Violenza sessuale. Sulla configurabilità del reato in caso di atto masturbatorio senza contatto fisico con la vittima
22 Febbraio 2018
Massima
Per il perfezionamento della fattispecie legale tipica del reato di violenza sessuale cui all'art. 609-bis c.p. non è necessario un contatto fisico tra l'autore e la vittima, essendo sufficiente che il primo ponga in essere una condotta idonea a violare la libertà sessuale della vittima nella propria sfera sessuale coinvolgendone la sua corporeità. Il caso
Il tribunale di Torino, in funzione di giudice del riesame, è stato investito dell'appello proposto dal pubblico ministero della procura di Torino avverso l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari del medesimo tribunale emessa in data 21 luglio 2017, che aveva rigettato la richiesta di misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di un soggetto sottoposto a indagini per i delitti di furto aggravato di cui agli articoli 624, 625, commi 1 n. 4 e 8-bis, c.p. e di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis c.p. Con riferimento, in particolare, al reato di violenza sessuale, nella richiesta cautelare sottoposta al vaglio dell'Ufficio Gip veniva formulata la seguente imputazione:«[...] perché, con gesto repentino e subdolo costringeva [la persona offesa] a subire atti sessuali, in particolare, mentre la stessa viaggiava seduta sull'autobus della linea 68, si posizionava in piedi a stretto contatto con la predetta, si masturbava mentre le era accanto ed eiaculava sulla sua persona [...]». Ed invero, la persona offesa riferiva che in data 19 ottobre 2016, mentre viaggiava su un autobus pubblico seduta su un sedile anteriore del mezzo, Iato destro, notava un passeggero che le stava particolarmente attaccato e durante il percorso era intimorita dalla presenza di costui tanto che non si voltava verso il medesimo, ma si spostava ulteriormente per allontanarsi dallo stesso e sottrarsi alla di lui presenza che sentiva incombente. Poiché, pertanto, stava rivolta verso il finestrino e guardava in direzione di quest'ultimo non aveva potuto accorgersi che l'uomo si stava masturbando e, quando aveva sentito calore suI gluteo sinistro aveva pensato che costui la stesse toccando con una mano tanto che la sua sensazione di imbarazzo era aumentata; giunti alla fermata del mezzo vedeva tale passeggero, poi identificato nell'indagato, scendere velocemente dal mezzo. Sentendosi più tranquilla si toccava i pantaloni, perché avvertiva ancora la sensazione di calore, e si accorgeva che l'indagato aveva eiaculato su di lei. Dunque, alla luce del contenuto delle dichiarazioni rese dalla donna, che sporgeva rituale denuncia querela in ordine ai fatti subiti, il pubblico ministero chiedeva al giudice per le indagini preliminari l'applicazione della misura della custodia cautelare in carcere (anche) per il reato di violenza sessuale, così come da formulazione dell'imputazione suindicata. Nell'ordinanza impugnata dinnanzi al tribunale del riesame il giudice per le indagini preliminari, nel rigettare la domanda cautelare, riteneva che la fattispecie di violenza sessuale non fosse integrata, rilevando come, dalle modalità dell'azione descritta dalla persona offesa, l'unica fattispecie di cui erano integrati i presupposti fosse quella di atti osceni, sulla scorta della considerazione che difettavano elementi in fatto per ipotizzare che lo sfregamento masturbatorio fosse avvenuto « in appoggio alla gamba della donna» e, dunque, che vi fosse stato un contatto diretto tra l'uomo e la vittima. Il pubblico ministero depositava appello avverso tale statuizione e il tribunale del riesame – con l'ordinanza in commento – in accoglimento dell'appello dell'Ufficio di procura, annullava la decisione del giudice per le indagini preliminari ed applicava la richiesta misura cautelare all'indagato. Nell'ordinanza in esame, in relazione alla qualificazione giuridica della condotta il collegio giudicante rilevava che senza dubbio la denunciante aveva dovuto subire l'eiaculazione dell'indagato sul proprio corpo, esattamente sul gluteo sinistro, in violazione della propria libertà di autodeterminazione sessuale e in presenza di coscienza e volontà da parte dell'indagato di soddisfare un proprio impulso sessuale. Riteneva dunque che, in conformità della giurisprudenza di legittimità più recente, il requisito di un contatto tra autore e vittima non fosse necessario ai fini dell'integrazione del reato di violenza sessuale e che il reato sussiste ugualmente quando l'autore della condotta trova comunque soddisfacimento sessuale. Rilevava come, nel caso in esame, fosse incontestato che l'indagato avesse agito al fine del soddisfacimento di un proprio impulso sessuale e che la condotta perpetrata dal medesimo fosse oggettivamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella propria sfera sessuale coinvolgendone la sua corporeità. Valutava, altresì, come l'indagato avesse agito con modalità particolarmente insidiose in quanto in apparenza aveva tenuto la condotta di un "normale" passeggero del mezzo al fine di non attirare su di sé l'attenzione né della vittima né degli altri presenti. Portato a termine il proprio illecito agire lo stesso si era affrettato a scendere dall'autobus ben consapevole dell'illiceità della sua condotta ed altresì dell'indubbia riconducibilità a lui da parte (almeno) della vittima. In conclusione, rilevava il giudice d'appello che i criteri interpretativi offerti dalla giurisprudenza rendessero palese che l'elemento ritenuto mancante dal giudice della cautela ai fini dell'integrazione del delitto di cui all'art. 609-bis c.p., ossia il contatto fisico tra l'indagato e la vittima (sfregamento masturbatorio in appoggio alla gamba della donna),non fosse necessario per il perfezionamento della fattispecie legale tipica. Considerando, infine, sussistenti le esigenze cautelari evidenziate nella richiesta di applicazione della misura in relazione alle modalità concrete della condotta ed alla gravità del fatto, applicava all'indagato la misura della custodia cautelare in carcere. La questione
La questione in esame attiene all'individuazione delle caratteristiche dell'elemento oggettivo del reato di cui all'art. 609-bis c.p. e, in particolare, all'estensione della nozione di atti sessuali anche quelle condotte, quali quella in esame, che, pur con un contatto fugace tra le parti del corpo c.d. erogene dell'autore e della vittima comportino un coinvolgimento della corporeità di quest'ultima e siano idonee a comprometterne la libertà sessuale. Le soluzioni giuridiche
Con riferimento alla questione in esame, occorre, dunque individuare quale sia la corretta accezione dell'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale. L'elemento materiale del reato di cui all'art. 609-bis c.p. invero, consiste nel costringere taluno a compiere o a subire atti sessuali. La nozione di atti sessuali inserita nella predetta norma è la somma di un'unica categoria generale delle due nozioni previgenti la legge di riforma del 15 febbraio 1996 n. 66, ovvero quella di congiunzione carnale e quella di atti di libidine violenti, e trova il suo fondamento nel mutato oggetto giuridico dei reati sessuali e nell'esigenza di evitare alla vittima invasive indagini processuali. Alla luce di tale canone interpretativo dato pacifico nell'elaborazione giurisprudenziale è quello che evidenzia come l'espressione atto sessuale non possa che comportare il necessario coinvolgimento della corporeità sessuale della vittima. Per tale motivo sono esclusi dalla norma in esame quegli atti che, pur espressivi di concupiscenza sessuale siano però inidonei ad intaccare la sfera della sessualità della vittima, comportando un'offesa alla libertà morale della persona offesa ed al sentimento pubblico del pudore (si pensi, ad esempio, agli atti di esibizionismo), mentre vi rientrano quelle condotte in cui, pur in assenza di un contatto tra soggetto attivo e soggetto passivo del reato, il corpo di quest'ultimo risulti in qualche modo interessato dalla condotta del reo (ad esempio le condotte autoerotiche a cui il soggetto passivo è costretto dall'autore del reato). Per quanto attiene, invece, all'individuazione di cosa renda l'atto che coinvolge la corporeità della vittima un atto sessuale giuridicamente rilevante, in giurisprudenza, dopo un'iniziale interpretazione restrittiva – ancorata esclusivamente all'elemento oggettivo dell'atto sessuale – è prevalso l'orientamento estensivo che, assieme alla componente oggettiva dell'atto, valorizza anche l'elemento soggettivo individuabile nella finalizzazione dell'atto stesso al soddisfacimento dell'istinto sessuale dell'autore della condotta. Inoltre, la componente sessuale dell'atto rilevante per l'integrazione dell'elemento materiale del reato di cui all'art. 609-bis c.p., è ulteriormente delineata alla luce del bene giuridico protetto dalla norma. Dunque la condotta vietata ricomprende quegli atti che investendo parti del corpo che, per scienza medica, psicologica ed antropologica, sono considerate erogene e che, invadendo la sfera di corporeità della vittima, cagionino un'offesa alla libertà sessuale della stessa. Pertanto integra l'elemento materiale del reato di violenza sessuale qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo – ancorché fugace e estemporaneo- tra soggetto passivo e attivo, sia tale da porre in pericolo la libera autodeterminazione nella sfera sessuale della vittima. In tal modo è valorizzata, dunque, la tutela del bene giuridico della libertà sessuale protetto dalle norme di cui agli artt. 609-bise ss. c.p., ossia, in positivo, il diritto di ciascuno di esplicare liberamente le proprie inclinazioni personali e, in negativo, l'impedire che il proprio corpo possa essere senza consenso utilizzato da altri ai fini di soddisfacimento erotico. In questa prospettiva gli atti sessuali che di volta in volta rileveranno saranno dunque quelli che ledono il bene giuridico tutelato dalla norma o che, quantomeno, lo espongono a pericolo. Osservazioni
Con l'ordinanza in esame, dunque, il collegio giudicante, alla luce dei consolidati principi di legittimità riconosce l'integrazione del reato di violenza sessuale nella condotta tenuta dall'indagato in quanto certamente idonea a violare la libertà di autodeterminazione della vittima nella propria sfera sessuale coinvolgendone la sua corporeità. Segnatamente rileva come l'azione posta in essere dall'indagato, consistita nel compiere l'atto sessuale della masturbazione, sia rilevante ai fini dell'integrazione dell'elemento oggettivo del reato di violenza sessuale poiché ha coinvolto la corporeità della vittima, che in più momenti ha sentito l'uomo avvicinarla con insistenza fino ad avvertire una sensazione di calore sulla natica e accorgersi successivamente che il reo le aveva eiaculato addosso; condotta, dunque, che ha comportato la lesione del bene protetto dalla norma, ovvero la libertà sessuale della persona offesa. Il tribunale fa, altresì, utilizzo del canone interpretativo costantemente offerto dalla giurisprudenza di legittimità, che ravvisa la sussistenza della violenza sufficiente per l'integrazione della fattispecie di violenza sessuale in quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell'azione criminosa, statuendo, dunque, come non occorre, per la consumazione del reato, la materiale resistenza della vittima quando l'inopinato ed istantaneo gesto ne sorprende la percezione, non consentendo la consapevole cognizione di quanto era ormai accaduto (c.f.r., tra le altre, sent. Cass. pen.,Sez. III, 23 giugno 2016, n. 22127) |