La nuova procedura di liquidazione giudiziale del sovraindebitato

27 Febbraio 2018

La legge delega per la riforma delle procedure concorsuali ha mantenuto, per i debitori sovraindebitati, la possibilità di accedere a tre procedure distinte: la ristrutturazione dei debiti del consumatore (già piano), il concordato minore (già accordo) e la liquidazione controllata giudiziale.
Premessa

La legge delega per la riforma delle procedure concorsuali ha mantenuto, per i debitori sovraindebitati, la possibilità di accedere a tre procedure distinte: 1) la ristrutturazione dei debiti del consumatore (già piano); 2) il concordato minore (già accordo); 3) la liquidazione controllata giudiziale.

I soggetti che vi possono accedere, trovandosi in condizione di sovraindebitamento, sono così descritti nell'art. 2 (definizioni) della proposta di Codice della crisi e dell'insolvenza:

(3) “sovraindebitamento”: lo stato di crisi o di insolvenza del consumatore, del professionista, dell'imprenditore minore e di ogni altro debitore non assoggettabile alla liquidazione giudiziale ai sensi del presente Codice; (4) “impresa minore”: l'impresa che presenti congiuntamente: a) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila, negli ultimi tre esercizi compiuti; b) ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila, negli ultimi tre esercizi compiuti; c) debiti, anche non scaduti, non superiori ad euro cinquecentomila. I predetti valori possono essere aggiornati ogni tre anni con decreto del Ministro della giustizia. (5) “consumatore”: la persona fisica che agisce per scopi estranei all'attività imprenditoriale, commerciale, artigiana o professionale eventualmente già svolta; si considerano consumatori anche le persone fisiche che siano soci delle società appartenenti ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del Codice civile, con esclusivo riguardo ai debiti estranei a quelli sociali.

Quindi: il consumatore (nozione in cui rientra il socio di società di persone, esclusivamente per i debiti personali), l'imprenditore minore ed il professionista, possono chiedere di accedere, oltre che alle procedure di ristrutturazione e di concordato, anche a quella di liquidazione.

Il procedimento

L'iniziativa per l'apertura della procedura compete, oltre che al debitore, anche al creditore, in pendenza di procedure esecutive individuali, il che significa che, in questi casi, il creditore può provocare l'apertura di una procedura concorsuale in luogo di quelle individuali pendenti, a miglior tutela dei suoi interessi nell'ambito del concorso dei creditori, così ripristinando, ove sia stata violata, la par condicio creditorum.

Quando l'insolvenza riguarda l'imprenditore, il P.M. si aggiunge ai soggetti legittimati a chiedere l'apertura della procedura di liquidazione.

La liquidazione può anche aprirsi come sanzione per il mancato conseguimento dello scopo delle procedure alternative.

Infatti, l'art. 78 del Codice prevede la conversione della procedura di ristrutturazione dei debiti in procedura liquidatoria, nei casi di frode o falsità o inadempimento non rimediabile.

Negli stessi casi l'art. 88 del Codice prevede la conversione del concordato minore in procedura di liquidazione.

Quest'ultima procedura ha, tendenzialmente, una portata generale, nel senso che riguarda tutti i beni del debitore, fatta eccezione per quelli che si potrebbero ricomprendere nel lato concetto di prima necessità (cfr. l'art. 273, comma 3, del Codice della crisi e dell'insolvenza).

Il ricorso può essere presentato personalmente dal debitore, con l'assistenza dell'Organismo di composizione della crisi, nella persona del gestore della crisi, previsto dal regolamento emanato con D.M. Giustizia 24 settembre 2014 n. 202.

Il debitore, non essendolo escluso dalla norma, potrà presentare il ricorso anche con l'assistenza di un suo legale di fiducia.

In ogni caso, il gestore della crisi dovrà redigere una relazione che accompagnerà il ricorso, esponendo una valutazione sulla completezza e sulla attendibilità della documentazione depositata a corredo della domanda e che illustri la situazione economica, patrimoniale e finanziaria del debitore.

Qualora la documentazione depositata a corredo della domanda dal debitore non sia completa o non sia attendibile, non è più previsto (come lo è nell'art. 14-ter, comma 5,della L. n. 3/2012), che la domanda sia dichiarata inammissibile, la qual cosa sarebbe stata opportuna, in quanto non è agevole compiere la liquidazione e regolare il concorso dei creditori in assenza di documentazione che attesti la reale situazione economica e patrimoniale del debitore.

Rimarrebbe infatti elevato il rischio che beni e denaro non individuati restino al di fuori della procedura, così come che vengano pretermessi dei creditori non indicati dal debitore.

Tuttavia, a ben vedere, la completezza e la regolarità della documentazione non costituiscono neppure ora un requisito di accesso alla procedura di fallimento, come non dovrebbe essere considerata inammissibile la futura procedura di liquidazione giudiziale per i debitori maggiori.

Si tratta infatti di una procedura che riguarda tutti i beni del debitore e dalla quale non consegue per lui alcun beneficio diretto e che, quindi, non dovrebbe avere alcun ostacolo: al nemico che fugge (= al debitore che offre tutti i suoi beni per pagare i debiti), ponti d'oro.

A riprova di ciò, si osserva che la procedura di liquidazione è comunque prevista a titolo sanzionatorio, nel caso di conversione da una procedura con accordo, o con solo piano, che non abbiano raggiunto il loro esito fisiologico per inadempimento o per frode del sovraindebitato, e ciò vale anche per le procedure maggiori.

Dunque, se si può accedere alla procedura di liquidazione anche in caso di frode, scoperta durante l'esecuzione del piano o dell'accordo, si vede bene che la carenza di documentazione e, più in generale, la mancanza di meritevolezza iniziali non possono essere impedienti rispetto alla procedura di liquidazione; lo saranno semmai rispetto alla naturale evoluzione della procedura, che è l'esdebitazione.

Infatti, il debitore immeritevole non potrà in seguito giovarsi dell'esdebitazione, che dovrebbe essere la naturale conseguenza della liquidazione controllata.

La relazione del gestore della crisi sulla completezza ed attendibilità della documentazione serve, dunque, non tanto per stabilire se il ricorrente è o no meritevole di accedere alla procedura di liquidazione, bensì – a futura memoria – se gli si potrà concedere l'esdebitazione.

Vi è da dire che nei decreti attuativi non è stata riprodotta la norma di cui all'art. 15 della L. n. 3/2102, che molto opportunamente conferiva ai gestori della crisi il potere-dovere di compiere accessi a fini di indagine nelle principali banche dati nazionali, alla stessa stregua della polizia giudiziaria, e così colmare le lacune informative del debitore.

Questo potere di indagine serve per conoscere la reale situazione economica, patrimoniale e finanziaria del sovraindebitato, eventuali condotte distrattive, creazione di fondi patrimoniali, trust et similia, gli atti revocabili, etc.

Consente quindi anche di formulare un giudizio compiuto sulla meritevolezza del debitore, che qui serve in ogni caso per poter poi concedere a ragion veduta l'esdebitazione.

Non averlo previsto toglie un potente strumento al gestore della crisi per compiere al meglio il proprio dovere informativo nei confronti del giudice per la corretta applicazione della legge.

L'omissione potrebbe essere non voluta, ma solo frutto di una dimenticanza, poiché non solo, con la legge n. 3/2012, non si sono palesati ostacoli o critiche all'esercizio di questo ufficio, ma anche si comprende come esso ben si inquadri nel nuovo compito dei professionisti di impresa i quali, nel gestire la crisi, non devono pensare di avere a che fare con un cliente (al quale si possono perdonare certi silenzi), ma con un soggetto che ha chiesto di usufruire del servizio giustizia, nella forma procedurale indicata dalla legge.

Invero, il gestore della crisi è un ausiliario del giudice, e deve sopperire con le sue capacità professionali, la sua autorevolezza e la terzietà, alla oggi diradata presenza del giudice in queste procedure minori.

Ragion per cui, il potere di indagine serve proprio a mettere il gestore della crisi in condizione di presentare al giudice il debitore nella giusta luce, soprattutto sotto il rilevante profilo della meritevolezza, che, nelle procedure di ristrutturazione dei debiti e di concordato minore, costituisce un requisito di accesso alle stesse.

In luogo del potere di indagine è previsto un obbligo di trasmissione di atti dai titolari delle banche dati facenti capo al Registro Imprese, alla Anagrafe tributaria e all'INPS (cfr. art. 28 disp. att. del Codice dell'insolvenza).

Questa documentazione fornita da terzi consente certo in parte di sopperire alle lacune informative del debitore ed è anche per questo che la procedura di liquidazione non è dichiarata inammissibile se la documentazione fornita dal debitore non è regolare o completa.

E' però tutta da verificare l'efficienza di un tale sistema, rispetto al compimento di indagini da parte di chi vi ha sicuro interesse per evitare sue responsabilità (il gestore della crisi), sistema peraltro limitato (per ora) a tre soli soggetti, con esclusione di altri attualmente previsti dall'art. 15 L. n. 3/2012, di importanza forse decisiva, come le banche dati dei sistemi di informazione creditizia e la centrale rischi.

Secondo l'art. 275 del Codice dell'insolvenza il giudice deve dichiarare con sentenza l'apertura della procedura di liquidazione.

Sembra, tuttavia, che sarebbe stato più adatto al caso un provvedimento avente forma di decreto, posto che il più delle volte verrà emanato senza la presenza di alcun contraddittore.

La procedura è regolata, oltre che dalle norme specificamente collocate nella sedes materiae, anche da quelle sul procedimento unitario, previste nel titolo III del Codice (artt. 44 ss.).

Se la domanda di liquidazione è proposta da un creditore o dal P.M., il debitore può chiedere (se non lo ha già fatto) una procedura alternativa (di cui al titolo IV), ottenendo dal giudice un termine per l'integrazione della domanda, variabile secondo il caso concreto, ma non irragionevolmente lungo.

In tale durata la liquidazione controllata non può essere aperta.

L'eventuale domanda di liquidazione proposta durante la pendenza del termine concesso dev'essere dichiarata improcedibile qualora venga aperta una procedura di ristrutturazione dei debiti o di concordato minore.

Pur non essendo previsto un potere del giudice di inibire le procedure esecutive pendenti, come lo è nell'art. 14-quinquies L. n. 3/2012, tuttavia, si deve ritenere tale divieto un'implicita conseguenza dell'apertura della procedura, e così vale anche per le altre iniziative cautelari od esecutive che potrebbero determinare un'alterazione della par condicio creditorum, come si evince, oltre che dai principi, posto che la concorsualità non tollera la coesistenza di procedure non concorsuali, anche dalla trascrizione che del decreto di apertura deve essere fatta, ai sensi dell'art. 275, comma 2, lett. g, del Codice, presso le conservatorie dei registri immobiliari e mobili registrati, proprio al fine di vincolare tali beni alla loro comune destinazione concorsuale (patrimonio separato).

Una volta aperta la procedura di liquidazione, essa non può superare la durata di due anni, che possono essere prorogati a tre, per motivi gravi e (quindi) giustificati.

E' stato eliminato il vincolo di durata minima della procedura, di quattro anni, previsto dalla L. n. 3/2012 (art. 14-novies, comma 5), che si giustifica (nell'attuale legge) con il timore che, nel corso dei quattro anni successivi all'apertura della procedura, possano sopraggiungere nel patrimonio del debitore consistenti beni e/o redditi che potrebbero essere acquisiti alla liquidazione e destinati alla soddisfazione concorsuale e che, invece, se la procedura fosse già chiusa, le sarebbero sottratti.

Esiste, infatti, la possibilità che il debitore nel tempo incrementi il suo patrimonio in misura superiore a quella dei beni che ha ceduto.

Di qui il vincolo procedurale quadriennale, non più previsto nella legge riformata.

Neppure è stato riprodotto l'art. 14-undecies L. n. 3/2012, che stabilisce che i beni sopravvenuti all'apertura della liquidazione, nel corso della procedura medesima, sono ad essa acquisiti.

Rimane pertanto dubbio se la cessio bonorum che si attua con la domanda di liquidazione e, a fortiori, nei casi in cui la procedura sia stata aperta su iniziativa di terzi (creditori, P.M.), possa ricomprendere anche i beni non ancora esistenti alla sua data, in difetto di norma esplicita, e mancando una norma che sancisca un vero e proprio spossessamento per il debitore, come avviene per il caso dell'attuale fallimento (art. 42 l.fall.).

Proprio per quest'ultima ragione, è senz'altro opportuna la precisazione, a scanso di equivoci, analoga all'attuale art. 14-duodecies, L. n. 3/2012, per la quale il patrimonio di liquidazione, che è destinato, per effetto del decreto di apertura, alla soddisfazione dei creditori concorsuali, resta insensibile alle eventuali aggressioni poste in essere da parte dei creditori successivi alla apertura del concorso (patrimonio separato), ex art. 281 del Codice.

La procedura si attua essenzialmente con la formazione dello stato passivo (art. 278) e con la esecuzione del programma di liquidazione (art. 279), cui segue il riparto tra i creditori del ricavato della liquidazione.

Non è prevista una disciplina relativa alla presentazione di domande tardive.

Poiché il termine (previsto dall'art. 275, comma 2, lett. d, del Codice) di presentazione delle domande tempestive non può reputarsi perentorio, in assenza di specifica menzione, i creditori tardivi possono insinuarsi al passivo anche dopo la sua scadenza, ma sopportano il rischio dell'incapienza dovuta ai riparti già effettuati dal liquidatore.

Non è contemplata una disciplina per l'attività liquidatoria, precipuamente diretta a garantire la realizzazione della competitività nelle vendite, come era chiaramente prevista nell'art. 14-novies della L. n. 3/2012.

Se ne deduce che il liquidatore dovrà comunque seguire le regole generali sulla vendita dei beni nelle procedure concorsuali, non potendosi neppure ipotizzare che ne sia del tutto svincolato.

Neppure è stata prevista la gamma dei poteri del liquidatore in ordine alla gestione del patrimonio ceduto dal debitore e, segnatamente, se egli possa porre in essere iniziative tese al recupero di crediti o far valere diritti o comunque esercitare azioni recuperatorie o di responsabilità verso organi gestori, come prevedeva in specifici casi l'art. 14-decies L. n. 3/2012.

Rimane quindi incerto se il liquidatore possa compiere attività recuperatorie, o semplicemente acquisitive, ed in quale misura.

Chiusura della procedura

Terminata la procedura, come è d'obbligo in tutti i consimili casi, il liquidatore deve presentare il rendiconto.

Se questo non viene approvato, il giudice può concedere un termine per integrazioni o rettifiche, in mancanza dei quali sostituisce il liquidatore e può giungere a negargli l'intero compenso, laddove ne ravvisi i presupposti (difetto di diligenza, mala gestio, ammanchi, etc.).

Il provvedimento è reclamabile davanti al tribunale in composizione collegiale.

La procedura si chiude con decreto (art. 281).

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