29 anni per la prescrizione del reato: all'imputato 19500 euro

Redazione scientifica
27 Febbraio 2018

L'istanza di accelerazione del processo, prevista dall'art. 2, comma 12-quinquies, lett. e), l. n. 89/2001 (introdotto dal d.l. n. 83/2012,convertito in l. n. 134/2012) quale condizione per il riconoscimento dell'equa riparazione per l'irragionevole durata del processo, non trova applicazione con riferimento ai procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della l. n. 134/2012, avessero già superato la ragionevole durata.

Il caso. Il Consigliere delegato della Corte d'appello di Roma con decreto rigettava la domanda di equa riparazione per l'irragionevole durata del procedimento penale in relazione al periodo intercorso tra l'inizio del dibattimento penale e l'intervenuta prescrizione dei reati contestati all'appellante. Riteneva la Corte che l'intervenuta estinzione dei reati per prescrizione aveva giovato all'imputato che quindi non poteva dolersi della durata irragionevole del processo penale. Contro tale provvedimento proponeva opposizione il soccombente, che veniva accolta dalla Corte d'appello in composizione collegiale che, essendo il ritardo nella definizione della vicenda giudiziaria di 25 anni, riconosceva un indennizzo di 19.500 euro.

Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso il Ministero della Giustizia, con il quale deduce violazione dell'art. 2, comma 12-quinquies, lett. e), l. n. 89/2001 (introdotto dal d.l. n. 83/2012, convertito in l. n. 134/2012), sostenendo che tale previsione sarebbe applicabile anche alla fattispecie in esame, posto che il ricorso è stato depositato in epoca successiva all'entrata in vigore della norma.

Istanza di accelerazione. Il Collegio afferma, al contrario, che l'esclusione dell'indennizzo, prevista per l'appunto dalla norma in questione, nel caso in cui l'imputato non abbia depositato istanza di accelerazione del processo penale nei 30 giorni successivi al superamento dei termini di cui all'art. 2-bis, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto» (art. 55, comma 2). La Corte precisa, altresì, che non è possibile applicare tale previsione ratione temporis, in quanto non vi è una disciplina transitoria che preveda espressamente l'applicabilità della causa di esclusione dal diritto all'equa riparazione per i procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della l. n. 134/2012 (11 settembre 2012), abbiano superato la ragionevole durata, come nel caso di cui si discute.

Prevenzione. La norma, infatti, risponde ad una esigenza di prevenzione del danno, confermata dal legislatore con la novella del 2015 (l. n. 208/2015) con la quale ha trasformato l'istanza di accelerazione in un rimedio preventivo (abrogando l'art. 2, comma 2-quinquies, lett. e) ed introducendo l'art. 1-bis, comma 2). Tale finalità, però, può esplicarsi solo se il termine non è ancora maturato oppure «sia decorso da appena 30 giorni poiché in tal modo la presentazione dell'istanza potrebbe essere lo stimolo per assicurare una sollecita definizione del giudizio, impedendo quindi il verificarsi del pregiudizio da durata irragionevole del processo».

In ragione delle argomentazioni sopra esposte, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.

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