non trattato), ma anche per ciò che avviene dopo la sua pronuncia, sussistendo ancora numerose incertezze tecniche ed operative. Dunque, è abbastanza evidente che l'art.186-quater c.p.c. sia destinato ad un uso marginale, tanto più che in suo luogo può farsi ricorso alla sentenza ex art. 281-sexies c.p.c.
Riferimenti
- Balena, Ancora “interventi urgenti” sulla riforma del processo civile, in Giur. it., 1995, IV, 317; - Balena, in Balena – Bove, Le riforme più recenti del processo civile, Bari, 2006; - Bucci, L'art. 186 quater: una norma «grimaldello»?, in Giust. civ., 1995, II, 299 ss.; - Califano, Il nuovo art. 186 quater c.p.c., in Giust. civ., 1995, 565 ss.; - Carratta, Ordinanze anticipatorie di condanna, (dir. proc. civ.), in EGT, XXII, Roma, 1990, 21; - Cea, Ordinanza post-istruttoria: la conversione in sentenza alla luce delle modifiche ex l.263/05, in Foro it., 2006, I, 1445; - Cecchella, in Cecchella - Amadei – Buoncristiani, Il nuovo processo ordinario e sommario di cognizione, Milano, 2006; - Consolo, Attese e problemi sul nuovo art. 186 quater (fra condanna interinale e sentenza abbreviata), in Corr. giur., 1995, 1405; - Consolo, in Consolo - Luiso - Menchini – Salvaneschi, Il processo civile di riforma in riforma, Milano, 2006; - Costantino, La lunga agonia del processo civile. Note sul d.l. 21 giugno 1995 n. 238, in Foro it., 1995, V, 321 ss.; - Luiso, Il d.l. n. 238/1995 sul processo civile, in Giur. it., 1995, IV, 241; - Mandrioli, Diritto Processuale civile, II, Torino, 2012, 131; - Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 587; - Sassani – Tiscini, Provvedimenti anticipatori (diritto processuale civile), in EdD, Agg., V, Milano, 2001, 872; - Trisorio Liuzzi, Art. 186 quater, in La riforma del processo civile, a cura di Cipriani – Monteleone, Padova, 2007; - Verde, Diritto processuale civile, 2, Bologna, 2012. |