La natura imperativa della disciplina della postergazione e la perdita della qualifica di socio

23 Febbraio 2018

Le regole in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c. - disciplina posta a tutela delle aspettative dei creditori della società - si caratterizzano quali norme imperative, non superabili in virtù di accordi convenzionali tra le parti, insensibili alle vicende successive e soggettive del socio finanziatore relativamente alla sua presenza nella compagine sociale.
Massima

Le regole in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c. - disciplina posta a tutela delle aspettative dei creditori della società - si caratterizzano quali norme imperative, non superabili in virtù di accordi convenzionali tra le parti, insensibili alle vicende successive e soggettive del socio finanziatore relativamente alla sua presenza nella compagine sociale. Pertanto, il principio di postergazione del finanziamento del socio, continua ad applicarsi in ogni caso, laddove ne sussistessero le condizioni al momento dell'erogazione del finanziamento e tali condizioni siano ancora in essere alla data dell'exit del socio dalla società.

Il caso

La sentenza in esame trae origine dall'opposizione promossa da una società a responsabilità limitata nei confronti di un decreto ingiuntivo chiesto - e ottenuto - da un (ex) socio di minoranza della medesima società, al fine di vedersi restituire la residua parte (al netto di uno stralcio pattuito) di un finanziamento da lui concesso durante la fase di start-up.

Il collegio giudicante ha revocato il decreto ingiuntivo inizialmente emesso, in accoglimento dell'opposizione promossa dalla società e in applicazione della disciplina in tema di postergazione dei finanziamenti soci di cui all'art. 2467 c.c., non derogabile pattiziamente e applicabile al caso di specie.

Più precisamente, le parti, in sede di ricostituzione del capitale sociale a seguito della sua integrale erosione per perdite e contestuale exit del socio finanziatore dalla compagine sociale per non aver "seguito" tale aumento di capitale, avevano pattuito un accordo (evidentemente poi non eseguito), finalizzato a garantire un rimborso all'ormai ex socio della somma in discussione (al netto di uno stralcio concordato), entro la fine dell'anno 2015. Il credito non è stato oggetto di contestazione dalle parti in causa (essendo infatti stata effettivamente erogata la somma di cui il finanziatore ha chiesto il rimborso), ma la vicenda giudiziaria in esame ha riguardato la sua postergazione rispetto agli altri creditori. Al riguardo, il Collegio, considerate le condizioni di tensione finanziaria e deficit patrimoniale - foriere della fattispecie di cui all'art. 2447 c.c. verificatisi da li a pochi mesi - in cui versava la società quando è avvenuto il finanziamento e perduranti alla data dell'uscita del socio dalla compagine sociale, ha ritenuto applicabile a tale finanziamento la postergazione, aderendo alla tesi maggioritaria secondo cui resta sottoposto a postergazione il credito dell'ex socio, laddove la somma sia stata erogata quando ancora era titolare della partecipazione.

Le questioni

La pur breve sentenza in esame costituisce un'interessante applicazione del disposto dell'art. 2467 c.c., norma che, secondo opinione condivisa in dottrina e giurisprudenza, rappresenta un baluardo a difesa delle ragioni dei creditori, introducendo un principio di corretto finanziamento della società, la cui violazione comporta una riqualificazione imperativa del prestito effettuato da un socio - in costanza delle circostanze di cui all'art. 2467 c.c. - in prestito postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori (cfr. Cass. civ., Sez. I, 24 luglio 2007, n. 16393; Trib. Milano, 14 marzo 2014, n. 3621).

Uniformandosi a tale chiave di lettura, i giudici milanesi hanno qualificato la norma in esame quale vera e propria «disciplina imperativa non superabile in virtù degli accordi convenzionali raggiunti tra le parti». Con la conseguenza che qualsiasi pattuizione tra società e socio finalizzata a garantire il rimborso a quest'ultimo di un finanziamento effettuato in costanza delle condizioni di cui al 2467 c.c., viene superata dal disposto normativo in esame, che ne prescrive invece la postergazione (pur esistendo un'interessante pronuncia che, senza contrastare con tale principio, lo tempera - nel contesto di un concordato preventivo - avendo consentito, solo in costanza del consenso della maggioranza di ciascuna classe,la presenza di soci-creditori all'interno della classe raggruppante i creditori chirografari; cfr. Cass. Civ., Sez. I, 4 febbraio 2009, n. 2706).

L'applicazione della disciplina in esame richiede tuttavia - anche a detta della sentenza in commento - una duplice circostanza di natura oggettiva e soggettiva, da verificarsi, innanzitutto, al momento dell'erogazione del finanziamento stesso. In primo luogo, risulta necessaria la «effettiva sussistenza delle condizioni di postergazione» richieste dalla norma, e, così, una situazione di squilibrio patrimoniale o una situazione finanziaria in cui sarebbe stato ragionevole un conferimento. Non ogni finanziamento soci, infatti, soggiace alla postergazione ma solo i «cosiddetti prestiti anomali (o "sostitutivi del capitale") al fine di porre rimedio alle ipotesi di sottocapitalizzazione c.d. nominale» (Cass. civ., Sez. I, 24 luglio 2007, n. 16393, sopra citata), di guisa che la norma in esame viene comunemente considerata applicabile solo per le imprese che siano entrate, o stiano per entrare, in una situazione di crisi (cfr., ex pluribus, Trib. Bologna, 9 maggio 2017, n. 800; Trib. Milano, 6 febbraio 2015, n. 1658) oppure, come messo in luce da un'attenta dottrina e, nei fatti, dalla sentenza in esame, in una fase di start-up connotata da limitate risorse proprie e dall'effettuazione delle prime rilevanti operazioni sociali (cfr. G. Guerrieri, I finanziamenti dei soci, in F. Galgano (a cura di), Trattato di diritto commerciale e diritto pubblico dell'economia, LXV, Padova, 2012). In secondo luogo, da un punto di vista soggettivo, è necessaria la qualifica di socio da parte del mutuante, che deve sussistere al momento del finanziamento, restando invece insensibile, ai fini dell'applicazione dell'art. 2467 c.c., la permanenza di tale status dopo l'erogazione (essendo, al contrario, non postergato il credito del terzo creditore che successivamente diviene socio).

La peculiarità della sentenza in esame, tuttavia, consiste anche nel suggerire che la perdita della qualifica di socio dopo l'erogazione del finanziamento richiede un'ulteriore verifica da parte dell'interprete ai fini dell'applicazione dell'art. 2467 c.c., da effettuare non già al momento del finanziamento ma alla data dell'exit del socio finanziatore. Infatti, solo se anche in tale momento sussistono i presupposti della postergazione, il credito dovrà considerarsi postergato. In mancanza, precisano i giudici, laddove all'exit del socio la società presenti un equilibrio patrimoniale tale per cui anche un terzo estraneo potrebbe "ragionevolmente" finanziarla, allora l'(ex) socio e la società potranno ben disporre dei termini dell'eventuale rimborso, da affidarsi «alla libera disponibilità delle parti».

Osservazioni

Appare particolarmente interessante la conclusione della sentenza in esame soprattutto per ciò che concerne la cd. doppia verifica che è richiesta per qualificare come postergabile il finanziamento effettuato da un socio, soprattutto se uscito dalla compagine successivamente alla concessione del finanziamento. Infatti, punto di partenza della sentenza è l'assioma - per la verità consolidato - secondo cui la disciplina di cui all'art. 2467 c.c. si applica solo nel contesto della crisi d'impresa (ed eventualmente della start-up). Ciò detto, i giudici hanno argomentato (senza tuttavia ritenere applicabile tale considerazione al caso in esame) che qualora il finanziamento del socio sia stato compiuto in un momento in cui sussistevano le condizioni di postergazione di cui all'art. 2467 c.c., successivamente venute meno (magari anche grazie a quel finanziamento del socio) al momento dell'exit del socio finanziatore, allora sarebbe irragionevole negare a quest'ultimo di pattuire con la società (nell'imminenza di divenite un terzo creditore) diverse condizioni di rimborso «secondo ordinaria disciplina convenzionale di rapporti tra parti, a questo punto contrapposte» che non passino per la sua subordinazione.

Se infatti, in un'ottica di sistema, la postergazione del socio appare utile, in quanto neutralizzare «il rischio legato alla possibilità di subire il concorso dei soci, induce i creditori a prestare a condizioni meno onerose» (M. Maugeri, Finanziamenti "anomali" dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005), allo stesso tempo (e nella stessa ottica), imporre la postergazione al socio (o ex socio) che richieda il finanziamento quando le condizioni di cui all'art. 2467 c.c. - forse anche grazie alla finanza da lui apportata - sono venute meno, potrebbe apparire fin troppo disincentivante per il reperimento di capitale di credito dai soci.

Al riguardo, il caso in esame offre un ulteriore spunto degno di nota poiché viene distinto il concetto di squilibrio patrimoniale con quello di deficit finanziario della società mutuataria, precisando che il solo riequilibrio del primo (non accompagnato dal riequilibrio del secondo), non basta per evitare la postergazione. Si legge, infatti, nella sentenza che la postergazione permane qualora la società abbia preso gli opportuni provvedimenti idonei a riequilibrare la situazione patrimoniale (ad esempio mediante parziali o totali rinunce di crediti da parte dei soci come avvenuto nel caso in esame) ma continui a sussistere un deficit di liquidità e il riequilibrio (solo) patrimoniale appaia inidoneo «a superare lo scarto rilevato rispetto all'entità dell'attivo circolante».

Conclusioni

Esistono molti profili di interesse derivanti dalla sentenza in esame, a cominciare dalla considerazione circa l'imperatività della disciplina di cui all'art. 2467 c.c., che permane - pena l'inaffidabilità del regime normativo citato che si presterebbe, al contrario, a facili elusioni a danno dei creditori - anche in caso muti la qualifica soggettiva del mutuante, da socio a terzo. Proprio nel momento dell'exit, al pari di quanto farebbe qualsiasi terzo creditore, l'(ex) socio è libero di pattuire i termini del rimborso del suo finanziamento con la società, ferma restando però la verifica in merito all'assenza, anche nel momento dell'exit, delle condizioni di postergazione che, laddove invece permangano, impongono la postergazione nonostante la cessazione della qualifica di socio.

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